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Carenza di materie prime: è una causa di forza maggiore? E fino a quando?

 

È indubbio che, ormai da tempo, nei più diversi settori industriali costruttori ed importatori di beni ad alta tecnologia devono confrontarsi con la carenza di materie prime e con inevitabili ritardi produttivi che si riverberano sulle consegne dei prodotti finiti. Il cliente finale spesso non sente ragioni perché su quella consegna ha fatto affidamento (per motivi di lavoro, soprattutto) e nei contratti di compravendita e fornitura il ritardo apre la via ad una contestazione di inadempimento nell’esecuzione della prestazione con prevedibili profili risarcitori.

 

In un simile contesto è ragionevole ipotizzare un’impossibilità temporanea della prestazione: secondo quanto disposto dall’art. 1256 comma 2° c.c. “… se l’impossibilità è temporanea, il debitore, finché essa perdura, non è responsabile del ritardo nell’adempimento …”.

 

Secondo la giurisprudenza di merito “… Il concetto di prestazione impossibile, prevista dall’art. 1256 c.c., idonea ad estinguere l’obbligazione, non si identifica con una semplice difficoltà ad adempiere che renda più oneroso l’adempimento, ma consiste nella sopravvenienza di una causa, non imputabile al debitore, che impedisce definitivamente l’adempimento …” (v. Tribunale Milano Sez. VII, 21/06/2016).

 

L’impossibilità ad adempiere deve essere quindi oggettiva, sopravvenuta alla conclusione del contratto e non imputabile al debitore: così prevede l’art. 1218 c.c. allorché dispone che il debitore che non esegue esattamente la prestazione è tenuto al risarcimento del danno “… se non prova che l’inadempimento o il ritardo è stato determinato da impossibilità della prestazione derivante da causa a lui non imputabile …” (art. 1218 cit.).

 

L’evento non imputabile è solitamente ricondotto al caso fortuito, ovvero ad un avvenimento incontrollabile ed inaspettato, o alla forza maggiore, ovvero ad un accadimento prodotto dalla natura (es. terremoti, inondazioni) o disposto dalle Autorità (cd. factum principis), fatti che impediscono – e che in astratto impedirebbero a chiunque – di adempiere a quella determinata obbligazione. Si parla anche di impossibilità assoluta e oggettiva (D’Amico, La responsabilità contrattuale: attualità del pensiero di Giuseppe Osti, in Riv. Dir. Civ., 2019, 1 e ss.).

 

Se la carenza di materie prime può rappresentare un fattore transitorio che incide, seppur temporaneamente, in modo obiettivo sulle responsabilità del debitore così da giustificare il venir meno della responsabilità per la mancata fornitura del bene, occorre chiedersi quanto tale condizione possa ragionevolmente protrarsi nel tempo.

 

La norma sopra citata (art. 1256 comma 2° c.c.) individua due regole che permettono di non protrarre all’infinito un simile lo stato di incertezza; l’obbligazione temporaneamente impossibile si estingue infatti se:

– è trascorso del tempo e per il titolo dell’obbligazione o la natura dell’oggetto il debitore non può più essere ritenuto obbligato a eseguire la prestazione;

– il creditore non ha più interesse a conseguire l’adempimento del contratto.

 

Per la dottrina maggioritaria la presenza di uno dei due elementi ora citati determina una causa autonoma di estinzione dell’obbligazione (v. Di Prisco, I modi di estinzione delle obbligazioni diversi dall’adempimento, in Tratt. Rescigno, 9, Torino, 1999, 447), fermo restando che, affinché operi tale meccanismo estintivo, sarà necessario bilanciare gli interessi contrapposti delle parti. Anzi, esaminando una risalente decisione della Corte di Cassazione, ancora oggi non superata e puntualmente menzionata nei commentari, in tale bilanciamento dovrebbe aversi riguardo esclusivamente all’interesse del creditore ovvero di chi deve ricevere la bene (v. Cass. Civ. 06.02.1979, n. 794).

 

Resta inteso che è il debitore, ovvero colui che vende e/o fornisce il bene, a dover provare l’impossibilità della prestazione e quindi l’esonero da ogni responsabilità (v. fra tante Cass. Civ. Sez. II, Sent. 30.04.2012, n. 6594).

 

 

e.storari@macchi-gangemi.com
f.montanari@macchi-gangemi.com

 

 

 

La responsabilità dei sindaci per attività precedenti alla loro entrata in carica.

 

La responsabilità dei membri degli organi sociali è – com’è normale – oggetto di un vasto e articolato contenzioso che si caratterizza per giudizi spesso complessi e dai contenuti molto tecnici. Per quanto riguarda i sindaci, in particolare, la giurisprudenza ne ha esaminato i profili in relazione all’ampio ventaglio di compiti loro attribuiti. Ed il livello tecnico aumenta laddove si scrutini la responsabilità dei sindaci di istituti bancari.

 

In una recentissima sentenza la Suprema Corte (Cass. 14.10.2021 n. 28067) si è soffermata su due profili in particolare:

 

1. gli obblighi di vigilanza dei sindaci anche su attività compiute precedentemente alla loro entrata in carica e

 

2. l’eventuale riparto di responsabilità con la società di revisione.

 

Il caso all’esame della Cassazione aveva ad oggetto l’opposizione ad un provvedimento sanzionatorio della Banca d’Italia nei confronti del Presidente del Collegio Sindacale di una banca: gli illeciti contestati consistevano nella carenza di controlli e nella mancata rilevazione di posizioni creditorie ad andamento anomalo e di previsioni di perdite.

 

In estrema sintesi, era stato contestato al Collegio Sindacale di non essere opportunamente e tempestivamente intervenuto con riferimento al deterioramento dei crediti della banca.

 

La Corte di Appello di Roma aveva accolto l’opposizione solo in relazione al deterioramento dei crediti concessi prima della sua entrata in carica, rigettandola per il resto; ed aveva di conseguenza confermato la sanzione irrogata, riducendone però l’importo.

 

Quanto al primo profilo sopra citato, i Giudici di legittimità, in continuità con il proprio orientamento (cfr. Cass. 12.07.2019 n. 18770) hanno invece affermato che “non è sufficiente ad esonerare i sindaci della società da responsabilità, in presenza di una illecita condotta gestoria posta in essere dagli amministratori, la dedotta circostanza di avere assunto la carica dopo l’effettiva realizzazione di alcuni dei fatti dannosi, qualora i sindaci abbiano mantenuto un comportamento inerte, non vigilando adeguatamente sulla condotta degli amministratori, sebbene fosse da essi esigibile lo sforzo diligente di verificare la situazione e porvi rimedio, di modo che l’attivazione dei poteri sindacali, conformemente ai doveri della carica, avrebbe potuto permettere di scoprire le condotte illecite e reagire ad esse, prevenendo danni ulteriori”.

 

Quanto al secondo profilo, la sentenza qui in esame, richiamando un precedente più risalente (Cass. 29.03.2016 n. 6037), ha affermato che “la complessa articolazione della struttura organizzativa di una società di investimenti non può comportare l’esclusione od anche il semplice affievolimento del potere-dovere di controllo riconducibile a ciascuno dei componenti del collegio sindacale, i quali, in caso di accertate carenze delle procedure aziendali predisposte per la corretta gestione societaria, sono sanzionabili a titolo di concorso omissivo quoad functionem, gravando sui sindaci, da un lato, l’obbligo di vigilanza – in funzione non soltanto della salvaguardia degli interessi degli azionisti nei confronti di atti di abuso di gestione da parte degli amministratori, ma anche della verifica dell’adeguatezza delle metodologie finalizzate al controllo interno della società di investimenti, secondo parametri procedimentali dettati dalla normativa regolamentare a garanzia degli investitori – e, dall’altro lato, l’obbligo legale di denuncia immediata alla Banca d’Italia ed alla Consob”.

 

I principi di diritto sopra enunciati, tuttavia, nel caso in oggetto potranno avere una valenza solo teorica. La Corte, infatti, oltre ai capi esaminati, ha censurato i giudici di secondo grado anche perché non avevano tenuto conto di una perizia prodotta dal Presidente del Collegio Sindacale e realizzata da un’importante società di consulenza, la quale aveva messo in evidenza numerosi elementi idonei ad escludere nel merito le contestate violazioni.

 

Spetterà dunque alla Corte di Appello di Roma, in quanto giudice del rinvio, riesaminare i profili di responsabilità anche con riferimento al periodo anteriore all’assunzione della carica, ma prendendo in esame – nel merito – tutti gli aspetti evidenziati dalla perizia di parte, le cui osservazioni non erano state tenute nella debita considerazione nei primi gradi di giudizio.

 

 

a.gangemi@macchi-gangemi.com

 

 

 

Decreto Semplificazioni “bis”: le 10 opere pubbliche strategiche e la procedura speciale.

 

L’Articolo 44 del Decreto-legge n. 77 (c.d. Decreto semplificazioni 2021) avente ad oggetto “Governance del Piano nazionale di rilancio e resilienza e prime misure di rafforzamento delle strutture amministrative e di accelerazioni e snellimento delle procedure”, convertito in legge del 29 luglio 2021 n. 108, (pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana il 30 luglio 2021 ed entrata in vigore il giorno successivo, 31 luglio 2021), costituisce la norma centrale per l’approvazione e la realizzazione di 10 opere infrastrutturali pubbliche ritenute strategiche per lo sviluppo e la crescita del nostro Paese. Per un esame delle altre norme relative alla materia generale dei contratti pubblici e quelle concernenti gli interventi finanziati dal Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (il cd. PNRR) e dal Fondo complementare (PNC) si rinvia alle precedenti newsletter del 2 agosto 2021 e del 24 settembre 2021.

 

L’elenco delle opere è contenuto nell’All. 4 al Decreto in esame e comprendono infrastrutture relative a sei ferrovie, due opere idriche e due cantieri portuali. Più nello specifico esse sono:

1) Realizzazione asse ferroviario Palermo-Catania-Messina; 2) Potenziamento linea ferroviaria Verona–Brennero; 3) Realizzazione della linea ferroviaria Salerno-Reggio Calabria; 4) Realizzazione della linea ferroviaria Battipaglia-Potenza-Taranto; 5) Realizzazione della linea ferroviaria Roma-Pescara; 6) Potenziamento della linea ferroviaria Orte-Falconara; 7) Realizzazione delle opere di derivazione della Diga di Campolattaro (Campania); 8) Messa in sicurezza e ammodernamento del sistema idrico del Peschiera (Lazio); 9) Interventi di potenziamento delle infrastrutture del Porto di Trieste (progetto Adriagateway); 10) Realizzazione della Diga foranea di Genova.

 

Per tali opere l’art. 44 del Decreto detta una procedura ad hoc molto snella e che dovrebbe garantire (almeno nelle intenzioni) la loro realizzazione in tempi brevi, tanto che si è anche auspicato che il modello delineato dalla nuova normativa possa in futuro divenire un esempio per la realizzazione anche di opere pubbliche per così dire minori.

 

L’art. 44 prevede, infatti, che la stazione appaltante trasmetta il progetto di fattibilità tecnica ed economica al Consiglio superiore dei lavori pubblici per l’emanazione del parere. Tale parere viene reso dal Comitato speciale (una sorta di task force di esperti istituito presso il Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici) le cui funzioni sono stabilite nel successivo art. 45: fino al 31 dicembre 2026, al Comitato competerà l’espressione dei pareri in relazione agli interventi indicati nell’Allegato IV del decreto in esame.

 

In questa prospettiva, quindi, il Comitato verifica:

 

(i) entro 15 giorni, l’esistenza di evidenti carenze, anche relative agli aspetti ambientali, paesaggistici e culturali, tali da non consentire l’espressione del parere. In tal caso il progetto è restituito alla stazione appaltante con l’indicazione delle eventuali integrazioni o modifiche necessarie ai fini dell’emanazione del parere in senso favorevole;

 

(ii) la stazione appaltante procede alle modifiche ed alle integrazioni richieste dal Comitato speciale entro il termine perentorio di 15 giorni dalla data di restituzione del progetto;

 

(iii) il termine per l’espressione del parere è fissato in 30 giorni dalla ricezione del progetto di fattibilità tecnica ed economica ovvero, in caso di richiesta di modifiche, in 20 giorni dalla ricezione del progetto modificato;

 

(iv) decorsi tali termini, il parere si intende reso in senso favorevole.

 

I commi 2 e 3 dell’art. 44 del Decreto n. 77/2021 si soffermano invece sull’iter procedimentale relativo alla verifica preventiva dell’interesse archeologico ed alla VIA, i cui esiti dovranno poi essere acquisiti nel corso della conferenza di servizi. E quindi:

 

(v) per la verifica preventiva dell’interesse archeologico, il progetto di fattibilità tecnica ed economica è trasmesso dalla stazione appaltante alla competente soprintendenza decorsi 15 giorni dalla trasmissione al Consiglio superiore dei lavori pubblici del progetto di fattibilità tecnica ed economica, ovvero contestualmente alla ritrasmissione al citato Consiglio nei casi in cui si rendessero necessarie modifiche o integrazioni;

 

(vi) ai fini della valutazione di impatto ambientale (VIA), il progetto di fattibilità tecnica ed economica è trasmesso dalla stazione appaltante, entro i termini sopra previsti, all’autorità competente unitamente alla documentazione di cui all’art. 22, comma 1, del D.lgs n. 152/2006 (c.d. studio di impatto ambientale).

 

Entro gli stessi termini sopra previsti, la stazione appaltante convoca la Conferenza di servizi per l’approvazione del progetto. La Conferenza di servizi è svolta in forma semplificata e nel corso di essa, sono acquisite e valutate le eventuali prescrizioni e direttive adottate dal Consiglio superiore dei lavori pubblici, nonché gli esiti del dibattito pubblico e le osservazioni relative alla verifica preventiva dell’interesse archeologico e alla valutazione di impatto ambientale. La determinazione conclusiva della Conferenza approva il progetto e tiene luogo dei pareri, nulla osta e autorizzazioni necessari ai fini della localizzazione dell’opera, della conformità urbanistica e paesaggistica dell’intervento, della risoluzione delle interferenze delle relative opere mitigatrici e compensative.

 

La determinazione conclusiva della Conferenza perfeziona, ad ogni fine urbanistico ed edilizio, l’intesa tra Stato e Regione in ordine alla localizzazione dell’opera, ed ha altresì effetto di variante con conseguente obbligo per gli enti locali di provvedere alla messa in atto delle necessarie misure di salvaguardia delle aree interessate e delle relative fasce di rispetto ed impossibilità di autorizzare interventi edilizi incompatibili con la localizzazione dell’opera. La variante urbanistica, peraltro, determina l’assoggettamento dell’area a vincolo preordinato all’esproprio. La determinazione conclusiva comprende, altresì, il provvedimento di VIA e i titoli abilitativi rilasciati per la realizzazione e l’esercizio del progetto, recandone l’indicazione esplicita.

 

In caso di approvazione del progetto da parte della Conferenza di servizi sulla base delle posizioni prevalenti ovvero qualora siano stati espressi dissensi qualificati, la questione è posta all’esame del Comitato speciale del Consiglio superiore dei lavori pubblici e definita con le modalità previste dall’art. 44 comma 6, con l’eventuale coinvolgimento anche del Consiglio dei Ministri.

 

È di tutta evidenza come l’iter appena illustrato attribuisce un grande rilievo al Comitato speciale del Consiglio superiore dei lavori pubblici che opera di fatto in parallelo con la Conferenza dei servizi. Ogni possibile dissenso che non si stato risolto nel corso della procedura è affidato infine alla decisione del Consiglio dei Ministri.

 

La verifica del progetto definitivo e del progetto esecutivo da parte del Comitato accerta altresì l’ottemperanza alle prescrizioni impartite in sede di conferenza di servizi e di VIA, nonché di quelle impartite ai sensi dell’art. 44, comma 6, del D.L. n. 77/2021 ed all’esito della stessa la stazione appaltante procede direttamente all’approvazione del progetto definitivo ovvero del progetto esecutivo direttamente.

 

In ultimo, la stazione appaltante provvede ad indire la procedura di aggiudicazione non oltre novanta giorni dalla data della determinazione motivata resa dal Comitato speciale ovvero, in caso di mancato accordo, dalla data di pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale della decisione del Consiglio dei ministri.

 

 

n.digiandomenico@macchi-gangemi.com

 

 

 

Il Senato approva il parere sul Decreto mercato elettrico: quali saranno le principali novità?

 
In alcune materie, il Decreto FER potrebbe sovrapporsi al Decreto mercato elettrico.

 

È in dirittura di arrivo il parere delle commissioni parlamentari sullo schema di decreto legislativo di recepimento della Direttiva (UE) 2019/944 (relativa a norme comuni per il mercato interno dell’energia elettrica) che è stato approvato il 20 ottobre dal Senato ed ora rinviato alla Camera dei Deputati. Al momento, invece, non si è ancora concluso l’iter per il parere sul c.d. Decreto FER che necessariamente deve essere sviluppato di pari passo. Infatti, parte della disciplina dei due decreti, nelle materie di comunità energetiche, autoconsumo collettivo e sistemi di accumulo, si sovrappone e deve essere mantenuta una attenta coordinazione.

 

Tra le altre materie, il Decreto introduce la disciplina per i clienti finali attivi, i quali possono partecipare al mercato individualmente, in maniera aggregata ovvero mediante le comunità energetiche (art. 14), definendo queste ultime. È previsto che la comunità energetica dei cittadini sia un soggetto di diritto privato che può assumere qualsiasi forma giuridica, fermo restando che non può perseguire profitto (come da definizione all’art. 3). Su questo punto, il parere indica l’opportunità di ricomprendere tra gli azionisti o membri anche le piccole e medie imprese e le cooperative nonché e di superare il totale divieto di perseguire profitti finanziari, purché ciò non sia lo scopo principale.

 

Peraltro, l’impianto definitorio risulta coerente con quello delle comunità energetiche rinnovabili di cui all’art. 31 del Decreto FER; stante tale analoga disciplina, il Servizio Studi della Camera aveva suggerito di verificare la necessità di disciplinare le comunità energetiche nel Decreto in esame.

 

Lo schema disciplina anche le configurazioni di autoconsumo, introducendo una serie di disposizioni mirate alla semplificazione delle configurazioni oggi possibili per i Sistemi Semplici di Produzione e Consumo (SSPC) (art. 16), sistemi che devono insistere su particelle catastali poste nella disponibilità di uno o più dei soggetti che fanno parte di detti sistemi. Parallelamente, il decreto FER propone all’art. 30 la disciplina l’autoconsumo di energia rinnovabile e necessariamente le due disposizioni dovranno essere allineate, con l’applicazione della definizione di SSPC per l’autoconsumo di FER. Nel parere è stato suggerito di prevedere che gli impianti a fonte rinnovabile possano insistere anche su particelle catastali confinanti.

 

L’art. 17 definisce sistemi di distribuzione chiusi (SDC) i sistemi per la distribuzione di energia elettrica all’interno di siti industriali, commerciali o di servizi condivisi all’interno di un’area limitata. Esso intende superare i limiti imposti dal precedente assetto normativo. Le disposizioni dettagliano i criteri e i requisiti per la costituzione dei nuovi SDC che sono considerati “reti pubbliche di distribuzione con obbligo di connessione dei terzi”. In quanto tali, i gestori degli SDC sono soggetti alla stipula di una sub-concessione con il gestore titolare della concessione della rete a cui l’SDC è connesso, e sono tenuti all’osservanza degli obblighi e delle condizioni cui è sottoposto il concessionario. Nel parere è stato suggerito di chiarire, che la classificazione si applichi solamente ai sistemi di nuova realizzazione.

 

Sono poi previste misure per promuovere e sostenere lo sviluppo di nuovi impianti di accumulo (artt. 18-19) attraverso procedure concorsuali, prevedendo una deroga al generale divieto per i gestori di trasmissione e distribuzione in questione di gestire sistemi di stoccaggio di energia elettrica.

 

Il resto dello schema di decreto prevede, nella prima parte (artt. 5-13), la disciplina dei diritti utente finale, come i diritti contrattuali, le informazioni di fatturazione, la previsione del prezzo “dinamico” nelle forniture dell’energia elettrica con l’utilizzo di contatori intelligenti, il rafforzamento dei diritti delle categorie di consumatori più fragili (i c.d. clienti “fragili”) e un graduale superamento del meccanismo del prezzo unico nazionale per l’energia elettrica.

 

Nell’ultima parte (artt. 20-27), ridisegna gli obblighi dei soggetti del mercato energetico: la disciplina degli obblighi di servizio pubblico a carico dei gestori degli impianti di generazione elettrica; le misure di salvaguardia in caso di crisi del sistema elettrico; le funzioni e responsabilità del gestore della rete di trasmissione; il ruolo e gli obblighi dei gestori della rete di distribuzione, le funzioni e i compiti dell’Autorità di regolazione in relazione ai nuovi adempimenti previsti dalla direttiva UE n. 2019/944, dal regolamento UE n. 2019/943.

 

L’obiettivo della normativa è avere una maggiore dinamicità del mercato che dovrebbe favorire investimenti, attivati dalla possibilità di costituire nuove configurazioni, realizzazione di nuovi servizi e nascita di nuove figure professionali.

 

 

f.bogoni@macchi-gangemi.com
m.rigo@macchi-gangemi.com

 

 

 

Tassazione del capital gain su partecipazioni in caso di integrazioni di prezzo percepite in un periodo di imposta successivo rispetto alla cessione.

 

Con la risposta ad interpello n. 686 dell’8 ottobre scorso, l’Agenzia delle Entrate si è pronunciata in tema di determinazione del capital gain da cessione di partecipazioni in presenza di clausole di integrazione del prezzo.

 

L’istante nel 2015 aveva ceduto al proprio figlio delle partecipazioni ad un prezzo, prevedendo tuttavia che qualora il figlio avesse realizzato una plusvalenza superiore ad un determinato importo al momento della cessione a terzi della società il padre avrebbe avuto diritto ad una integrazione di prezzo.

 

Il figlio ha ceduto la partecipazione a terzi nel 2019 e nel 2020 ha, a sua volta, maturato il diritto ad una integrazione del prezzo di cessione nei confronti del terzo acquirente.

 

Tale maggior prezzo, tuttavia, spettava al padre in base alla clausola del contratto di cessione del padre al figlio. Pertanto il figlio ha ceduto il proprio credito verso i terzi acquirenti al padre.

 

Si ricorda che alle plusvalenze realizzate a partire dall’1.1.2019, si applica l’imposta sostitutiva del 26% anche per le plusvalenze realizzate mediante cessione di partecipazioni “qualificate”.

 

In precedenza, invece, le plusvalenze realizzate mediante cessione a titolo oneroso di partecipazioni qualificate erano tassate parzialmente con aliquota IRPEF progressiva, concorrendo alla formazione del reddito:

– per il 40% del loro ammontare complessivo, se realizzate fino al 31.12.2008;

– per il 49,72%, se realizzate nel periodo compreso tra l’1.1.2009 e il 31.12.2017;

– per il 58,14%, se realizzate a decorrere dall’1.1.2018.

 

La risposta dell’Agenzia conferma l’impostazione secondo cui le integrazioni del prezzo non rappresentano un reddito autonomo rispetto alla cessione originaria ma ne seguono il trattamento impositivo, fermo restando il principio della tassazione per cassa dei redditi diversi.

 

In altri termini le plusvalenze si intendono realizzate nel momento in cui si perfeziona la cessione a titolo oneroso delle partecipazioni a prescindere dal momento in cui in cui viene liquidato il corrispettivo della cessione.

 

Il momento di realizzo della plusvalenza determina il regime di tassazione applicabile, mentre quello in cui il corrispettivo viene percepito determina, sulla base del principio di cassa, il periodo d’imposta in cui il reddito deve essere assoggettato a tassazione.

 

Nel caso specifico, dunque, l’integrazione di prezzo percepita nel 2020 ma relativa ad una cessione effettuata nel 2015 (momento di realizzo della plusvalenza) è assoggettata ad imposta nel 2020 in base ai criteri impositivi vigenti nel 2015, concorrendo (secondo il principio di cassa) alla formazione del reddito complessivo del periodo di imposta 2020 nella misura del 49,72% del relativo ammontare.

 

 

b.pizzoni@macchi-gangemi.com

 

 

DISCLAIMER: Questa newsletter fornisce solo informazioni generali e non costituisce una consulenza legale da parte di Macchi di Cellere Gangemi. L’autore dell’articolo o il vostro contatto in studio sono a Vostra disposizione per qualsiasi ulteriore chiarimento.

 

 

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