LATEST NEWS & INSIGHTS 19 NOVEMBRE 2021

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Servizi di investimento: violazione degli obblighi informativi.

 

Con sentenza del 6 settembre 2021, n. 24010, in tema di risarcimento del danno per violazione degli obblighi informativi nell’ambito della prestazione di servizi di investimento, la Corte di Cassazione puntualizza alcuni profili di responsabilità e processuali relativi alla responsabilità solidale tra promotore finanziario ed intermediario.

 

In particolare, si tratta degli obblighi informativi di cui agli artt. 26 e 29 Regolamento Consob n. 11522/1998 e dell’art. 21 D. Lgs. n. 58/1998. La Corte ha precisato che detti obblighi non hanno una minore ampiezza nel caso in cui l’operazione finanziaria sia eseguita sulla base di un ordine impartito dal cliente. Secondo la Suprema Corte, infatti, l’attività informativa deve essere comunque prestata, anche quando la diffusione di strumenti finanziari avvenga mediante la prestazione individuale di servizi di investimento di cui all’art. 1, comma 5, del d.lgs. n. 58 del 1998 (i.e: mediante attività di negoziazione, ricezione e trasmissione di ordini) a condizioni diverse a seconda dell’acquirente e del momento in cui l’operazione è eseguita. In altre parole, la tutela del cliente è comunque affidata all’adempimento, da parte dell’intermediario, di obblighi informativi specifici e personalizzati, ai sensi degli artt. 21 del citato d.lgs. n. 58 del 1998.

 

Nel caso di specie la Suprema Corte ha rilevato che la mancata segnalazione di inadeguatezza dell’investimento integra, in quanto tale, un inadempimento idoneo a giustificare, da solo, la pronuncia risarcitoria.

 

Dal punto di vista processuale, la Corte ha inoltre chiarito che, quando un fatto illecito è imputabile a più soggetti, la questione della gravità delle rispettive colpe e dell’entità delle conseguenze che ne sono derivate può essere oggetto di esame da parte del giudice del merito, adito dal danneggiato, solo se uno dei condebitori abbia esercitato l’azione di regresso nei confronti degli altri o, in vista del regresso, abbia chiesto espressamente tale accertamento in funzione della ripartizione interna del peso del risarcimento con i corresponsabili. Tale domanda, tuttavia, non può ricavarsi dalle eccezioni con le quali il condebitore abbia escluso la sua responsabilità nel diverso rapporto con il danneggiato (Cass. 20 dicembre 2018, n. 32930, Cass. 25 agosto 2006), n. 18497). Pertanto, la questione relativa al riparto di responsabilità tra l’intermediario e il promotore non è rilevabile d’ufficio, ma deve costituire oggetto di specifica domanda od eccezione da parte di chi sia stato convenuto in giudizio come coautore del danno. Tale incombente non sarebbe stato necessario se la questione fosse stata rilevabile d’ufficio (cfr. Cass. 20 maggio 2011, n. 11259).

 

 

m.divincenzo@macchi-gangemi.com

 

 

 

Decompilazione del programma software ad opera dell’acquirente di una copia del programma: attività lecita?

 

Con una recente pronuncia del 6 ottobre 2021, la Corte di Giustizia dell’Unione Europea (“CGUE”) ha avuto modo di esprimersi sul tema dell’estensione dei diritti esclusivi riconosciuti ai sensi della direttiva 91/250/CEE relativa alla tutela giuridica dei programmi per elaboratore (la “Direttiva”), applicabile ratione temporis alla fattispecie esaminata, con particolare riferimento alle ipotesi di “decompilazione” effettuata dal legittimo acquirente di una copia del programma, allo scopo di correggere eventuali errori o malfunzionamenti dello stesso.

 

La domanda è stata presentata nell’ambito di una procedura tra una società di software e lo Stato belga in merito alla decompilazione da parte dell’ufficio di selezione delle autorità federali (Belgio), di un programma informatico sviluppato come parte di un’applicazione per la quale tale ufficio di selezione è titolare di una licenza d’uso.

 

Ciò premesso, la Corte d’appello di Bruxelles ha sottoposto alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:

 

«1) Se l’articolo 5, paragrafo 1, della Direttiva debba essere interpretato nel senso di consentire al legittimo acquirente di un programma per elaboratore di decompilarlo, in tutto o in parte, qualora tale decompilazione sia necessaria per consentirgli di correggere errori che incidono sul funzionamento di detto programma, anche quando la correzione consista nel disattivare una funzione che incide sul corretto funzionamento dell’applicazione di cui fa parte il programma stesso.

 

2) In caso di risposta affermativa, se egli debba soddisfare anche i requisiti di cui all’articolo 6 della direttiva o altri requisiti».

 

Con riferimento alla prima questione, la Corte ha preliminarmente condiviso l’interpretazione fornita dall’Avvocato Generale nelle proprie conclusioni, precisando che la decompilazione è operazione diretta a ricostituire il codice sorgente di un programma a partire dal suo codice oggetto, quest’ultimo inteso come il risultato di una trascrizione del codice sorgente in forma esecutiva, ottenuto a valle di una fase di compilazione.

 

Su tali premesse, la Corte ha osservato che in genere la decompilazione non consente di ottenere il codice sorgente originale, bensì “una terza versione del programma di cui trattasi, denominata «quasi-codice sorgente», che potrà a sua volta essere compilata in un codice oggetto che consenta a tale programma di funzionare”. In altre parole, la decompilazione costituisce un’operazione di trasformazione che implica una riproduzione, almeno parziale e provvisoria, del codice sorgente di un programma per elaboratore, nonché la traduzione della forma di quest’ultimo, attività che rientrerebbero nei diritti esclusivi dell’autore ai sensi dell’articolo 4 della Direttiva.

 

Tuttavia, prosegue la Corte, l’art. 5(1) della Direttiva prevede che la riproduzione e la traduzione del codice sorgente non saranno soggette all’autorizzazione del titolare del diritto d’autore, a condizione che dette operazioni siano “necessarie” ai fini dell’uso di tale programma, compresa la correzione degli errori che incidano sul funzionamento di quest’ultimo.

 

Infine, la Corte ha chiarito che mentre l’articolo 5 risponde alla finalità di consentire al legittimo acquirente di un programma per elaboratore di farne un uso “conforme alla sua destinazione”, il successivo articolo 6 è stato concepito sin dai lavori preparatori della Direttiva come disposizione volta a disciplinare specificamente la questione della interoperabilità dei programmi creati da autori indipendenti, “fatte salve le disposizioni destinate a consentire al legittimo acquirente del programma di farne un uso normale”.

 

Sulla scorta di quanto precede, la CGUE ha risposto alla prima questione dichiarando che l’articolo 5(1) della Direttiva deve essere interpretato nel senso che il legittimo acquirente di un programma per elaboratore ha il diritto di procedere alla decompilazione di tutto o parte di esso al fine di correggere errori che incidono sul funzionamento di tale programma, anche quando la correzione consiste nel disattivare una funzione che pregiudica il buon funzionamento dell’applicazione di cui fa parte detto programma.

 

Con riferimento alla seconda questione, la CGUE ha stabilito che, dal momento che l’eccezione prevista all’articolo 6 della Direttiva ha un ambito di applicazione e finalità diverse da quella prevista all’articolo 5(1) della stessa in ragione delle differenze riscontrate con riferimento all’ambito di applicazione e le finalità perseguite, i requisiti di cui all’articolo 6 non sono applicabili all’eccezione prevista dall’articolo 5(1) della Direttiva.

 

D’altro canto, osserva la Corte, il disposto di cui all’articolo 5(1) della Direttiva stabilisce espressamente che gli atti costituenti la decompilazione di un programma per elaboratore debbano qualificarsi come “necessari” al fine di consentire al legittimo acquirente la correzione di errori, questi ultimi comunemente intesi, nel linguaggio dell’informatica, come difetti che si pongono all’origine di un malfunzionamento del programma per elaboratore e che sono in grado di incidere sulla possibilità di fare un uso di tale programma che sia “conforme alla sua destinazione”.

 

In aggiunta, la Corte ha suggerito un’interpretazione dell’articolo 5(1), nella parte in cui è consentita la rettifica di errori fatte salve le “disposizioni contrattuali specifiche”, alla luce del considerando 18 della Direttiva, nel senso che le parti non possono escludere contrattualmente qualsiasi possibilità di procedere a una correzione di errori, rimanendo i contraenti, per contro, pienamente liberi di concordare eventuali manutenzioni correttive del programma di cui trattasi, da parte del titolare dei diritti d’autore.

 

Alla luce di tali considerazioni, la CGUE ha risposto alla seconda questione statuendo che l’articolo 5(1) della Direttiva dev’essere interpretato nel senso che il legittimo acquirente di un programma per elaboratore che intenda procedere alla decompilazione di tale programma allo scopo di correggere errori che incidono sul funzionamento di quest’ultimo non è tenuto a soddisfare i requisiti di cui all’articolo 6. Tuttavia, tale acquirente ha il diritto di procedere a una siffatta decompilazione solo nella misura necessaria a tale correzione e nel rispetto, se del caso, delle condizioni contrattualmente previste con il titolare del diritto d’autore su detto programma.

 

L’articolo 6 della Direttiva introduce, infatti, un’eccezione ai diritti esclusivi del titolare dei diritti d’autore su un programma per elaboratore, consentendo la riproduzione del codice o la traduzione della forma di tale codice senza la previa autorizzazione del titolare del diritto d’autore, qualora tali atti siano indispensabili per garantire l’interoperabilità di tale programma con un altro programma creato autonomamente.

 

Secondo la Corte, non si può dedurre né dal testo dell’articolo 6 della Direttiva, in combinato disposto con i considerando 19 e 20 di quest’ultima, né dall’economia di tale articolo che il legislatore dell’Unione abbia avuto l’intenzione di escludere qualsiasi possibilità di procedere alla riproduzione del codice di un programma per elaboratore e alla traduzione della forma di tale codice al di fuori del caso in cui esse siano compiute allo scopo di ottenere le informazioni necessarie all’interoperabilità con altri programmi di un programma per elaboratore creato autonomamente.

 

A tale riguardo, occorre rilevare che, mentre l’articolo 6 della Direttiva riguarda gli atti necessari a garantire l’interoperabilità di programmi creati autonomamente, l’articolo 5, paragrafo 1, di quest’ultima mira a consentire al legittimo acquirente di un programma di farne un uso conforme alla sua destinazione. Queste due disposizioni hanno, di conseguenza, finalità diverse.

 

Nessun limite alla decompilazione giunge allora dall’articolo 6 della Direttiva, dai lavori preparatori della Direttiva e da una lettura coordinata degli articoli 5 e 6 della Direttiva.

 

In conclusione, se da un lato la CGUE ha fornito un precedente positivo per tutti quei soggetti che abbiano acquisito, a vario titolo, diritti su copie di programmi per elaboratore, riconoscendo la legittimità di operazioni di “reverse engineering” allo scopo di correggere malfunzionamenti di detti programmi in assenza del preventivo consenso del titolare, la decisione esaminata rappresenta, tuttavia, un monito per i produttori e sviluppatori di software, chiamati ora a definire scrupolosamente le attività di manutenzione e di eventuale correzione all’interno delle condizioni contrattuali di vendita o di licenza d’uso, al fine di prevenire eventuali interventi indesiderati da parte dell’utilizzatore.

 

 

m.baccarelli@macchi-gangemi.com
m.lonero@macchi-gangemi.com

 

 

 

Decreto RED II – modifiche in sede di approvazione: quali novità?

 

Lo scorso 4 novembre 2021 il Consiglio dei Ministri ha approvato il decreto legislativo di recepimento della direttiva (UE) 2018/2001 (c.d. direttiva RED II) avente ad oggetto la promozione e lo sviluppo delle fonti di energia rinnovabili.

 

Il testo del decreto non è ancora stato pubblicato in Gazzetta Ufficiale. In seguito all’attività consultiva svolta dalle commissioni parlamentari, il Governo ha apportato alcune modifiche rispetto a quanto era stato previsto nell’originario schema di decreto, di cui abbiamo già trattato in precedenza (http://www.macchigangemi.com/it/insights/n-25-fb-mr-mpe-ita/). Vi riportiamo le principali.

 

All’art. 5, che definisce le caratteristiche generali dei meccanismi di incentivazione, ora si precisa che il sistema deve essere proporzionato rispetto all’onerosità dell’investimento al fine di garantire l’equa remunerazione dei costi di investimento ed esercizio, tenendo conto anche dei costi specifici e delle caratteristiche peculiari delle diverse applicazioni e tecnologie utilizzate negli impianti. Inoltre, è ora espressamente indicata la possibilità del cumulo, al verificarsi delle condizioni indicate, degli incentivi previsti con le agevolazioni fiscali accordate per la realizzazione degli impianti e dei sistemi di accumulo. Da ultimo, i meccanismi potranno prevedere la possibilità di integrare i ricavi conseguenti alla partecipazione al mercato elettrico a favore di impianti a fonti rinnovabili che continuano ed essere esercitati al termine del periodo di diritto agli incentivi, sempre nel rispetto della disciplina in materia di aiuti di Stato.

 

Per gli impianti con una potenza superiore a 1MW si applica il meccanismo delle aste al ribasso (art. 6), ora prevedendosi la possibilità che i contingenti di potenza oggetto d’asta siano differenziati per zona geografica, così da favorire le sinergie con lo sviluppo del sistema elettrico e l’individuazione delle aree idonee, oltre alla possibilità di accedere a questi meccanismi incentivanti anche per gli impianti facenti parte di configurazioni di autoconsumo o comunità energetiche.

 

Per quanto riguarda gli incentivi in materia di biogas e produzione di biometano, l’art. 11 è stato modificato, prevedendo ora l’erogazione di una specifica tariffa incentivante che assicuri al produttore di biometano lo stesso livello di incentivazione per l’utilizzo nel settore dei trasporti e negli altri usi, ivi inclusi quelli per la produzione di energia elettrica e termica in impianti di cogenerazione industriale, teleriscaldamento e reti calore, esclusi gli usi termoelettrici non cogenerativi.

 

Come noto, l’altro grande tema di intervento del decreto è la semplificazione delle procedure autorizzative. All’art. 19, relativo all’istituzione dello Sportello Unico per le Energie Rinnovabili, è stata rivista la modalità di realizzazione della piattaforma unica digitale per la presentazione delle istanze, ora affidata direttamente al GSE, la quale sarà inizialmente funzionale alla presentazione delle istanze per l’autorizzazione unica.

Saranno trasferite sulla piattaforma anche le istanze autorizzative per l’installazione di impianti al servizio di edifici ricevute dai gestori di rete mediante il modello unico semplificato (art. 25).

Sono stati poi previsti ulteriori requisiti per i decreti ministeriali che andranno ad individuare le aree idonee per l’installazione di impianti a fonti rinnovabili (art. 20): oltre a dettare i criteri di scelta, tali decreti dovranno anche stabilire le modalità per minimizzare il relativo impatto ambientale. Il Governo ha poi ritenuto di aggiungere alle aree ritenute idonee, nelle more dell’adozione dei decreti attuativi, anche le cave e le miniere cessate, non recuperate o abbandonate o in condizioni di degrado ambientale.

Il Governo ha inoltre specificato alcuni aspetti della disciplina in materia di autoconsumatori e comunità energetiche rinnovabili.

La pubblicazione in Gazzetta Ufficiale del testo definitivo del decreto è attesa nei prossimi giorni. Il Team energy dello studio provvederà a mantenervi aggiornati con approfondimenti ad hoc.

 

 

f.bogoni@macchi-gangemi.com
m.peretti@macchi-gangemi.com
g.rossetti@macchi-gangemi.com

 

 

 

Uso improprio degli scritti conclusivi.

 

In primo grado e nel giudizio d’appello, in mancanza di discussione orale, il deposito degli scritti conclusivi permette ai difensori di modulare e riassumere tutte le difese svolte alla luce di quanto emerso in corso di causa.

 

È un momento di sintesi soprattutto, nel quale chi assiste la parte prende definitiva posizione sulle risultanze dell’Istruttoria (se celebrata) e sui provvedimenti via via emessi dal giudice, mettendo un punto fermo sulle pretese azionate o sulle repliche svolte.

 

Quando la causa viene trattenuta in decisione il giudice concede i termini previsti dall’art. 190 c.p.c. pena la nullità della sentenza per lesione del diritto alla difesa (Cass. Civ. Sez. Ili, Ord. 17.02.2021, n. 4202 in CED Cassazione, 2021); non è obbligatorio depositare gli scritti conclusivi: una volta concessi i relativi termini la parte può anche decidere di rinunciarvi; il difensore perciò ha l’onere, e non il dovere, di impegnarsi in tale ultimo sforzo difensivo.

 

Con simili atti non è possibile produrre nuovi documenti; se ciò accade, ed è questo un primo caso di uso improprio degli scritti conclusivi, il giudice dovrà rimettere sul ruolo la lite per garantire il contraddittorio sulle nuove produzioni (Cass. Civ. Sez. Il, 14.02.1995, n. 1591 in Mass. Giur. It., 1995).

 

Nella comparsa conclusionale e nell’eventuale replica nemmeno è possibile formulare istanze istruttorie, sollevare eccezioni – salve quelle rilevabili d’ufficio o strettamente di diritto – e modificare le conclusioni già rassegnate: l’eventuale accettazione del contraddittorio da parte del difensore avversario non sana gli effetti di un possibile ampliamento del thema dccidendum (v. Tribunale di Nola, Sez. I, Sent. 08.01.2020).

 

Un ulteriore abuso nella redazione delle conclusionali può palesarsi nel giudizio d’appello dove le difese scritte sono in numero ridotto rispetto al primo grado ed un uso distorto delle memorie conclusive può irrimediabilmente pregiudicare il diritto di contro-dedurre di una delle parti (dell’appellato, nello specifico).

 

Così capita che l’appellante, nello spregiudicato proposito di riservarsi l’ultima parola sui temi della lite e non lasciare possibilità di repliche alla controparte, depositi uno scritto conclusivo di mero “stile” riproponendo quando già dedotto con l’atto di citazione d’appello senza prendere posizione sulle difese dell’appellato e ciò al solo scopo di riservare alla memoria ex art. 190 c.p.c. eventuali argomentate repliche al convenuto-appellato.

 

In tale ipotesi è evidente che quest’ultimo si troverà nella condizione di non potere censurare le inedite difese avversarie.

 

Invero, le repliche alle conclusionali dovrebbero avere funzione di mera risposta allo scritto conclusivo della controparte ed un loro impiego improprio dovrebbe essere punito con una declaratoria di inammissibilità; in tale senso autorevole dottrina secondo cui, “… si debbono ritenere inammissibili – perché in violazione del contraddittorio – le argomentazioni nuove compiute dalla parte che non ha depositato la comparsa conclusionale o che nella stessa si è limitata a ripetere argomentazioni già svolte …” (v. Mandrioli- Carratta, Dir. Proc. Civ. Il, XXVII ed., Giappichelli, 141).

 

 

e.storari@macchi-gangemi.com
f.montanari@macchi-gangemi.com

 

 

 

Il principio “iura novit curia” si applica nelle controversie in materia di usura?

 

Nell’ambito del contenzioso avente per oggetto l’applicazione di tassi usurari da parte degli istituti di credito si discute se sia onere dell’attore produrre in giudizio i decreti ministeriali contenenti la rilevazione trimestrale del Tasso Effettivo Globale Medio (TEGM). Infatti, è in base a tale tasso che viene determinato il c.d. tasso soglia, oltre il quale il tasso effettivo globale applicato dalla Banca deve essere considerato usurario.

 

Secondo la prevalente giurisprudenza di legittimità e di merito, i decreti in esame costituiscono atti amministrativi, in relazione ai quali non si applica il principio iura novit curia, stabilito dall’art. 113 c.p.c. Tale principio impone al Giudice di ricercare il diritto da applicare alla fattispecie concreta, anche in assenza di indicazioni o prove offerte delle parti. La giurisprudenza in esame, tuttavia, ritiene che il Giudice sia tenuto a ricercare il diritto applicabile tra le fonti previste dall’art. 1 della preleggi, tra cui non rientrano i decreti ministeriali. Conseguentemente, il cliente che intende contestare alla Banca l’applicazione di tassi usurari ha l’onere di produrre in giudizio i decreti in esame.

 

Un indirizzo minoritario, invece, ritiene che i decreti ministeriali costituiscano atti integrativi dell’art. 644 c.p., secondo il quale “la legge stabilisce il limite oltre il quale gli interessi sono sempre usurari”. Essi, infatti, contengono la rilevazione del TEGM, necessaria ai fini della determinazione di tale limite. Pertanto, i decreti in esame, anche se formalmente emanati come atti amministrativi, nella sostanza hanno natura di atti oggettivamente normativi, in quanto dettano previsioni generali ed astratte destinate ad essere applicate in un numero indeterminato di casi e nei confronti della generalità dei consociati.

 

L’orientamento maggioritario è stato rivisitato dall’ordinanza della Corte di Cassazione del 13 maggio 2020, n. 8883, il cui contenuto è stato confermato dalla recentissima ordinanza del 20 ottobre 2021, n. 29420.

 

Secondo l’orientamento più recente, in particolare, la disciplina regolamentare in materia di superamento del tasso soglia ai fini della valutazione dell’usura ha carattere integrativo della normativa dettata in via generale dalla legge penale e civile, e deve pertanto essere conosciuta dal giudice del merito, ed applicata alla fattispecie, indipendentemente dall’attività probatoria delle parti che l’abbiano invocata. Detto giudice, quindi, a prescindere dalla mancata produzione dei menzionati decreti, può acquisirne conoscenza o attraverso la sua scienza personale o con la collaborazione delle parti o con la richiesta di informazioni alla P.A. o con una CTU contabile. Questa attività, al contrario, è preclusa in sede di legittimità, ove è inammissibile l’ingresso di documentazione non prodotta nei precedenti gradi e non può trovare spazio, con riferimento ai menzionati decreti, il principio iura novit curia, trattandosi di atti amministrativi.

 

Sostanzialmente, la Corte di Cassazione ritiene che i decreti possano essere acquisiti d’ufficio nel giudizio di merito, ma che tale acquisizione non sia più possibile in sede di legittimità, ove la produzione di documenti non è più consentita.

 

Il ragionamento pare tuttavia contenere delle lacune o contraddizioni. Infatti, l’acquisizione ufficiosa dei decreti nella fase di merito pare giustificata proprio dall’applicazione del principio iura novit curia. Se è così, non è chiaro perché, in applicazione del medesimo principio, l’acquisizione non possa avvenire nella fase di legittimità.

 

 

m.deboni@macchi-gangemi.com

 

 

 

Legge di Bilancio 2021: nel 2022 cosa cambierà per l’esterometro?

 

Come noto, a seguito dell’introduzione della fatturazione elettronica è nata la necessità per l’Agenzia delle Entrate di monitorare “le fatture estere”. A tal fine, la Legge di Bilancio 2018 introdusse, tra i nuovi adempimenti fiscali previsti a carico dei contribuenti residenti titolari di partita iva, quello che viene comunemente chiamato “Esterometro” (o spesometro estero), ovvero la comunicazione dei dati relativi alle operazioni effettuate e ricevute con soggetti non stabiliti nel territorio dello Stato.

 

Il 2021 rappresenta è comunque l’ultimo anno per cui è necessario tale adempimento, in quanto a decorrere dalle operazioni effettuate dal 2022 i dati dovranno essere trasmessi telematicamente allo SDI (Sistema di Interscambio), secondo il formato previsto dalla fatturazione elettronica.

 

In particolare, al fine di dare attuazione a quanto contenuto nella Legge di Bilancio 2021, è stato pubblicato il 28 ottobre 2021 un apposito Provvedimento direttoriale dell’Agenzia delle Entrate il quale stabilisce che:

 

– per le cessioni di beni e le prestazioni di servizi effettuate e ricevute, dal 1° gennaio 2022, verso e da soggetti non stabiliti nel territorio dello Stato, gli operatori IVA residenti trasmettono i dati all’Agenzia delle Entrate utilizzando il formato xml previsto per la fattura elettronica e inviano i file al Sistema di interscambio secondo le regole di compilazione previste dalle specifiche tecniche allegate al provvedimento del 30 aprile 2018 e successive modificazioni. La trasmissione dei file relativi alle operazioni di vendita è effettuata entro i termini di emissione delle fatture o dei documenti che ne certificano i corrispettivi. Per le operazioni di acquisto da soggetti non stabiliti nel territorio dello Stato, la trasmissione dei file è effettuata entro il quindicesimo giorno del mese successivo a quello di ricevimento del documento comprovante l’operazione o di effettuazione dell’operazione;

 

– quanto descritto nel punto che precede rimane facoltativo per tutte le operazioni per le quali è stata emessa una bolletta doganale e quelle per le quali siano state emesse o ricevute fatture elettroniche attraverso SDI.

 

Ebbene, in sintesi: l’obbligo di presentazione dell’esterometro per le operazioni effettuare e/o ricevute da soggetti esteri rimane fino al 31 dicembre 2021. Tale obbligo è abolito dal 1° gennaio 2022 in considerazione del fatto che le fatture estere (sia attive che passive) andranno gestite con il tracciato della fattura elettronica.

 

 

g.sforzini@macchi-gangemi.com

 

 

DISCLAIMER: Questa newsletter fornisce solo informazioni generali e non costituisce una consulenza legale da parte di Macchi di Cellere Gangemi. L’autore dell’articolo o il vostro contatto in studio sono a Vostra disposizione per qualsiasi ulteriore chiarimento.

 

 

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