• LATEST NEWS & INSIGHTS 2 agosto 2021

    Pubblicato il: 30/07/2021


    Decreto Semplificazioni e appalti pubblici: le novità per gli interventi finanziati dal c.d. PNRR.

     

    In data 31 maggio 2021, è stato approvato il Decreto-legge n. 77 (c.d. Decreto semplificazioni 2021), tutt’ora in corso di conversione in legge, avente ad oggetto la “Governance del Piano nazionale di rilancio e resilienza e prime misure di rafforzamento delle strutture amministrative e di accelerazioni e snellimento delle procedure”.

     

    Il Decreto contiene importanti novità in tema di energia, di edilizia e soprattutto in materia di appalti pubblici rispetto ai quali la disciplina è diretta ad assicurare la realizzazione in tempi celeri e certi delle opere finanziate dal Piano nazionale di Ripresa e Resilienza attraverso una procedura assai snella.

     

    In particolare, la “nuova” normativa sugli appalti (Titolo IV-contratti pubblici) prevede deroghe e semplificazioni rispetto alla disciplina contenuta nel Codice degli appalti e nel precedente Decreto Semplificazioni (D.l. n. 76/2020).

     

    A ben vedere, in attesa dell’annunciata revisione del codice degli appalti, il corpus di norme dedicato agli appalti, può essere suddiviso in tre parti:

     

    a) la prima, destinata a tutte le gare;

     

    b) la seconda riservata agli interventi finanziati dal Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (il cd. PNRR) e dal Fondo complementare (il c.d. PNC); ed infine

     

    c) la terza che prevede un iter più celere per la realizzazione di 10 opere ritenute prioritarie e strategiche per il Paese (che rientrano anch’esse tra i progetti finanziati dal PNRR).

     

    Di rilevante importanza, attesi anche gli ingenti fondi europei destinati, sono gli interventi finanziati dal PNRR, per i quali il Decreto detta una disciplina molto snella diretta ad assicurare la realizzazione in tempi celeri e certi delle opere.

     

    Per indicem, gli aspetti più salienti riguardano:

     

    (i) la riduzione della tempistica dell’iter di aggiudicazione delle procedure di gara (art. 48);

     

    ii) la possibilità per le stazioni appaltanti di procedere all’affidamento di progettazione ed esecuzione dei lavori sulla base del progetto di fattibilità tecnica ed economica (in pratica, il settore pubblico predispone una idea progettuale di massima e il settore privato contribuisce al raggiungimento degli obiettivi indicati nel PNRR attraverso il proprio know how tecnico) (art. 48);

     

    (iii) l’innalzamento dei criteri di qualificazione delle Stazioni Appaltanti e delle Centrali di Committenza in modo tale da garantire elevati standard prestazionali (art. 111);

     

    (iv) infine, si innalza, sino al 31 ottobre 2021, la soglia del subappalto dal 40 al 50 per cento dell’importo complessivo del contratto di appalto (art. 49).

    Tale innalzamento di soglia, previsto dall’art. 49, a bene vedere riguarda tutti gli appalti pubblici anche quelli non finanziati dal PNRR. Per tutti, infatti, l’art. 49 del decreto in esame introduce un regime temporaneo che abroga quello introdotto dal D.l. n. 32/2019 (conv. con modificazioni dalla l. n. 55/2019) in forza del quale si prevedeva che il subappalto non potesse superare la soglia del 40% del valore complessivo dell’appalto, lasciando scegliere alle stazioni appaltanti la percentuale esatta. Ora, invece, e solo fino al 31 ottobre 2021, la soglia del subappalto sarà elevata al 50%. In seguito, e quindi dal 1° novembre 2021, inizia invece il processo di liberalizzazione diretto a rimuovere ogni limite quantitativo generale e predeterminato al subappalto, attraverso la modifica del comma 2 dell’art. 105 del D.lgs. n. 50/2016.

     

    Ciò detto, di seguito sono esaminate, in sintesi, le disposizioni più rilevanti relative agli interventi finanziati dal PNRR e dal PNC:

     

    – Art. 47 D.l. n. 77/2021 “Pari opportunità, generazionali e di genere, nei contratti pubblici PNRR e PNC”: la norma prevede una misura funzionale all’inserimento al lavoro di donne e giovani, prevedendo che le aziende che occupano un numero pari o superiore a quindici dipendenti, qualora risultino affidatarie dei contratti di appalto relativi a opere che rientrino nel PNRR, presentino un rapporto sulla situazione del personale in riferimento all’inclusione delle donne nelle attività e nei processi aziendali. Tale relazione è invitata alle rappresentanze sindacali aziendali;

     

    – Art. 48 D.l. n. 77/2021 “Semplificazioni in materia di affidamento dei contratti pubblici PNRR e PNC: la disposizione ammette la possibilità di utilizzare la procedura negoziata senza bando ex art. 63 del D.lgs. n. 50 del 2016 (sia nei settori ordinari che in quelli speciali) senza limiti di importo per motivi di estrema urgenza causati da circostanze imprevedibili, allorché l’applicazione dei termini, anche abbreviati, previsti dalle procedure ordinarie può compromettere la realizzazione degli obiettivi o il rispetto dei tempi di attuazione di cui al PNRR nonché al PNC e ai programmi cofinanziati dai fondi strutturali dell’Unione Europea. In più, la norma prevede un’importante clausola (già vista in precedenti discipline: ad esempio per gli appalti dell’EXPO 2015) che in qualche modo limita fortemente la tutela giurisdizionale degli operatori economici che partecipano alle gare. Vi è infatti il rinvio all’art. 125 del D.lgs. n. 104/2004 (Codice del processo amministrativo) che stabilisce che l’eventuale accoglimento di un ricorso non comporta la “caducazione” del contratto già stipulato con il vincitore della gara e il subentro del ricorrente; ma un semplice risarcimento del danno per equivalente. Infine, la disposizione consente il cd. appalto integrato ex art. 23, comma 5 bis, del D.lgs. n. 50 del 2016. In tal modo si manifesta la collaborazione tra la pubblica amministrazione (stazione appaltante), che predispone una idea progettuale di massima, e gli operatori economici privati, che contribuiscono al raggiungimento degli obiettivi indicati nel PNRR attraverso il proprio know-how tecnico. Tale tipologia di procedura consente, inoltre, di ottimizzare i tempi di approvazione prevedendo, tra l’altro, che sul progetto di fattibilità tecnica ed economica posto a base di gara sia sempre convocata la conferenza di servizi di cui all’articolo 14, comma 3, della legge 7 agosto 1990, n. 241;

     

    – Art. 50 del D.l. n. 77/2021 “Semplificazioni in materia di esecuzione dei contratti pubblici PNRR e PNC”: la norma in esame prevede un iter semplificato in caso di ritardo rispetto ai termini previsti sia per la stipula del contratto, che per la consegna dei lavori e per ogni altro termine relativo all’adozione delle determinazioni sull’esecuzioni dei contratti pubblici PNRR e PNC. In questi casi il responsabile o l’unità organizzativa di cui all’art. 2, comma 9-bis, della l. n. 241/1990 esercita il potere sostitutivo entro un termine pari alla metà di quello originariamente previsto. Il contratto, inoltre, diviene efficace con la stipulazione poiché non trova applicazione l’art. 32, comma 12, del D.lgs. n. 50/2016 che impone la condizione sospensiva dell’efficacia del contratto all’esito positivo dell’eventuale approvazione e degli altri controlli previsti dalle norme proprie delle stazioni appaltanti. Infine, sono stabiliti ulteriori e maggiori penali in caso di ritardo per il mancato adempimento.

     

    – Art. 53 del D.l. n. 77/2021 “Semplificazioni degli acquisiti di beni e servizi informatici strumentali alla realizzazione del PNNR e in materia di procedura di e-procurement e a acquisto di beni e servizi informativi”: l’articolo in esame prevede una procedura semplificata per gli acquisti di beni e servizi informatici strumentali alla realizzazione del PNRR e in materia di procedure di e-procurement e acquisto di beni e servizi informatici sopra soglia comunitaria (per quelli sottosoglia si applicano le previsioni semplificate di cui al D.l. n. 76/2020, così come modificate dal D.l. in esame), contemplando la possibilità di ricorrere alla procedura negoziata senza pubblicazione di bando, ex art. 63 del Codice dei contratti pubblici per i settori ordinari (e uso della procedura negoziata senza previa indizione di gara ex art. 125, del medesimo Codice, per i settori speciali), in relazione agli affidamenti aventi ad oggetto l’acquisto di beni e servizi informatici, in particolare basati sulla tecnologia cloud, nonché servizi di connettività, finanziati in tutto o in parte con le risorse previste per la realizzazione dei progetti del PNRR, la cui determina a contrarre o altro atto di avvio del procedimento equivalente sia adottato entro il 31 dicembre 2026, anche ove ricorra la rapida obsolescenza tecnologica delle soluzioni disponibili tale da non consentire il ricorso ad altra procedura di affidamento.

     

     

    f.angelini@macchi-gangemi.com
    n.digiandomenico@macchi-gangemi.com

     

     

     

    Il Decreto Semplificazioni bis è legge: quali sono le novità introdotte nella legge di conversione per gli impianti FER?

     

    La legge di conversione del decreto Semplificazioni bis, in fase di pubblicazione, ha introdotto rilevanti novità in tema di procedimento amministrativo e di autorizzazione degli impianti di produzione elettrica da fonti rinnovabili.

     

    Finalmente, nella seduta del 28 luglio u.s., il Senato della Repubblica, rinnovando la fiducia al Governo, ha approvato definitivamente la legge di conversione al decreto-legge 31 maggio 2021, n. 77, il c.d. Semplificazioni-bis, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 181 del 30 luglio 2021.

     

    Durante il lavoro parlamentare in commissione sono state apportate molte modifiche al testo originario del decreto. Oltre alle disposizioni in ordine alla governance del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR), il decreto contiene delle misure di semplificazione che incidono in alcuni dei settori oggetto del PNRR, tra cui il settore della produzione di energia da fonti rinnovabili. Su questo tema, di seguito forniamo una breve panoramica dei principali interventi.

     

    Le disposizioni recate dagli articoli 17-29 si propongono principalmente due obiettivi:

     

    – integrare la disciplina prevista per la valutazione ambientale dei progettidel Piano Nazionale Integrato per l’Energia e il Clima (PNIEC) al fine di ricomprendervi anche la valutazione dei progetti per l’attuazione del PNRR;

     

    – la semplificazione della disciplina di VIA (Valutazione di Impatto Ambientale) e VAS (Valutazione Ambientale Strategica) prevista dalla parte seconda del Codice dell’ambiente (D.Lgs. 152/2006). In questo senso, gli articoli 19, 20, 21 e 23modificano la procedura del procedimento di verifica di assoggettabilità a VIA e la consultazione preventiva e dispongono l’accelerazione della procedura attraverso la riduzione dei termini previsti. Gli articoli 22 e 23 prevedono una serie di modifiche alla disciplina del procedimento per il rilascio del PAUR (provvedimento autorizzatorio unico regionale).

     

    Il Capo VI (Accelerazione delle procedure per le fonti rinnovabili) e il Capo VII (Disposizioni in materia di efficienza energetica) sono intervenuti in particolare nelle materie della Componente 2 del PNRR (“Transizione energetica e mobilità sostenibile”), e al riguardo delle fonti di energia rinnovabile (FER) si è posto l’obiettivo di incrementare la quota di energia prodotta da fonti FER nel sistema, in linea con gli obiettivi europei e nazionali di decarbonizzazione, il potenziamento e la digitalizzazione delle infrastrutture di rete per accogliere l’aumento di produzione da FER e l’incremento della resilienza a fenomeni climatici estremi.

     

    L’articolo 30 modifica la disciplina delle autorizzazioni per la realizzazione di impianti di produzione di energia elettrica alimentati da fonti rinnovabili localizzati in aree contermini, ossia confinanti con aree tutelate dalla normativa paesaggistica.

     

    L’articolo 31, molto corposo e innovativo, contiene disposizioni varie, volte a semplificare l’iter autorizzativo – e quindi incentivare lo sviluppo – degli impianti di accumulo e fotovoltaici: tra i temi affrontati, si escludono dalla necessità della valutazione di impatto ambientale gli impianti di accumulo elettrochimico “stand-alone”, si prevede che per la costruzione ed esercizio di impianti fotovoltaici di potenza sino a 20 MW localizzati in area a destinazione industriale, produttiva o commerciale e anche in discariche o cave, si applichi la procedura abilitativa semplificata. Inoltre, l’installazione di pannelli fotovoltaici solari e termici sul tetto degli edifici è consentita senza la previa acquisizione di atti amministrativi di assenso.

     

    Agli artt. 31-bis e 31-ter affrontano i temi del biocarburante e degli impianti a biogas.

     

    L’articolo 31, comma 5, ammette agli incentivi gli impianti agrivoltaici che adottino soluzioni integrative, proseguendo l’approccio del decreto-legge n. 76/2020 (c.d. “Semplificazioni”) che aveva ammesso gli impianti realizzati su aree dichiarate siti di interesse nazionale, discariche e cave. Nel corso dell’esame presso la Camera dei deputati, è stato eliminato il requisito del montaggio verticale ed è stato specificato che tali soluzioni devono essere innovative e che i moduli devono essere elevati da terra e in modo da non compromettere la continuità dell’attività agricola.

     

    L’articolo 32 modifica ed integra la disciplina dell’autorizzazione unica per gli impianti FER, al fine di introdurvi talune semplificazioni per le opere di modifica che comportano un incremento contenuto della potenza (c.d. repowering).

     

    Di rilevante interesse è anche il Titolo VI del decreto legge in esame, che introduce alcune modifiche alla legge 7 agosto 1990 n. 241, norme generali sul procedimento amministrativo, in particolare in tema di inerzia dell’amministrazione, di formazione del silenzio assenso e della riduzione dei termini per l’esercizio del potere di annullamento d’ufficio.

     

    Nelle prossime settimane, l’Energy Team del nostro Studio provvederà a presentarvi una nota di analisi della nuova normativa.

     

     

    f.bogoni@macchi-gangemi.com
    m.rigo@macchi-gangemi.com

     

     

     

    Il Mark to Market e gli scenari probabilistici integrano la causa di un contratto di interest rate swap?

     

    Di recente sono state depositate diverse pronunce dei Tribunali di merito che, in contrasto con quanto stabilito in precedenza dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione, hanno ritenuto che il Mark to Market (MtM), il modello di pricing e gli scenari probabilistici non integrino la causa di un contratto swap (fra le altre, si vedano Tribunale di Bologna, 5 gennaio 2021 n. 24725; Tribunale di Parma, 8 febbraio 2021 n. 293; Tribunale di Milano, 22 marzo 2021, n. 2399; Tribunale di Milano, 14 aprile 2021 n. 3055).

     

    Con sentenza del 12 maggio 2020 n. 8770, difatti, le Sezioni Unite, sulla scorta di un pregresso orientamento giurisprudenziale inaugurato dalla Corte di Appello di Milano nel settembre 2013 (Sentenza del 18 settembre 2013 n. 3459), avevano ritenuto che gli elementi informativi veicolati attraverso il MtM e gli scenari probabilistici, fossero parte integrante della causa contrattuale per i derivati OTC. Secondo questo discutibile orientamento, l’omissione di alcuni dati informativi sul derivato (in particolare, MtM e scenari probabilistici) da parte dell’intermediario determinerebbe la nullità del contratto per vizio della causa, in quanto in assenza di tali informazioni la controparte non sarebbe in grado di valutare la “razionalità dell’alea” sottesa al contratto derivato e soltanto i contratti con alea razionalmente calcolabile sarebbero ammessi dall’ordinamento giuridico.

     

    Tralasciando le numerose perplessità che un simile orientamento, cristallizzato dalle SS. UU., genera in quanto introduce una forma di nullità contrattuale retroattiva, in assenza di specifici obblighi informativi in capo agli intermediari (sulla quale si rinvia ai precedenti commenti Derivati OTC prima parte e Derivati OTC seconda parte), si saluta invece con favore l’orientamento successivo delle Corti di merito che si dissociano dalla teoria dell’ “alea razionale”.

     

    – Così, il Tribunale di Bologna (Sentenza del 5 gennaio 2021 n. 24725) prende le distanze dall’orientamento dell’alea razionale che viene definito come “datato e superato” e riconosce che non sia essenziale tanto l’indicazione del MtM inteso come stima dei valori attuali dei flussi scambiati fra le parti ad una certa data, quanto che siano presenti nel contratto gli elementi per il suo calcolo (il nozionale, il parametro di riferimento per il calcolo degli interessi variabili, il tasso fisso, le date di pagamento dei differenziali, la durata del contratto e la scadenza). Le formule matematiche adottate per prezzare il derivato (cd. modelli di pricing) sono l’ordinaria prassi operativa per i derivati OTC e non costituiscono affatto un elemento essenziale del contratto, quanto ai calcoli effettuati sulla base del modello di pricing, questi non sono mai stati contestati dalla parte in causa.

     

    – Il Tribunale di Parma (Sentenza dell’8 febbraio 2021 n. 293) ritiene che i principi dell’alea razionale identificati dalle Sezioni Unite del 2020 sarebbero applicabili ai soli contratti stipulati con gli enti locali per specifiche esigenze di protezione non ravvisabili nei rapporti fra privati. Il Tribunale si distacca anche sostanzialmente dai principi indicati dalle SS. UU. escludendo che il MtM possa costituire un elemento essenziale del contratto, tale valore non costituisce né l’oggetto del contratto IRS, né la sua causa (che è, invece, da ravvisare “nello scambio di differenziali calcolati su un certo importo ad una certa scadenza”). Secondo il Tribunale di Parma il MtM rappresenta il valore di sostituzione del derivato in un certo momento ovvero il costo al quale una parte può anticipatamente chiudere il contratto, così da diventarne il valore di mercato ad una certa data.

     

    – Per Il Tribunale di Milano (Sentenza del 14 aprile 2021 n. 3055 e Sentenza del 22 marzo 2021, n. 2399) il MtM esprime, in un determinato momento, il valore del contratto in base alla previsione degli andamenti futuri dei flussi finanziari. Esso corrisponde quindi al prezzo di mercato teorico che un terzo sarebbe disposto a sostenere per subentrare nel contratto. Non si tratta quindi di un costo necessariamente pagato dal cliente, di conseguenza non può essere qualificato come elemento essenziale del contratto ai sensi degli artt. 1325 e 1418 c.c., ma di un elemento che rileva solo eventualmente. Il distacco dalla teoria dell’alea razionale è evidente nella sentenza del 14 aprile 2021, anche in tema di scenari probabilistici, laddove il Tribunale richiama il noto orientamento delle sentenze gemelle della Cassazione n. 26724 e 26725 che con affascinante chiarezza nel 2007 aveva escluso che potesse ricorrere la nullità (virtuale) dei contratti aventi ad oggetto strumenti­ finanziari in caso di violazione delle norme di comportamento dei contraenti nella prestazione di servizi d’investimento.

     

    In conclusione, nonostante le SS.UU. abbiano sposato la teoria “datata e superata” dell’alea razionale, si segnala la presenza di un significativo e questo sì razionale orientamento successivo dei Tribunali di merito che esclude che il MtM e gli scenari probabilistici possano essere considerati elementi essenziali ed integrativi della causa contrattuale.

     

     

    m.divincenzo@macchi-gangemi.com

     

     

     

    Può il debitore liberarsi dall’obbligo di pagare il doppio della caparra?

     

    Come noto, una delle clausole contrattuali più utilizzate per regolare gli effetti dell’inadempimento è la caparra confirmatoria. Il meccanismo previsto dall’art. 1385 c.c. è semplice: al momento della conclusione del contratto una parte dà all’altra una somma di danaro, il cui importo è concordato tra le parti. La Corte di Cassazione ha cassato la sentenza della Corte di Appello che aveva ritenuto che il semplice fatto che il promissario acquirente avesse accettato la restituzione dell’assegno senza sollevare obiezioni, potesse implicare – per se – la risoluzione e quindi la implicita rinuncia alla pretesa del doppio della caparra.

     

    Secondo il dettato dell’art. 1385 c.c., in caso di adempimento, l’importo versato a titolo di caparra deve essere restituito o imputato alla prestazione dovuta; mentre, in caso di inadempimento:

     

    se la parte che ha dato la caparra è inadempiente, l’altra può recedere dal contratto, ritenendo la caparra;

     

    se inadempiente è invece la parte che l’ha ricevuta, l’altra può recedere dal contratto ed esigere il doppio della caparra.

     

    Tale lineare meccanismo – adottato prevalentemente in caso di stipula di un contratto preliminare – non ha mancato di creare, nel corso del tempo, problemi interpretativi e applicativi. Si pensi al rapporto tra l’esercizio del recesso con ritenzione della caparra e l’esercizio dell’azione ordinaria di risoluzione con richiesta di risarcimento del danno (Cass. S.U. 14.01.2009 n. 553) o alla possibilità o meno del giudice di ridurre l’importo della caparra, in analogia con quanto previsto dall’art. 1384 c.c. in tema di clausola penale (questione che ha richiesto addirittura l’intervento della Corte Costituzionale, ord. 13.10.2013 n. 284 e ord. 26.03.2014 n. 77).

     

    Ora, in un recentissimo caso, la Corte di Cassazione (Cass. 12.07.2021 n. 19801) è tornata ad occuparsi dell’applicazione della caparra confirmatoria.

     

    In un contratto preliminare di compravendita di un immobile, il promittente venditore, a distanza di soli quattro giorni dalla stipula del contratto, aveva comunicato al promissario acquirente di non voler più alienare l’immobile e gli aveva restituito l’assegno versato a titolo di caparra. In quell’occasione, il promissario acquirente aveva ripreso l’assegno, senza avanzare alcuna contestazione o altra pretesa. Successivamente, però, il promissario acquirente ha comunicato alla controparte il proprio recesso, richiedendo il pagamento del doppio della caparra e, quindi, di un importo ulteriore (e di pari valore) rispetto a quello dell’assegno.

     

    La Corte di Appello di Brescia aveva ravvisato, nella condotta del promissario acquirente (che ha ripreso l’assegno senza sollevare immediate contestazioni), una accettazione implicita del comportamento del promittente venditore. Conseguentemente, secondo la Corte di Appello, il contratto si sarebbe sciolto per mutuo consenso, con la conseguenza che al promissario acquirente non spettava altro che la restituzione di quanto aveva pagato.

     

    Come si è accennato sopra, infatti, lo stesso art. 1385 c.c. fa salva la facoltà per le parti di non esercitare il recesso, ma di applicare la ordinaria disciplina della risoluzione; e appunto, in caso di risoluzione, l’effetto è quello della semplice restituzione delle somme ricevute e non quello del pagamento di un ulteriore importo (salvo il risarcimento del danno che, però, in questo caso non era stato ravvisato dalla Corte di Appello).

     

    Con la restituzione dell’assegno, in conclusione, era venuto meno – secondo tale ragionamento – il presupposto stesso per potersi avvalere della caparra.

     

    La Corte di Cassazione ha cassato la sentenza di secondo grado. Ed ha affermato che il semplice fatto che il promissario acquirente avesse accettato la restituzione dell’assegno senza sollevare obiezioni non potesse implicare, di per sé, una rinuncia alla pretesa – basata sulla clausola inserita nel contratto preliminare – di ottenere il doppio dell’importo versato.

     

    Per poter effettivamente accertare tale rinuncia occorre, invece, una chiara ed univoca manifestazione di volontà in tal senso; cosa che, nel caso concreto, non è stata provata e neppure valutata in giudizio.

     

    In altre parole, il debitore non può liberarsi autonomamente ed unilateralmente dell’obbligo imposto dalla caparra confirmatoria, neppure se cambia la propria volontà a brevissima distanza dalla stipula del contratto preliminare e neppure se ricorressero –e peraltro nel caso di specie non sono stati accertati – validi motivi per non addivenire alla stipula del contratto definitivo.

     

     

    a.gangemi@macchi-gangemi.com

     

     

     

    Denuncia orale dei vizi della cosa: si può?

     

    Si può eccome, e da tanto viene da aggiungere. Ma andiamo con ordine.

     

    La regola è tra le più note per fare valere i diritti di garanzia che sorgono dal contratto di compravendita: in presenza di vizi della cosa venduta (o difetti di conformità, per i Consumatori), l’azione contro il venditore deve essere preceduta dalla denuncia del difetto entro un preciso termine dalla scoperta: otto giorni, se il rapporto è regolato dal Codice Civile (art. 1495 comma 1° c.c.), due mesi se il contratto è regolato dal Codice del Consumo (art. 132, comma 2° C.d.C.).

     

    Per giurisprudenza consolidata la denuncia può essere espressa senza speciali formalità o formule sacramentali “… e può essere effettuata con qualsiasi mezzo idoneo di trasmissione …” (Trib. Rovigo Sent. 05.02.2021) senza che sia necessario procedere con “… una denuncia analitica e specifica con precisa indicazione dei vizi della cosa …” ben potendo l’acquirente “…validamente limitarsi ad una denuncia generica e sommaria che valga a mettere sull’avviso il venditore …” (recentemente Trib. Vibo Valentia sent. 24.02.2021 – v. anche Trib. Imperia 03.02.2021). La prova dell’avvenuta tempestiva denuncia spetta all’acquirente.

     

    È sicuramente utile inviare la contestazione al venditore per iscritto, se non altro per preservare la prova di una tempestiva denuncia del vizio, anche perché tale prova incombe sul compratore (Cass. civ., Sez. II, 29/01/2000, n. 1031).

     

    Una telefonata, invece, può bastare?

     

    Sembra di sì, stando ad una risalente, e forse poco nota, pronuncia delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione secondo cui la denuncia dei vizi della cosa venduta può essere fatta, in difetto di diversa previsione, con qualunque mezzo idoneo “… e quindi anche mediante comunicazione telefonica …” (Cass. Civ. Sez. Un. 15.01.1991, n. 328, in Mass. Giur. It. 1991), orientamento che riprende decisioni risalenti agli anni ’70 del secolo scorso (Cass. Civ. 77/2092).

     

    È importante però osservare che con simili modalità rimane scoperto il tema della prova denuncia perché, come sopra precisato, è comunque l’acquirente a dover dimostrare che nel rispetto dei termini di legge, ovvero in quel preciso giorno e a quella data ora, il venditore venne informato che il bene era affetto da un vizio; e non sempre una simile telefonata viene fatta in presenza di testimoni.

     

    Denuncia orale sì, allora, ma è sempre meglio formalizzarla per iscritto.

     

     

     

    e.storari@macchi-gangemi.com
    f.montanari@macchi-gangemi.com

     

     

     

    Le modifiche e le integrazioni al Codice della Crisi e dell’insolvenza (seconda parte).

     

    In attesa di verificare se l’annunciata entrata in vigore del codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza (“Codice”) avverrà effettivamente nel prossimo settembre, continuiamo ad esaminare le novità introdotte con il Decreto correttivo del 26 ottobre 2020, n. 147 (“Decreto”).

    In particolare, in questa seconda parte, verranno trattate le novità che riguardano gli accordi in esecuzione dei piani attestati di risanamento, gli accordi di ristrutturazione ad efficacia estesa, l’esecuzione del piano di ristrutturazione dei debiti del consumatore, il concordato preventivo.

    E’ sempre più concreta, comunque, la possibilità che il legislatore intervenga con nuovi aggiustamenti soprattutto per quanto concerne le misure di allerta e gli indicatori della crisi; infatti, il neo nominato Ministro della Giustizia ha, individuato una commissione di esperti per eventualmente calibrare delle proposte di modifica al Codice che tengano conto dell’impatto che ha avuto il Covid-19 sull’andamento economico delle imprese.

     

    Si segnalano le seguenti novità:

     

    Accordi in esecuzione di piani attestati di risanamento
    In ordine alla predisposizione del piano attestato, questo deve avere come fine quello di consentire il risanamento dell’impresa attraverso il riequilibrio della situazione economico finanziaria.
    Il piano deve avere data certa e deve indicare:
    a) la situazione economico-patrimoniale e finanziaria;
    b) le cause principali della crisi;
    c) le strategie d’intervento e i tempi necessari per assicurare il riequilibrio della situazione finanziaria;
    d) i creditori e l’ammontare dei crediti dei quali si propone la rinegoziazione e lo stato delle eventuali trattative, nonché l’elenco dei creditori estranei, le risorse destinate al soddisfacimento dei creditori;
    e) gli apporti di nuova finanza;
    f) i tempi della realizzazione del piano e gli, nel caso di scostamento tra gli obiettivi e la situazione in atto, gli strumenti da adottare;
    g) il piano industriale e l’impatto dello stesso sul piano finanziario.
    Un professionista deve attestare la veridicità dei dati e la fattibilità economica del piano.
    Il piano, l’attestazione e gli accordi conclusi con i creditori possono essere pubblicati nel registro delle imprese su richiesta del debitore mentre gli atti e i contratti posti in essere in esecuzione del piano devono essere provati per iscritto e devono avere data certa.

     

    Accordi di ristrutturazione ad efficacia estesa
    Nell’attuale formulazione, ferma la natura non liquidatoria di detto accordo, non è più prevista la possibilità che i creditori vengano soddisfatti in misura significativa o prevalente dal ricavato della continuità azienda.
    Esecuzione del piano di ristrutturazione dei debiti del consumatore
    Il decreto correttivo ha interessato anche le modalità di esecuzione del piano.
    L’OCC esercita la vigilanza sull’adempimento corretto del piano e risolve le eventuali difficoltà sottoponendole ove se del caso al giudice.
    Si prevede che il debitore possa avviare procedure competitive per le vendite e le cessioni previste dal piano con modalità di pubblicità tali da assicurare la massima informazione e partecipazione degli interessati.
    L’Organismo di Composizione della Crisi da indebitamento – (“OCC”) deve predisporre un report semestrale sullo stato dell’esecuzione del piano.
    È inoltre postulata l’inefficacia dei pagamenti e degli atti dispositivi dei beni effettuati in violazione del piano rispetto ai creditori anteriori al momento in cui è stata eseguita la pubblicazione del decreto di ammissione di proposta e piano in apposita area del sito web del tribunale o del Ministero della giustizia.
    L’OCC, all’esito della esecuzione del piano, è tenuto a predisporre una relazione finale da sottoporre al giudice a seguito della quale viene liquidato il compenso dell’OCC stesso.
    Il giudice ha il potere di indicare gli atti necessari per l’esecuzione del piano ed un termine per il loro compimento ove lo stesso non sia stato integralmente e correttamente eseguito.

     

    Concordato preventivo
    Le correzioni inserite dal decreto in tema di concordato preventivo sono numerose e rilevanti.
    È previsto che il debitore, in caso di concordato in continuità, con la proposta di concordato e unitamente alla documentazione prevista dall’articolo 39 del Codice presenti anche il piano industriale con l’indicazione degli effetti dello stesso sul piano finanziario.
    Si registrano alcune novità anche con riferimento al compimento degli atti eccedenti l’ordinaria amministrazione previsti dall’art. 94 del Codice. Al riguardo, il decreto dispone che il tribunale, in caso di urgenza, sentito il commissario giudiziale, può autorizzare l’alienazione e l’affitto di azienda, di rami di azienda senza far luogo a pubblicità e alle procedure competitive quando ciò possa compromettere irreparabilmente l’interesse dei creditori al miglior soddisfacimento.
    Si segnalano anche alcune variazioni che riguardano la disciplina dei contratti pendenti.
    In prima battuta, viene introdotto il divieto dei patti contrari al disposto dell’art. 97 del Codice che prevede che i contratti ineseguiti o non compiutamente eseguiti proseguono durante il concordato. Il debitore può chiedere di essere autorizzato alla sospensione della prestazione ovvero allo scioglimento con separata istanza tra la data di notifica della istanza e quella del provvedimento autorizzativo non è consentito alla controparte negoziale né richiedere l’adempimento, né invocare la risoluzione.
    Altre novità riguardano i contratti di locazione finanziaria e finanziamento bancario con riferimento sempre in tema di contratti pendenti; i finanziamenti prededucibili autorizzati prima dell’omologa; le operazioni e relazione del commissario giudiziale con la previsione che la relazione sia trasmessa al pubblico ministero; la revoca del concordato e l’apertura della liquidazione giudiziale nonché l’ammissione provvisoria dei crediti contestati.

     

    Per rileggere la prima parte: Le modifiche e le integrazioni al Codice della Crisi e dell’insolvenza (prima parte)

     

    Nella terza ed ultima parte verranno invece trattate le modifiche in materia di: revocatoria fallimentare, procedimento di accertamento del passivo, esdebitazione, albo dei gestori della crisi ed infine gli assetti organizzativi delle società.

     

     

    g.scotti@macchi-gangemi.com

     

     

     

    L’Agenzia delle Entrate ribadisce l’interpretazione restrittiva in merito al trattamento impositivo dei lavoratori dipendenti rientrati dall’estero per l’emergenza sanitaria che lavorano in smart working dall’Italia.

     

    Con la risposta ad interpello n. 458 del 7 luglio scorso, l’Agenzia delle Entrate ha preso nuovamente posizione in merito al trattamento fiscale dei lavoratori in smart working nel nostro paese a causa della pandemia ma che in condizioni normali avrebbero lavorato dall’estero affermando che la loro presenza in Italia rileva ai fini sia della residenza fiscale sia ai fini della territorialità dei redditi di lavoro dipendente.

     

    Il caso oggetto dell’interpello riguarda lavoratori ordinariamente distaccati in Cina ma che durante la pandemia hanno lavorato, per il datore di lavoro cinese, dal nostro paese.

     

    La permanenza in Italia è stata per alcuni superiore e per altri inferiore a 183 giorni nel periodo di imposta.

     

    Per quanto riguarda coloro i quali sono rimasti in Italia per meno di 183 giorni (e che non siano considerati residenti ai fini fiscali in Italia) l’Agenzia delle Entrate ritiene che si tratti di reddito di lavoro dipendente svolto in Italia da non residenti e assoggettabile ad imposta ai sensi dell’art. 23, comma 1, lett. c), del TUIR.

     

    Nella risposta si ribadisce quanto già espresso nel corso di Telefisco 2021 secondo cui la posizione del Segretariato dell’OCSE volta a neutralizzare le conseguenze fiscali delle misure di restrizione alla movimentazione nei confronti dei lavoratori dipendenti che svolgono l’attività lavorativa al di fuori dello Stato di residenza, si applica soltanto in presenza di specifici accordi amministrativi conclusi dall’Italia (come quelli con Francia, Svizzera e Austria).

     

    Per quelli la cui permanenza ha superato i 183 giorni l’Agenzia delle Entrate ritiene che debba configurarsi la residenza in Italia ai fini delle imposte sui redditi ai sensi dell’art. 2 del TUIR dal momento che la residenza fiscale in Italia “prescinde dalla circostanza che una eventuale permanenza della persona fisica nel nostro Paese sia dettata da motivi legati alla pandemia”. L’assenza di volontarietà nella permanenza in Italia secondo l’Agenzia potrebbe essere valorizzata attraverso l’interpretazione del criterio del soggiorno abituale che all’interno delle convenzioni per evitare le doppie imposizioni opera come tie-breaker rule in caso di conflitto di residenza e “offre una valutazione su un lasso di tempo sufficientemente ampio da neutralizzare gli effetti delle situazioni transitorie”.

     

    Nei confronti dei residenti in Italia viene infine ribadita l’inapplicabilità della disciplina della retribuzione convenzionale di cui all’art. 51, comma 8-bis del TUIR già espressa con la risposta del 17 maggio 2021 n. 345 dal momento che tale disciplina presuppone che il lavoro sia svolto all’estero e non consente di valutare le ragioni per le quali il lavoratore non ha potuto svolgere la prestazione dall’estero.

     

    b.pizzoni@macchi-gangemi.com

     

     

    DISCLAIMER: Questa newsletter fornisce solo informazioni generali e non costituisce una consulenza legale da parte di Macchi di Cellere Gangemi. L’autore dell’articolo o il vostro contatto in studio sono a Vostra disposizione per qualsiasi ulteriore chiarimento.

     

     

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