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COMPOSIZIONE NEGOZIATA: NELL’AMBITO DELLE MISURE PROTETTIVE E CAUTELARI È POSSIBILE CHIEDERE CHE SIA DICHIARATA INEFFICACE UN’IPOTECA GIUDIZIALE ISCRITTA NEI PRECEDENTI 90 GIORNI?

 

Il Tribunale di Bergamo ha recentemente confermato le misure protettive richieste da un’impresa nell’ambito di una procedura di composizione negoziata della crisi, limitandone però la durata e i destinatari sulla base di un convincente percorso argomentativo che si rivela interessante sia perché delinea la differenza tra le misure in argomento e l’automatic stay di cui all’art. 168 Legge Fall., sia perché contribuisce a definire il perimetro della delibazione giudiziale ai fini della conferma e adozione delle misure protettive e cautelari nella composizione negoziata.

 

Con ordinanza del 24 febbraio 2022, il Tribunale di Bergamo, all’esito dell’udienza per la conferma, revoca o modifica delle misure protettive del patrimonio aziendale in precedenza richieste da un’impresa ai sensi degli artt. 6 e 7 del nuovo D.L. 118/2021 (convertito in Legge 147/2021), ha confermato le misure protettive limitandone la durata a circa 55 giorni dalla data dell’ordinanza (anziché a 120 giorni come richiesto dall’impresa) e rigettando, tra le altre, la domanda volta ad ottenere un’inibitoria nei confronti di tutti i creditori, anziché di quelli specificamente individuati e già muniti di decreto ingiuntivo nei confronti dell’impresa.

 

L’ordinanza è particolarmente interessante perché, con essa, il Tribunale di Bergamo delinea con chiarezza il perimetro delle misure che possono essere concesse sulla base dell’istituto di cui agli artt. 6 e 7 del nuovo D.L. 118/2021 e fornisce utili indicazioni sul contenuto delle valutazioni che un Tribunale deve effettuare allorché sia chiamato a confermare, revocare o modificare le misure protettive e cautelari nell’ambito di una procedura di composizione negoziata della crisi.

 

È utile ricordare, preliminarmente, che, ai sensi dell’art. 6 del Decreto n. 118 convertito in Legge n. 147, quando un imprenditore formula la richiesta di misure protettive nell’ambito della composizione negoziata della crisi, dal giorno della pubblicazione nel registro delle imprese “i creditori non possono acquisire diritti di prelazione se non concordati con l’imprenditore né possono iniziare o proseguire azioni esecutive e cautelari sul suo patrimonio o sui beni e sui diritti con i quali viene esercitata l’attività d’impresa”. È utile anche ricordare che, ai sensi dell’art. 7, lo stesso giorno della pubblicazione dell’istanza di cui sopra, l’imprenditore chiede al Tribunale competente la conferma o la modifica delle misure protettive e, ove occorre, l’adozione dei provvedimenti cautelari necessari “per condurre a termine le trattative”.

 

Ebbene, il Tribunale adito, fissata l’udienza, sente le parti, l’esperto e, “se le misure protettive o i provvedimenti cautelari richiesti incidono sui diritti dei terzi”, sente anche questi ultimi.

 

Il Tribunale, con l’ordinanza con cui provvede, “stabilisce la durata, non inferiore a trenta e non superiore a centoventi giorni, delle misure protettive e, se occorre, dei provvedimenti cautelari disposti” (prorogabili sino al massimo di 240 giorni solo “per il tempo necessario ad assicurare il buon esito delle trattative”).

 

Ai fini che interessano, si ricorda infine che l’art. 7 introduce l’istituto delle misure “selettive”: su richiesta dell’imprenditore e sentito l’esperto, infatti, “le misure possono essere limitate a determinate iniziative intraprese dai creditori a tutela dei propri diritti o a determinati creditori o categorie di creditori”.

 

Nella fattispecie sottoposta all’attenzione del Tribunale di Bergamo, l’istante aveva rappresentato di aver subito varie iniziative di autotutela di sette creditori specificamente individuati: tutti avevano ottenuto i decreti ingiuntivi nei confronti dell’impresa debitrice (alcuni provvisoriamente esecutivi) e uno di loro (creditore chirografario) aveva iscritto ipoteca giudiziale sui beni dell’impresa un mese prima della presentazione del ricorso cautelare del debitore.

 

Nonostante l’individuazione specifica di sette creditori, l’istante aveva genericamente chiesto l’adozione di “tutte le misure protettive” sino a conclusione della procedura di composizione negoziata e nei confronti di “tutti i creditori per titolo o causa anteriore al deposito dell’istanza”. Inoltre, aveva chiesto di dichiarare, sempre in via cautelare, l’inefficacia dell’ipoteca giudiziale iscritta da un creditore, considerandola una misura conseguibile nella composizione negoziata in quanto annoverabile tra quelle protettive e cautelari degli artt. 6 e 7 del D.L. 118/2021.

L’assunto dell’istante era che si potesse applicare in via analogica l’art. 168 Legge Fall., il quale, come noto, disciplina il c.d. “automatic stay” nell’ambito del concordato preventivo, cioè l’istituto in forza del quale, dalla pubblicazione del ricorso per concordato nel Registro delle Imprese e fino all’omologazione definitiva del concordato preventivo, i creditori anteriori non possono, sotto pena di nullità, iniziare o proseguire azioni esecutive e cautelari sul patrimonio del debitore o acquistare diritti di prelazione “salvo autorizzazione del Giudice” e “le ipoteche giudiziali iscritte nei novanta giorni che precedono la data della pubblicazione del ricorso nel registro delle imprese sono inefficaci rispetto ai creditori anteriori al concordato”.

 

Il Tribunale di Bergamo ha nondimeno rigettato la domanda di accertamento dell’inefficacia dell’ipoteca giudiziale precisando che la domanda dell’istante esulava dal perimetro espresso delle misure concedibili sulla base degli artt. 6 e 7 del D.L. 118/2021 e che, in ogni caso, la domanda avrebbe implicato un accertamento “non compatibile con la delibazione meramente interinale” cui era chiamato il Tribunale.

 

Il Tribunale di Bergamo, inoltre, basandosi sulla lettura dell’art. 6 D.L. 118/2021, ha escluso che fossero sussistenti i presupposti per l’invocata applicazione analogica dell’art. 168 Legge Fall. (una lacuna normativa e una identità di fattispecie), evidenziando la differenza tra i due istituti (in un caso sussistendo già una procedura concorsuale sia pur in chiave “prenotativa” e nell’altro – quello delle misure cautelari nell’ambito della composizione negoziata – non essendovi alcuna procedura concorsuale) e chiarendo che l’effetto di automatic stay dell’art. 168 Legge Fall. era ed è ottenibile attraverso la domanda di concordato ex art. 161, 6° comma, Legge Fall., cioè attraverso un’iniziativa diversa ed alternativa rispetto all’accesso alla composizione negoziata.

 

Sotto un diverso profilo, in accordo con un precedente indirizzo giurisprudenziale di merito (Tribunale di Roma, ord. 3.2.2022), il Tribunale di Bergamo ha anche rigettato la richiesta di concessione “erga omnes” (i.e. tutti i creditori) delle misure di cui agli artt. 6 e 7 del D.L. 118/2021, dovendosi intendere conseguibili tali misure solo “selettivamente”, cioè esclusivamente nei confronti dei creditori individuati dall’istante nel proprio ricorso.

 

Per quanto riguarda il perimetro della delibazione giudiziale ai fini della conferma o revoca delle misure richieste e della adozione delle misure cautelari nell’ambito della composizione, i commentatori hanno delineato due possibili approcci: secondo un primo modo di vedere, basato sulla natura privatistica dell’istituto della composizione negoziata, la valutazione del Tribunale dovrebbe limitarsi alla verifica dell’attitudine delle misure protettive a perseguire astrattamente la funzione di proteggere le trattative e presidiarne il buon esito; secondo un diverso approccio, il Tribunale dovrebbe valutare la concreta possibilità che, nella situazione data, le misure servano allo scopo di preservare effettivamente il patrimonio e favorire le trattative (oltre che il concreto pregiudizio che i creditori potrebbero subite dall’applicazione delle misure).

 

Il Tribunale di Bergamo sembra avere adottato il secondo, più concreto, approccio.

 

Ha in particolare valutato la situazione della società verificando se, ai fini della concessione della misura, vi fosse il presupposto dello stato di crisi o di insolvenza reversibile (dunque, non di insolvenza tout court).

 

Ha inoltre esaminato con attenzione tutti gli elementi di fatto e giudizio allegati dal debitore a supporto dell’istanza, tra cui la relazione sull’andamento aziendale, il piano finanziario e le dichiarazioni dell’esperto, per ricavarne la conclusione che la continuità aziendale prospettata dall’imprenditore era basata solo su un programma di riorganizzazione aziendale e industriale carente sotto il profilo finanziario e che allo stato nessuna trattativa con i creditori appariva concretamente percorsa nonostante le dichiarazioni di intenti dell’imprenditore e il conforto dell’esperto in ordine alla sussistenza prospettica “dei presupposti per una trattativa con il ceto creditorio”.

 

Tutte queste riflessioni hanno portato il Tribunale a negare la concessione della misura massima richiedibile di 120 giorni, e ad accordarla per una durata inferiore (55 giorni dalla data dell’ordinanza, 80 dalla data dell’istanza), cioè per il tempo giudicato “presumibilmente necessario a porre in essere concrete trattative con i creditori, tali da assicurare (ove l’esito sia favorevole) il risanamento dell’azienda, in uno con l’allestimento non solo di un piano industriale, ma anche finanziario e di ogni garanzia che valga ad evitare ogni maggior pregiudizio al ceto creditorio”.

 

 

s.rossi@macchi-gangemi.com
g.bonfante@macchi-gangemi.com

 

 

 

LA CORTE DI CASSAZIONE SUL TEMA DELLA TUTELABILITÀ DEI CLAIM PUBBLICITARI REGISTRATI: IL CASO “500%FIAT”.

 

Con una recente pronuncia (n. 8276 del 14 marzo 2022) la Corte di Cassazione ha stabilito un importante principio in materia di tutelabilità di un messaggio pubblicitario (slogan) formalmente oggetto di privativa per intervenuta registrazione, ai sensi della legge sul diritto d’autore.

 

Il 9 febbraio 2018 la Corte d’Appello di Firenze ha confermato la sentenza di primo grado che aveva respinto la domanda del Sig. A.M. nei confronti di FCA Italy S.p.A. (già Fiat Group Automobiles S.p.A.: “FCA”) concernente la violazione del diritto d’autore in relazione alla registrazione dello slogan “500%Fiat” quale opera autoriale, chiedendo successivamente il risarcimento del danno per le condotte abusive asseritamente poste in essere da FCA.

 

Il Sig. A.M. ha depositato presso la SIAE lo slogan “500%Fiat” e FCA aveva utilizzato il claim nella propria attività di marketing e pubblicità. La SIAE è una società italiana costituita per la gestione collettiva dei diritti d’autore.

 

La Corte d’Appello ha ritenuto, in particolare: a) l’inscindibilità dello slogan pubblicitario “500%Fiat” con il marchio dell’autovettura e del produttore e la conseguente mancanza di tutelabilità del claim in sé; b) anche ammettendo la scindibilità nel caso di specie, lo slogan sarebbe comunque invalido in quanto privo di creatività, per la presenza di precedenti slogan pubblicitari simili (“500%Joy”; “500%Unconventional”; “La praticità al 106 percento”), nonché di originalità, in quanto privo di apporto creativo rispetto a precedenti claim pubblicitari utilizzati per diversi modelli di auto.

 

A.M. ha impugnato la decisione sostenendo, inter alia, che il criterio della “scindibilità” fosse stato espressamente escluso dalla previsione di cui all’art. 4 della legge italiana sul diritto autore, alla luce del Decreto Legislativo n. 95/2001.

 

La Suprema Corte ha confermato la linea argomentativa fornita dalla Corte d’Appello, per quanto riguarda l’inscindibilità dello slogan dalla denominazione sociale “Fiat” e dal suo modello di auto “500”. Inoltre, la Cassazione ha sottolineato che, nei casi in cui lo slogan faccia diretto riferimento a marchi particolarmente noti e diffusi tra il pubblico, è evidente che ciò che è realmente ricercato dall’inserzionista è l’effetto “di trascinamento” legato alla commercializzazione di prodotti recanti tale marchio.

 

Di conseguenza, la necessità di valutare il claim nella sua complessità può certamente portare il giudice a concludere nel senso dell’inscindibilità dello slogan dato che, senza l’effetto “knock-on” previsto dall’elemento notorio, il messaggio pubblicitario non avrebbe alcun effetto evocativo nella mente del consumatore.

 

Ciò premesso, la Suprema Corte ha concluso che il giudice d’appello aveva correttamente ritenuto che il noto marchio “Fiat” fosse indissolubilmente legato all’altro elemento dello slogan (500%), facendo così scattare il concetto di un noto modello di auto prodotto dalla casa automobilistica italiana. In altre parole, è proprio grazie alla suddetta combinazione che il claim pubblicitario in quanto tale può essere concepito come portatore di un potente messaggio presso la stragrande maggioranza del pubblico, permettendo di concludere che:

 

In tema di diritto di autore, la rivendicazione, ai sensi dell’art. 2 n. 4, della l. n. 633 del 1941 (legge sul diritto d’autore), del diritto di privativa per intervenuta registrazione di un messaggio pubblicitario (cd. slogan) postula che sia dimostrata l’originalità del creato, da escludersi in ipotesi di utilizzazione, nel medesimo messaggio, del riferimento a marchi già registrati e dotati di determinante capacità evocativa, sì che quel collegamento, per la sua forza evocativa autonoma, faccia venir meno la parte creativa del claim ed escluda l’elemento innovativo”.

 

 

m.baccarelli@macchi-gangemi.com
m.lonero@macchi-gangemi.com

 

 

 

LA COSTITUZIONE DELLE SOCIETÀ DI CAPITALI ONLINE: TRA TECNOLOGIA E NUOVE OPPORTUNITÀ.

 

Il D. lgs. n. 183/2021, che recepisce la Direttiva UE 2019/1151, ha introdotto delle importanti innovazioni nel campo del diritto societario volte alla modernizzazione e alla semplificazione di certe procedure. Una delle aree di intervento più importanti riguarda la possibilità di costituire società a responsabilità limitata (S.r.l.) e società a responsabilità limitata semplificata (S.r.l.s.) esclusivamente online e a distanza ( prima del citato D. lgs. era richiesta per legge la presenza fisica delle parti, o dei loro procuratori).

 

Difatti, grazie alle novità introdotte dal D. lgs. n. 183/2021, è ora possibile costituire le predette società interamente da remoto, cioè con la partecipazione di tutte le parti coinvolte mediante un sistema di videoconferenza.

 

A tal fine, è stata individuata la piattaforma gestita dal Consiglio Nazionale del Notariato come sistema in grado di garantire il rispetto delle principali funzioni notarili in sede di stipula quali (i) l’accertamento delle identità delle parti, (ii) la verifica delle loro volontà e (iii) il tracciamento delle attività compiute in sede di stipula, inclusa la sottoscrizione.

 

Per ragioni di prudenza, durante la videoconferenza di costituzione, resta ferma la possibilità per il notaio di interrompere la stipula online e richiedere alle parti la loro presenza fisica, qualora lo stesso dovesse dubitare dell’identità di alcuna delle parti o rilevasse il mancato rispetto delle norme in materia di capacità di agire o di rappresentanza di una società.

 

Qualora si ricorra a tale modalità di costituzione di S.r.l o S.r.l.s., l’atto costitutivo – in forma di atto pubblico informatico – dovrà essere sottoscritto dalle parti mediante firma elettronica. A tal riguardo, il notaio sarà autorizzato a rilasciare, a chi ne fosse sprovvisto, una firma elettronica contestualmente alla stipula.

 

La costituzione da remoto delle due predette tipologie di società è poi possibile qualora siano rispettati i due ulteriori seguenti requisiti:

 

– il notaio deve avere la propria sede nel medesimo distretto di Corte d’Appello in cui risiede almeno uno dei soci:

 

– i conferimenti in sede di costituzione (di almeno il 25% del capitale) devono effettuarsi esclusivamente in denaro. Tale conferimento, in particolare, deve essere effettuato mediante bonifico bancario su un conto corrente messo a disposizione dal notaio stesso ai sensi dell’art. 1 comma 63, della Legge di Stabilità 2014.

 

Una volta stipulato l’atto costitutivo, il notaio dovrà procedere all’iscrizione della neocostituita società nel registro delle imprese attraverso l’invio telematico di una copia digitale di detto atto costitutivo (e relativi allegati) nel termine di 10 giorni dalla stipula, ai sensi dell’articolo 2330 del Codice Civile.

 

 

p.orzalesi@macchi-gangemi.com
a.frau@macchi-gangemi.com
g.magistrali@macchi-gangemi.com

 

 

 

IL GARANTE PRIVACY SANZIONA DUE SOCIETÀ DEL GRUPPO UBER PER OLTRE 4 MILIONI DI EURO.

 

 

Il Garante Privacy italiano ha sanzionato due società del Gruppo Uber per circa due milioni di euro ciascuna. Le principali violazioni riscontrate hanno riguardato informative non idonee, il trattamento di dati senza adeguato consenso e l’omissione della notifica di un data breach.

 

Dopo una lunga e complessa attività istruttoria iniziata nel 2019 l’Autorità garante per la protezione dei dati personali (“Garante”) ha emesso un’ordinanza di ingiunzione nei confronti di Uber B.V., con sede legale in Olanda, e Uber Technologies, con sede a San Francisco (USA), con sanzione da 2 milioni e 120mila euro per ciascuna società.

 

I due soggetti sono stati ritenuti colpevoli di violazioni del GDPR nei confronti di 1,5 milioni di utenti residenti in Italia, passeggeri e autisti.

 

In particolare, nel corso delle ispezioni svolte presso la sede di Uber Italy (la filiale italiana) a seguito di un data breach reso pubblico dalla società capogruppo nel 2017, il Garante ha identificato tre principali aree di criticità:

 

– informativa non idonea

 

– trattamento di dati senza adeguato consenso

 

– mancata notifica al Garante dell’utilizzo di dati relativi alla geolocalizzazione.

 

L’incidente informatico (avvenuto prima dell’entrata in vigore del GDPR) ha coinvolto oltre 57 milioni di utenti globali, e ha condotto le autorità privacy di Paesi Passi e Regno Unito a comminare una sanzione in base alla normativa nazionale.

 

I dati oggetto di data breach erano principalmente dati di contatto anagrafici (nome/cognome, indirizzo, telefono ed e-mail), nonché le credenziali di accesso all’applicazione per smartphone. Oltre a questi, tale evento ha coinvolto anche i dati relativi alle relazioni con altri utenti (amici, profilazione etc.) e soprattutto i dati di localizzazione presenti.

 

Il Garante, all’esito dell’istruttoria, ha quindi sanzionato entrambe le società, contitolari del trattamento e ciascuna responsabile delle violazioni commesse nei confronti di utenti residenti in Italia sia ai sensi del Codice Privacy (D. Lgs 196/2003) che ai sensi del GDPR.

 

In particolare, sono state esaminate le informative fornite al momento della sottoscrizione del servizio, che, oltre a non riportare i nominativi dei contitolari del trattamento, è risultata generica e approssimativa, nonché “poco chiara e incompleta”, insomma non di facile comprensione.

 

Dall’esame delle informative è inoltre emerso che le finalità del trattamento non erano ben precisate e che i diritti dell’interessato erano descritti in modo vago e senza indicazione su quali dati fossero necessari o meno ai fini dell’attivazione del servizio. È emerso, in aggiunta, il trattamento dei dati di quasi 1,5 milioni di utenti con finalità di profilazione ai fini della valutazione di un eventuale “rischio frode”, che assegnava a ciascun soggetto un profilo (“low”, “medium”) e un parametro da 1 a 100. Tutto questo avveniva senza aver raccolto un adeguato consenso.

 

Infine, dato che i fatti riguardano un periodo ante GDPR, alle società è stata contestata la mancata notifica del trattamento di geolocalizzazione, adempimento obbligatorio sotto la previgente normativa.

 

Valutando le varie violazioni, il numero di soggetti coinvolti e le mitigazioni poste in essere dalle società il Garante ha applicato sanzioni per circa 4,3 milioni (in totale).

 

Questo provvedimento si inserisce in una lunga serie di provvedimenti emanati dall’Autorità che mette sempre più in evidenza la necessità, sia per gruppi strutturati che per aziende più piccole, di prestare attenzione al proprio impianto privacy, curandone la conformità dello stesso e soprattutto un aggiornamento costante.

 

 

r.demarco@macchi-gangemi.com
f.montanari@macchi-gangemi.com

 

 

 
TASSAZIONE DEL TFR: L’AMMINISTRAZIONE FINANZIARIA DEVE APPLICARE LA CLAUSOLA DI SALVAGUARDIA?

 

In tema di riliquidazione dell’imposta dovuta sul trattamento di fine rapporto (T.F.R.) liquidato dal datore di lavoro, anche l’Amministrazione finanziaria è tenuta a considerare la c.d. “clausola di salvaguardia” di cui al comma 9 dell’articolo 1 della Legge n. 296 del 2006 (Finanziaria per il 2006) il quale prevede che “Ai fini della determinazione dell’imposta sul reddito delle persone dovuta sui trattamenti di fine rapporto … si applicano, se più favorevoli, le aliquote e gli scaglioni di reddito vigenti al 31 dicembre 2006”.

 

Ad affermarlo sono stati recentemente i giudici della Commissione Tributaria Regionale della Lombardia i quali con la sentenza n. 1114 del 23 marzo 2022 hanno annullato un avviso di accertamento con cui l’Amministrazione finanziaria aveva riliquidato l’imposta dovuta ai fini Irpef dal contribuente sulle somme percepite alla cessazione del rapporto di lavoro senza tener conto della clausola di salvaguardia.

 

Infatti, l’applicabilità della clausola di salvaguardia ai trattamenti di fine rapporto maturati fino al 31 dicembre 2000 non costituirebbe il modus operandi dell’Ufficio il quale, in sede di liquidazione definitiva dell’Irpef, procede a calcolare l’imposta considerando la media impositiva ordinaria degli ultimi cinque anni come prevede l’articolo 19 del Testo Unico Imposte sui redditi (D.P.R. n. 917/1986 – TUIR). Ritiene infatti l’Agenzia delle Entrate che la clausola dii salvaguardia sarebbe applicabile solo per i trattamenti di fine rapporto maturati sino al 31 dicembre 2000, avendo la Legge di stabilita 2013 rideterminato gli scaglioni e le aliquote impositive ed abrogato la norma istitutiva della clausola di salvaguardia.

 

I giudici milanesi hanno bocciato la tesi dell’Agenzia delle Entrate ed hanno invece chiarito che ai fini della determinazione dell’imposta sul reddito delle persone fisiche dovuta sui trattamenti di fine rapporto, non sussiste una limitazione temporale di applicazione della clausola di salvaguardia alla quota di T.F.R. maturato al 31 dicembre 2000, a fronte del chiaro ed espresso dettato letterale dell’articolo 1, comma 9, della L. 27 dicembre 2006 n. 296. La legge di stabilita del 2013, peraltro, non ha abrogato la disposizione di cui si controverte, in quanto l’articolo del disegno di legge che prevedeva tale abrogazione nel corso dei lavori parlamentari non è stato approvato.

 

Va inoltre osservato che il citato comma 9 dell’articolo 1 della Legge 296/06 non specifica se l’applicazione del più favorevole regime di tassazione vigente al 31 dicembre 2006 debba essere operata solo dal sostituto d’imposta o anche dall’Amministrazione finanziaria in sede di riliquidazione. Nel silenzio della legge si ritiene che anche l’Agenzia delle Entrate sia tenuta ad applicare al T.F.R. la clausola di salvaguardia. Peraltro, lo stesso Ufficio, con circolare n. 13 del 2007, aveva chiarito che “L’amministrazione finanziaria in sede si controllo e di riliquidazione dell’imposta, effettua nuovamente la verifica della tassazione più favorevole…”.

 

Giova comunque ricordare che a decorrere dal 1° gennaio 2022 con l’approvazione della Legge di Bilancio 234 del 2021 che ha modificato in melius gli scaglioni di reddito e le relative aliquote, è probabile che la tassazione risulti essere più favorevole al contribuente e di conseguenza non si debba più ricorrere all’applicazione della clausola di salvaguardia. Chissà se l’Agenzia delle Entrate inizierà invece, proprio ora, ad applicare la clausola di salvaguardia! Come sempre… occhi aperti!!!!

 

 

g.sforzini@macchi-gangemi.com

 

 

DISCLAIMER: Questa newsletter fornisce solo informazioni generali e non costituisce una consulenza legale da parte di Macchi di Cellere Gangemi. L’autore dell’articolo o il vostro contatto in studio sono a Vostra disposizione per qualsiasi ulteriore chiarimento.

 

 

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