ESTENSIONE DELL’ACCORDO DI RISTRUTTURAZIONE A UNA SOCIETÀ DI CARTOLARIZZA-ZIONE NON ADERENTE: QUALI SONO I PRESUPPOSTI?
Il Tribunale di Bergamo ha recentemente omologato un accordo di ristrutturazione dei debiti tra la società ricorrente e la maggioranza dei propri creditori, disponendo l’estensione degli effetti ai sensi dell’art. 182-septies Legge Fall. ad un creditore non aderente, che, nella fattispecie, era una società di cartolarizzazione di crediti bancari. Il provvedimento del Tribunale di Bergamo è interessante perché tratta diffusamente dei requisiti richiesti dall’art. 182-septies Legge. fall. per l’omologazione dell’accordo di ristrutturazione ad efficacia estesa.
Con decreto del 30 marzo 2022, il Tribunale di Bergamo ha omologato un accordo di ristrutturazione dei debiti proposto da una società operante nel settore immobiliare che aveva depositato il ricorso per l’omologazione dell’accordo ex art. 182-bis Legge Fall. raggiunto con i propri creditori (inclusa una transazione fiscale concordata con l’erario ex art. 182-ter Legge Fall.) chiedendo l’estensione ‘forzosa’ degli effetti dell’accordo ai sensi dell’art. 182-septies Legge Fall. con riguardo al credito di una società di cartolarizzazione non aderente.
Il decreto è particolarmente interessante perché, oltre a soffermarsi sul profilo riguardante l’ambito dei soggetti a cui può essere applicato l’istituto dell’accordo di ristrutturazione ad efficacia estesa, descrive in modo molto puntuale tutti i presupposti richiesti dall’art. 182-septies Legge. Fall. affinché gli effetti dell’accordo omologato possano essere estesi anche ai creditori non aderenti.
È utile ricordare, preliminarmente, che l’art. 182-septies Legge Fall. è stato modificato dal decreto legge 24 agosto 2021 n. 118, recante misure urgenti in materia di crisi d’impresa e di risanamento aziendale, che ha confermato la centralità e l’importanza dell’istituto degli accordi di ristrutturazione disponendo l’entrata in vigore anticipata dello strumento degli “accordi di ristrutturazione ad efficacia estesa”, congiuntamente al nuovo istituto della “composizione negoziata della crisi”.
L’istituto era riservato sino ad oggi ai soli intermediari finanziari mentre ora è possibile utilizzarlo per tutte le categorie di creditori. È venuto così meno il requisito per il quale la metà dell’indebitamento deve essere verso banche e intermediari finanziari.
L’efficacia estesa, prevista dall’art. 182-septies Legge Fall., consente di derogare agli artt. 1372 e 1411 c.c., ovvero al principio di relatività degli effetti del contratto. Di fatto, al verificarsi di determinate condizioni, l’efficacia degli accordi di ristrutturazione ex art. 182-bis Legge Fall. è estesa ai creditori non aderenti, appartenenti alla medesima categorie per omogeneità di posizione giuridica e interessi economici.
La nuova formulazione dell’art. 182-septies Legge Fall. prevede, quale condizione essenziale per poter estendere gli effetti ai creditori non aderenti che appartengano alla medesima categoria, che il piano sia in continuità, diretta o indiretta (v. lettera b comma 2 – elemento di novità rispetto alla precedente versione dell’articolo).
Il requisito della continuità dell’impresa non è necessario qualora l’impresa abbia debiti verso banche o intermediari finanziari in misura non inferiore al 50% dell’indebitamento complessivo, pertanto gli accordi di ristrutturazione potranno avere carattere liquidatorio. In tal caso viene infatti prevista una disciplina analoga all’art. 182-septies Legge Fall. ante riforma, con estensione degli effetti dell’accordo ai creditori non aderenti, purché appartenenti alla categoria degli intermediari finanziari. In tal caso restano, invece, fermi i diritti dei creditori non aderenti diversi dagli intermediari finanziari stabiliti dall’art. 182-septies Legge Fall..
Il Tribunale di Bergamo si sofferma in primo luogo sul richiamo, contenuto nell’articolo, ai creditori bancari e agli intermediari finanziari ed afferma che, in mancanza di un preciso riferimento normativo, nell’autorizzare l’imprenditore in stato di crisi ad estendere l’accordo concluso con la maggioranza dei creditori anche ai creditori bancari ed intermediari finanziari non aderenti, tale richiamo all’attività bancaria e d’intermediazione finanziaria sarebbe volutamente ampio e quindi idoneo ad escludere dal proprio ambito le sole banche o i soli intermediari non autorizzati.
La norma sarebbe quindi applicabile a tutti gli istituti di credito iscritti nell’albo dell’art. 13 D.Lgs. n. 385/1993 (TUB) ed a tutti gli intermediari finanziari di cui agli art. 106 e art. 107 del TUB (per rinvio ex art. 18 TUF), quindi pure ai soggetti abilitati ai servizi di investimento.
Tra questi soggetti vi sono, ad esempio, le imprese di leasing, i consorzi fidi, le società di factoring, le società che erogano credito al consumo e le società veicolo impiegate nelle cartolarizzazioni, quale era la società a cui, nella fattispecie trattata dal Tribunale, l’accordo è stato effettivamente esteso.
Definito il profilo dell’applicabilità della norma alla società di cartolarizzazione, il Tribunale ha verificato la sussistenza, nel caso in esame, degli altri requisiti previsti dai commi 1, 2 e 4 dell’art. 182-septies Legge Fall. ai fini dell’estensione ‘forzosa’ dell’accordo di ristrutturazione alla società non aderente.
In particolare, il Tribunale ha verificato la legittimità della procedura riguardante la corretta formazione delle categorie dei creditori (ovvero l’effettiva omogeneità della posizione giuridica ed economica dei creditori ai quali viene esteso l’accordo, ai sensi del comma 1 dell’art. 182-septies), il rispetto della buona fede e della trasparenza informativa e quindi l’effettivo coinvolgimento della società di cartolarizzazione nelle trattative (v. lettere a-e, comma 2), la natura non liquidatoria del piano sottostante l’accordo (v. lettera b, comma 2), il raggiungimento della soglia percentuale del 75% dei crediti dei creditori aderenti della medesima categoria (v. lettera c, comma 2), la convenienza riguardo al creditore che subirà gli effetti di un accordo al quale non ha aderito (v. lettera d, comma 2), circa la possibilità di soddisfo del medesimo, sulla base dell’accordo, in misura non inferiore rispetto alle alternative concretamente praticabili (ovverosia lo scenario fallimentare che inevitabilmente comporta anche un allungamento dei tempi di realizzo dei crediti).
Particolarmente interessante è il decreto con riferimento al requisito relativo al contenuto dell’accordo che può essere esteso ai non aderenti. Il Tribunale ha confermato che qualsiasi convenzione non espressamente esclusa dall’art. 182-septies Legge Fall. sia consentita, per cui oggetto dell’accordo possono sicuramente essere riscadenzamenti, stralci, modifiche e riduzioni di tassi di interesse, conversioni del credito in quote di capitale o strumenti finanziari partecipativi. La norma precisa che con la convenzione unicamente non potranno essere imposti ai non aderenti: a) l’esecuzione di nuove prestazioni ed in particolare l’erogazione di nuovi finanziamenti; b) la concessione di affidamenti o il mantenimento della possibilità di utilizzare quelli esistenti. Il Tribunale ha sottolineato che la ragione di questa limitazione è che lo strumento può essere utilizzato solo per rinegoziare i crediti già sorti, non per disciplinare i crediti che possano derivare da contratti da stipularsi successivamente, perché in nessun modo l’accordo ad efficacia estesa deve comportare un aggravamento del rischio per la Banca o l’intermediario finanziario non aderenti. Quanto al divieto di inserire nell’accordo la possibilità di utilizzo degli affidamenti esistenti, esso deve intendersi riferito agli affidamenti concessi e non utilizzati, posto che appunto non comporta aggravamento del rischio della Banca la conservazione degli utilizzi, sia relativi a linee di cassa che relativi a linee autoliquidanti.
Nell’accordo esaminato dal Tribunale il trattamento della categoria (giudicato ammissibile) prevedeva unicamente il pagamento del 65% del credito in occasione della vendita del cespite su cui insisteva l’ipoteca con onere da parte del creditore di prestare assenso alla cancellazione contestuale dell’ipoteca e con il pagamento di un ulteriore 10% risultante all’esito del piano a seguito della distribuzione della somma che avanzerà dopo l’esecuzione degli altri pagamenti previsti dal piano.
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g.bonfante@macchi-gangemi.com
LA COMMISSIONE UE AL LAVORO PER LE INDICAZIONI GEOGRAFICHE DI PRODOTTI ARTIGIANALI ED INDUSTRIALI.
Il 13 aprile 2022, la Commissione UE ha pubblicato una proposta di regolamento sulla protezione delle Indicazioni Geografiche (IG) per i prodotti artigianali ed industriali. Detta proposta è legata alla riforma in corso del sistema delle IG per i prodotti agricoli e si basa sulle risultanze della strategia di consultazione messa in atto dalla Commissione a far data dal 2013, raccogliendo le opinioni di tutte le parti interessate all’interno degli Stati Membri dell’Unione.
Il diritto UE tutela le IG per i prodotti agricoli e alimentari, i vini e le bevande spiritose, in conformità con quanto previsto dall’Atto di Ginevra dell’Accordo di Lisbona sulle denominazioni d’origine e le indicazioni geografiche, un trattato amministrato dall’Organizzazione mondiale della proprietà intellettuale (OMPI) al quale l’Unione ha aderito formalmente con la decisione del Consiglio n. 2019/1754.
Tuttavia, non esiste, ad oggi, un meccanismo comune volto a proteggere le denominazioni di prodotti come, ad esempio, il vetro di Murano, le posate di Solingen, il tweed di Donegal, il pizzo Halas o i gioielli Gablonz. A causa dell’incertezza giuridica derivante da un mosaico di norme divergenti a livello nazionale che non sono reciprocamente riconosciute, i produttori si trovano ad affrontare numerose sfide per proteggere i prodotti artigianali ed industriali le cui qualità siano strettamente correlate al territorio di origine.
In questo contesto, la proposta della Commissione (“Proposta)” mira a stabilire, a livello Comunitario, una protezione delle IG direttamente applicabile ai prodotti artigianali ed industriali, consentendo procedure semplificate per la registrazione, la cancellazione e le modifiche del disciplinare di produzione da effettuarsi in seno a ciascuna autorità competente all’interno degli Stati Membri, di concerto con l’Ufficio Europeo per la Proprietà Intellettuale (“EUIPO” o “Ufficio”).
In particolare, gli Stati Membri dovrebbero essere responsabili della prima fase, consistente nel ricevere la domanda dai richiedenti, valutarla, eseguire la procedura di opposizione nazionale e, in casi di esito positivo, presentare la domanda all’Ufficio. L’EUIPO sarà invece responsabile dell’esame delle domande nella seconda fase della procedura, della gestione della procedura di opposizione mondiale e della decisione di accoglimento o rifiuto delle domande depositate.
L’Ufficio dovrebbe anche essere responsabile per le procedure relative ad IG originate da paesi terzi, fatta salva la procedura di registrazione diretta prevista dall’articolo 15 della Proposta, in base al quale la Commissione ha il potere di esentare uno Stato Membro dall’obbligo di designare un’autorità competente e di gestire le domande di registrazione a livello nazionale qualora, entro 6 mesi dalla data di entrata in vigore del Regolamento, venga fornita evidenza che (i) lo Stato Membro interessato non dispone di un sistema nazionale sui generis per la gestione delle IG relative a prodotti artigianali ed industriali e ii) lo Stato Membro interessato presenta alla Commissione una richiesta di opt-out accompagnata da una valutazione che dimostri che l’interesse locale per la protezione dei prodotti artigianali ed industriali risulta di scarso rilievo.
Come si legge nel memorandum allegato alla proposta, il sistema specifico di protezione previsto dalla Commissione incentiverebbe gli investimenti nell’artigianato e potrebbe migliorare l’eccellenza nella realizzazione di prodotti di nicchia. Questo approccio mira ad aiutare in particolare le micro, piccole e medie imprese (MPMI) che non dispongono di risorse sufficienti per elaborare nuove specifiche di prodotto.
Nella misura in cui il sistema di protezione delle IG relative ai prodotti artigianali ed industriali è volto ad incentivare la creazione di nuovi posti di lavoro, le risorse più giovani sarebbero conseguentemente attratte a rimanere nelle rispettive regioni di origine piuttosto che spostarsi verso le aree metropolitane.
Infine, l’istituzione di un sistema di protezione delle IG per i prodotti artigianali ed industriali porterebbe, in ultima analisi, alla realizzazione di prodotti di qualità maggiormente durevoli rispetto alle alternative più economiche di produzione di massa e non aderenti al suddetto regime, con una maggior concentrazione all’interno dell’Unione ove gli standard legislativi in materia ambientale sono più rigorosi, a maggior tutela e garanzia del consumatore finale.
m.baccarelli@macchi-gangemi.com
m.lonero@macchi-gangemi.com
BREXIT UPDATE SU IMPORTAZIONI NEL REGNO UNITO.
Il governo inglese dal 1 gennaio 2022 ha iniziato ad implementare le prime nuove regolamentazioni in merito alle importazioni dagli stati membri dell’Unione Europea. Il Public Accounts Committee del Parlamento Inglese ha pubblicato un report sullo stato di applicazione del nuovo regime doganale e sui probabili effetti che interesseranno le importazioni e le esportazioni tra Regno Unito e Unione Europea. Vi sono diversi problemi e sono le PMI ad avere i maggiori disagi e a riscontrare un sostanziale aumento dei costi.
Al fine di comprendere la situazione attuale delle relazioni commerciali tra Unione Europea e Regno Unito, è necessario ricordare che quest’ultimo non fa più parte dell’Unione Europea dal 31 Gennaio 2020 come conseguenza diretta del referendum tenutosi il 23 Giugno 2016. Inoltre, dal 31 Dicembre 2020 è terminato anche il cosiddetto “transition period”, durante il quale il Regno Unito, pur non essendo più uno stato membro, ha continuato a beneficiare del mercato unico europeo.
Oggi, quindi, Regno Unito e Unione Europea sono semplici partner commerciali e i loro rapporti vengono determinati dall’ EU-UK Trade and Cooperation Agreement (TAC).
In ordine all’applicazione delle nuove regole in materia di controlli doganali sulle importazioni in UK, il governo inglese ha disposto il seguente calendario:
1) dal 1° gennaio 2022: non è più possibile effettuare “deferring customs declarations” (dichiarazioni effettuate dopo l’ingresso delle merci in Gran Bretagna con effetto retroattivo), ma è obbligatorio presentare tutta la documentazione richiesta in tempo. Inoltre, è obbligatorio dichiarare almeno 4 ore prima dell’arrivo in Gran Bretagna, tramite il c.d. sistema IPAFFS, il trasporto di prodotti di origine animale;
2) dal 1° luglio 2022: sarà necessario produrre le “safety and security declarations” e verranno eseguite ispezioni su animali vivi, prodotti di origine animale e piante nei centri designati (Border Control Points);
3) dal 1° settembre 2022: i controlli verranno effettuati anche su tutti i prodotti latticini;
4) dal 1° novembre 2022: i controlli verranno effettuati anche su tutti i prodotti derivati dal pesce e su tutti i prodotti di origine mista (sia vegetale che animale);
5) da giugno 2023: il sistema “CHIEF customs” non sarà più disponibile e sarà obbligatorio l’utilizzo della piattaforma “Customs Declaration Service” (CDS) per le dichiarazioni doganali relative al commercio di merci da e verso la Gran Bretagna.
Il 9 Febbraio 2022, il Public Accounts Committee (“PA Committee”) del Parlamento Inglese ha pubblicato un report sullo stato di applicazione del nuovo regime doganale e sui probabili effetti che interesseranno le importazioni e le esportazioni tra Regno Unito e Unione Europea.
Ciò che emerge dal report è un netto aumento dei costi, soprattutto per le PMI, per l’adeguamento alle nuove regole doganali connesso con l’implementazione dei controlli da parte dell’Unione Europea. Questo nuovo regime sta infatti imponendo una serie di costi e oneri che prima non esistevano. Tra questi ci sono sicuramente quelli legati alla compilazione delle “customs declarations”, quelli relativi alla corretta applicazione delle “rules of origin”, e quelli relativi ad eventuali controlli ed ispezioni effettuate dalle autorità doganali sul confine.
Le PMI sono le aziende ad avere i maggiori disagi e a riscontrare un sostanziale aumento dei costi per via della necessità di ricercare assistenza esterna di professionisti e di intermediari del settore che le aiutino ad adeguarsi al nuovo regime doganale. Secondo una stima fatta nel 2019 dal fisco inglese (HMRC), il costo dell’uscita del Regno Unito dal mercato unico europeo a carico delle imprese si aggirerebbe intorno ai £15 miliardi di sterline per anno. Il report, confermando il netto aumento dei costi, specifica, tuttavia, che dati precisi e aggiornati verranno resi disponibili dall’HMRC non appena anche il Regno Unito avrà attuato e posto in essere le nuove regolamentazioni doganali.
In merito, risulta interessante la testimonianza della ADS (Aerospace, Defense, Security & Space), associazione che rappresenta oltre 1100 imprenditori inglesi, di cui il 95% sono piccole e medie imprese, attivi nel settore dell’aviazione, della difesa, della sicurezza e dello spazio. L’ADS ha dichiarato alla PA Committee che i propri membri hanno già riscontrato grosse difficoltà connesse ai nuovi controlli doganali, per via dei costi sostenuti e dell’aumento dei tempi necessari per esportare beni nell’Unione Europea. ADS sottolinea come il motivo principale sia direttamente riconducibile ai molti nuovi oneri burocratici in capo alle singole imprese; oneri destinati ad aumentare con l’implementazione delle nuove restrizioni all’importazione.
É sicuramente emblematico il caso dell’obbligo di adempimento alle ‘rules of origin’ per tutte le imprese che si occupano di difesa militare. Questo, infatti, comporta indirettamente l’acquisto, da parte delle aziende interessate, di costosi software in grado di codificare e decodificare le informazioni riguardanti l’origine dei prodotti. ADS inoltre fa notare che non vi sia ancora accordo sulla tipologia di certificazione da presentare al confine per provare l’origine delle merci. Il caso delle ‘rules of origin’ è solamente uno di tanti, che però mette in luce i costi di adeguamento ai quali le aziende incorrono e, l’esistenza, talvolta, di grosse lacune normative, che provocano incertezze per le imprese e conseguenti ritardi.
La PA Committee, inoltre, mette in luce alcune criticità in merito allo stato delle infrastrutture inglesi, necessarie per l’applicazione delle nuove regolamentazioni e alla disponibilità di personale qualificato in Regno Unito. A riguardo, fa sicuramente riflettere il caso della British Port Authority, la quale è ancora in attesa di ricevere dal governo le indicazioni circa i nuovi regimi di carico e scarico delle merci e alla quantità di controlli che dovranno essere effettuati per tipologia di carico e merce, al fine di poter adeguare le proprie strutture.
Un’altra fonte di preoccupazione è il trasporto su gomma di merci dall’Unione Europea alla Gran Bretagna che sbarca a Dover. Infatti, i trasportatori e il loro carico verranno controllati ad Ebbsfleet, che si trova a circa 60 miglia da Dover. Questo spostamento obbligato, oltre a creare ritardi, porterà anche al rischio di scarico illegale e non controllato di merci durante il tragitto.
Infine, il Department for Environment, Food and Rural Affairs (DEFRA), fa notare alla PA Committee la difficoltà di spostare sui confini personale competente, nel caso specifico veterinari, in grado di effettuare controlli su animali e prodotti freschi da questi direttamente derivati.
È dunque chiaro che, almeno nel primo periodo di implementazione delle nuove normative doganali da parte del Regno Unito, ci si dovrà aspettare, oltre ad un sicuro aumento dei costi, anche molti ritardi sulle spedizioni.
Il quadro che emerge è particolarmente allarmante perché tutte queste difficoltà sono già emerse anche se il Regno Unito non ha ancora implementato il nuovo regime doganale, a causa del forte ritardo accumulato nel tentativo di creare un sistema che fosse adeguato al nuovo regime economico e che garantisse la scorrevolezza dei flussi commerciali. Infatti, al termine del periodo di transizione solo l’Unione Europea si è trovata nella posizione di poter implementare le nuove regolamentazioni. Dal 1 gennaio 2022, il governo inglese ha però iniziato, come sottolineato in precedenza, un processo che porterà alla totale applicazione del nuovo regime entro la fine di quest’anno.
s.macchi@macchi-gangemi.com
p.marangoni@macchi-gangemi.com
IL POTERE DI ANNULLAMENTO DI UFFICIO PUÒ ESSERE ESERCITATO LEGITTIMAMENTE DALLA STAZIONE APPALTANTE ANCHE DOPO LA STIPULA DEL CONTRATTO DI AGGIUDICAZIONE DEFINITIVA: UN’INTERESSANTE PRONUNCIA DEL TAR SARDEGNA.
Il TAR Sardegna con una interessante pronunzia (Sez. II del 4 marzo 2022, n. 154) ribadisce il principio secondo cui l’Amministrazione può agire in autotutela, rimuovendo d’ufficio un provvedimento di aggiudicazione definitivo ed efficace, anche dopo la stipula del contratto, ricorrendone i presupposti; per l’effetto, la Stazione Appaltante è legittimata ad esercitare i poteri codificati dagli artt. 21 quinquies e 21 nonies L. n. 241/1990 sia nella fase antecedente alla stipula del contratto, pienamente soggetta alle regole pubblicistiche, che in quella successiva, soggetta come noto alle regole del diritto privato.
Come noto, l’art. 32, 8° comma, del Codice del processo amministrativo fa, espressamente, “salvo l’esercizio dei poteri di autotutela nei casi consentiti dalla legge” anche quando sia “divenuta efficace l’aggiudicazione”.
Del resto lo stesso Consiglio di Stato, Sez. III, con sentenza del 22 marzo 2017 n. 1310 ha affermato come “Un simile potere di annullamento in autotutela, nel preminente interesse pubblico al ripristino della legalità dell’azione amministrativa anzitutto da parte della stessa Amministrazione procedente, deve riconoscersi a questa anche dopo l’aggiudicazione della gara e la stipulazione del contratto (v., sul punto, Cons. St., sez. V, 26 giugno 2015, 3237), con conseguente inefficacia di quest’ultimo, e trova un solido fondamento normativo, dopo le recenti riforme della l. n. 124 del 2015, anche nella previsione dell’art. 21-nonies, comma 1, della l. n. 241 del 1990, laddove esso si riferisce anche ai provvedimenti attributivi di vantaggi economici, che non possono non ritenersi comprensivi anche dell’affidamento di una pubblica commessa”.
In questo senso, quindi, una volta sancita l’ammissibilità dell’autoannullamento (sia ante che post aggiudicazione definitiva) diviene irrilevante la questione posta con il primo motivo di ricorso nella controversia decisa dal TAR Sardegna e che riguarda l’asserita “acquisita efficacia” dell’aggiudicazione, a seguito del positivo riscontro dei requisiti generali e speciali (che la PA invece comunque aveva contestato, ritenendo le verifiche ancora in corso e non ultimate).
Il profilo concernente l’eventuale efficacia del provvedimento di aggiudicazione alla società aggiudicataria, non esclude che la decisione assunta sia suscettibile di rivalutazione, in sede di riesame, prima della stipula del contratto, qualora emergano e siano riscontrate insufficienze/anomalie dell’offerta.
In questi casi ovviamente i provvedimenti in autotutela debbono essere puntualmente motivati in ordine alle ragioni che hanno spinto la stazione Appaltante a far uso dei poteri in esame.
Il Giudice amministrativo con tale pronunzia ha, quindi, chiarito che l’ammissibilità dell’esercizio del potere in autotutela, sussistendo i necessari presupposti e riscontri, va affermato, con possibile piena esplicazione, sia in ipotesi di aggiudicazione efficace sia ove l’aggiudicazione non sia ancora efficace.
n.digiandomenico@macchi-gangemi.com
IL “CONTRIBUTO STRAORDINARIO CONTRO IL CARO BOLLETTE” A CARICO DELLE IMPRESE CHE OPERANO NEL SETTORE ENERGETICO.
L’art. 37 del d.l. 21/2022 (Misure urgenti per contrastare gli effetti economici e umanitari della crisi ucraina) introduce un contributo straordinario una tantum per il 2022, al ricorrere di certe condizioni, a carico dei soggetti che nel territorio dello Stato operano nel settore della produzione dell’energia elettrica, del gas metano o estrazione di gas naturale, rivendita di energia elettrica, gas metano e gas naturale, produzione distribuzione e commercio di prodotti petroliferi, importazione – a titolo definitivo – per la successiva rivendita, energia elettrica, gas naturale o gas metano, prodotti petroliferi o introduzione di detti beni da altri Stati UE. Come per la Robin Hood Tax il tema fondamentale, dunque, è quello della sua costituzionalità.
Tale contributo mira a fornire le risorse necessarie al finanziamento delle varie misure a supporto di consumatori e imprese introdotte dal d.l. 21/2022 in conseguenza del rincaro del costo dell’energia per una spesa totale prevista di circa 4 miliardi di euro.
Il contributo straordinario è dovuto ove l’impresa presenti un incremento del saldo tra operazioni attive ed operazioni passive IVA risultante dalle liquidazioni periodiche IVA nel confronto tra il periodo 01.10.21-31.03.22 e il periodo 01.10.2020 – 31.03.2021, sempreché l’incremento stesso sia pari almeno al 10% e comunque superiore a 5 milioni di euro. Al verificarsi del presupposto il contributo è dovuto nella misura del 10% dell’incremento ed è indeducibile ai fini delle imposte sui redditi e dell’IRAP e deve essere versato entro il 30 giugno 2022.
Il contributo straordinario è definito come “prelievo solidaristico” senza specificare se si tratti di un tributo. Tuttavia, la natura tributaria del prelievo, come un tributo di scopo in forma di sovraimposta dell’IVA autonoma rispetto all’IVA stessa, sembra innegabile.
Il contributo straordinario presenta notevoli punti di contatto con la c.d. Robin Hood Tax, introdotta come una addizionale all’IRES dal d.l. n. 112/2008 e dichiarata incostituzionale nel 2015. In particolare, ne condivide sia la finalità di redistribuire una parte dei maggiori profitti derivanti dall’aumento dei prezzi e delle tariffe del settore energetico sia la previsione di meccanismi che impediscano il trasferimento del relativo onere a favore dei clienti.
Come per la Robin Hood Tax il tema fondamentale, dunque, è quello della sua costituzionalità. Rispetto al precedente del 2008 il contributo straordinario ha natura una tantum in un momento storico del tutto eccezionale, il che lo rende di per sé maggiormente idoneo a superare il vaglio di costituzionalità.
I maggiori dubbi riguardano la retroattività della norma in quanto il presupposto di imposta si era già quasi integralmente verificato al momento dell’entrata in vigore della norma (la norma è entrata in vigore il 22 marzo 2022 e riguarda l’extra profitto realizzato nell’ultimo trimestre 2021 e nel primo trimestre 2022). La questione va esaminata anche in termini di legittimo affidamento del contribuente, principio anche di matrice eurounionale, dal momento che un tributo retroattivo per essere legittimo deve quantomeno essere prevedibile. Della prevedibilità di questo contributo ci sembra di poter dubitare.
Un secondo aspetto delicato è quello della capacità del tributo di colpire soltanto l’extra profitto. Infatti, come affermato dalla Corte Costituzionale in occasione della declaratoria di incostituzionalità della Robin Hood Tax per essere compatibile con il dettato costituzionale il tributo deve essere in grado di colpire i “soli extra-profitti”. Ebbene il meccanismo semplicistico adottato dal legislatore, ancorato alle operazioni rilevanti ai fini IVA invece che al maggior reddito IRES (questo probabilmente per anticipare al 2022 l’incasso del contributo stesso senza dover aspettare la presentazione della dichiarazione dei redditi), appare in concreto inidoneo a garantire che il contributo straordinario colpisca esattamente e soltanto l’extra profitto derivante dal rincaro dei prezzi dell’energia.
Infine, la prevista indeducibilità dalle imposte redditi e IRAP pare in contrasto con la sentenza della Corte Costituzionale in tema di deducibilità dell’IMU versata in relazione agli immobili strumentali (Corte Cost. 262/2020).
IL PHISHING, UN RISCHIO CONCRETO PER LE SOCIETÀ.
Gli operatori economici effettuano un numero sempre maggiore di attività tramite servizi online, quali acquisto e vendita di beni e/o servizi, contatti con la clientela.
La presenza online della società espone le stesse a innumerevoli rischi, primo tra tutti il phishing.
Il phishing è una tecnica illecita che mira ad ottenere informazioni riservate di una determinata persona o azienda. Tra i dati oggetti di phishing sono presenti username e password, numeri di conto corrente e dati di pagamento. La finalità del phishing è l’utilizzo di detti dati per il compimento di attività illecita.
Gli strumenti più comuni per realizzare quest’attività illecita sono le e-mail, gli sms ed in generale i social media.
Colui che effettua attività di phishing può essere definito come “ladro di identità”, il quale pretenderà di essere un soggetto autorevole (gestore di carte di credito, dirigente di un ente pubblico) e con tale artificio richiederà alla propria vittima di fornire dati personali per risolvere un certo problema tecnico (che non esiste), accedere a determinate promozioni (anche queste inesistenti) o cliccare ad un link che condurrà ad un form da compilare.
Naturalmente le modalità con le quali viene effettuato il phishing sono in continua evoluzione e potranno presentarsi in maniera diversa da quelle sopra prospettate che rappresentano un mero esempio.
Le conseguenze del phishing sono la perdita di controllo sui propri dati, perdite economiche derivanti da prelievi illeciti sul conto corrente o autorizzazione di operazione fraudolente.
Per prevenire le attività di phishing le aziende devono curare:
i) la formazione e sensibilizzazione del personale in azienda;
ii) istituire procedure, policy e/o modelli a valenza interna che richiamino l’attenzione dei destinatari sulle precauzioni da seguire, prevendendo in particolare e tra l’altro, il divieto di cliccare su link sospetti o compilare form di dubbia provenienza; in caso di dubbio, le verifiche preliminari da effettuare (ad es. posizionare il puntatore del mouse sul link prima di cliccare al fine di verificare il reale indirizzo al quale si verrà connessi, fare attenzione ad errori di grammatica nei messaggi e diffidare da messaggi di operatori italiani non inviati in lingua italiana, diffidare da messaggi che contengono intimidazione e minacce in caso di mancata cooperazione nel svolgere una determinazione (quale il fornire i propri dati o cliccare su un dato link);
iii) l’adozione di password complesse e robuste (alfanumeriche) diverse per ogni servizio online;
iv) l’installazione e l’aggiornamento di un antivirus;
v) la verifica dei filtri antispam, in particolare che siano attivi sulle caselle di posta elettronica aziendale.
Non dimenticate dunque di adottare idonee misure di prevenzione nella vostra società.
r.demarco@macchi-gangemi.com
f.montanari@macchi-gangemi.com
DISCLAIMER: Questa newsletter fornisce solo informazioni generali e non costituisce una consulenza legale da parte di Macchi di Cellere Gangemi. L’autore dell’articolo o il vostro contatto in studio sono a Vostra disposizione per qualsiasi ulteriore chiarimento.
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