LATEST NEWS & INSIGHTS 10 giugno 2022

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“NEGATIVA SUNT PROBANDA!” – LA CUPOLA DI SAN PIETRO NON È CROLLATA ED IL TEVERE NON È ASCIUTTO!

 

Con l’ordinanza n. 35146/2021 la Corte di Cassazione ha finalmente dettato il principio di diritto secondo cui “la circostanza che un capitolo di prova per testimoni sia formulato sotto forma di interrogazione negativa non costituisce, di per sé, causa di inammissibilità della richiesta istruttoria”.

 

Nello specifico, l’intervento della Cassazione ha tratto origine da una controversia in cui un cittadino chiedeva di provare per testimoni di aver riportato una caduta a causa di “numerose buche non visibili presenti sul manto stradale”.

 

In primo grado, il Tribunale escludeva l’ammissibilità del capitolo di prova per quattro diversi motivi, tra cui la sua formulazione negativa.

 

In secondo grado, la Corte d’Appello confermava l’inammissibilità del capitolo poiché vertente “su circostanze valutative negativamente formulate”.

 

Interpellata sul punto, la Cassazione ha, invece, immediatamente ricordato che “nessuna norma di legge e nessun principio desumibile in via interpretativa impedisce di provare per testimoni che un fatto non sia accaduto o non esista. Così, ad esempio, non sarebbe inibito provare per testimoni che la cupola di San Pietro non è crollata; ovvero che il Tevere non è asciutto”.

 

Non solo.

 

Proseguendo nella sua analisi, la Suprema Corte si è soffermata sul diffuso orientamento della giurisprudenza di merito per cui la prova di un fatto negativo andrebbe offerta mediante la dimostrazione di un fatto positivo contrario ed ha affermato – ancor più chiaramente – che “l’inaccettabile opinione che il capitolo di prova testimoniale debba essere formulato in modo positivo, spesso ripetuta come un Mantra, oltre che erronea in diritto è anche manifestamente insostenibile sul piano della logica…. Chiedere, infatti, a taluno di negare che un fatto sia vero equivale, sul piano della logica, a chiedergli di affermare che quel fatto non sia vero. Sicché l’opinione che non ammette la possibilità di formulare capitoli di prova testimoniale in modo negativo perviene al paradosso di ammettere o negare la prova non già in base al suo contenuto oggettivo, ma in base al tipo di risposta che si sollecita dal testimone”.

 

Per la Cassazione, quindi, la formulazione negativa del capitolo di prova non è (e non potrà essere considerata) di per sé causa di inammissibilità del mezzo istruttorio.

 

Ciò non significa, tuttavia, che la formulazione negativa del capitolo di prova possa dirsi libera da qualsivoglia regola, ritenendosi comunque condivisibile e prudente condizionarla alla prova di fatti ben circoscritti nel tempo e nello spazio e tenendo sempre a mente che la formulazione del capitolo non deve in ogni caso essere generica, valutativa o, peggio ancora, attinente alla prova di un fatto irrilevante (quale certamente non è la circostanza che la Cupola di San Pietro stia sempre al suo posto!).

 

 

v.spinelli@macchi-gangemi.com
(with the collaboration of Chiara Gentile)

 

 

 

UN SOCIO STRANIERO PUÒ COSTITUIRE UNA S.R.L. MEDIANTE PROCURA CONFERITA CON SCRITTURA PRIVATA AUTENTICATA?

 

Nel nostro ordinamento giuridico le società di capitali sono tra le più diffuse e utilizzate per svolgere attività d’impresa. Tra queste, la forma più semplice e flessibile è quella della società a responsabilità limitata (s.r.l.), che rappresenta un modello intermedio tra le società per azioni e le società di persone.

 

Per quanto attiene la forma dell’atto costitutivo di tale tipologia societaria, il codice civile prevede che debba essere necessariamente redatto per atto pubblico notarile, a pena di nullità. Il Notaio deve dunque provvedere al deposito dell’atto pubblico presso il Registro delle Imprese (e l’autonomia patrimoniale potrà dirsi acquisita, solo a seguito dell’avvenuta iscrizione presso il Registro).

 

La disciplina codicistica prevede, inoltre, che la nullità della società possa essere dichiarata in caso di:

 

(i) mancata stipulazione dell’atto costitutivo nella forma dell’atto pubblico;

 

(ii) illiceità dell’oggetto sociale;

 

(iii) mancanza nell’atto costitutivo di ogni indicazione riguardante la denominazione della società, o i conferimenti, o l’ammontare del capitale sociale o l’oggetto sociale.

 

Il quadro normativo in tema di nullità della società è completato dalla Direttiva del Parlamento Europeo e del Consiglio n. 2009/101/CE, che impone la forma dell’atto pubblico per gli atti inerenti alla creazione e alle modificazioni delle società, laddove l’ordinamento di riferimento non preveda controlli di carattere preventivo, amministrativo o giudiziario.

 

Ciò detto, atteso che le peculiari caratteristiche della s.r.l. in Italia contribuiscono ad incentivare l’utilizzo di tale forma societaria nel caso in cui imprenditori stranieri vogliano effettuare degli investimenti in Italia, occorre interrogarsi sulla forma degli atti propedeutici alla costituzione della società compiuti all’estero (i.e.: procura). In particolare, potrà il socio straniero che intenda costituire una s.r.l. e non possa intervenire personalmente all’atto di costituzione della società farsi rappresentare da un terzo munito di procura conferita con scrittura privata autenticata?

 

In termini generali, ai sensi dell’art. 1324 c.c. la procura costituisce un negozio unilaterale recettizio con cui un soggetto conferisce ad un altro il potere di rappresentarlo. Sul piano del contenuto, la procura può essere generale, ove inerisca tutti gli affari di un dato soggetto, o speciale, se riguardi un preciso affare, come solitamente avviene nel caso della costituzione di una s.r.l.. Per quanto attiene la validità formale della procura, come sopra ricordato nel nostro ordinamento vige il principio del parallelismo della forma, in ragione del quale la procura deve avere la stessa forma del contratto o dell’atto giuridico che mediante la procura stessa dovrà essere concluso.

 

Da ciò discende che la forma dell’atto pubblico prescritta per la costituzione di s.r.l. richiederebbe necessariamente l’adozione della medesima forma per il conferimento della procura.

 

Prima facie, pertanto, tale norma sembrerebbe escludere la validità della costituzione della società in Italia laddove la procura sia conferita da un socio straniero per mezzo di scrittura privata autenticata.

 

Va ricordato, tuttavia, che il richiamato principio del parallelismo della forma risulta essere mitigato dalla disciplina di cui alla legge n. 218 del 31 maggio 1995 di riforma del sistema italiano di diritto internazionale privato.

 

In particolare, in tema di rappresentanza volontaria, il comma 2° dell’art. 60 di detta legge prevede che “l’atto di conferimento dei poteri di rappresentanza è valido, quanto alla forma, se considerato tale dalla legge che ne regola la sostanza oppure dalla legge dello Stato in cui è posto in essere”.

 

Ai fini del riconoscimento della validità formale della procura conferita all’estero, quindi, la norma prevede un duplice criterio alternativo riguardo alla forma da rispettarsi. Nel caso di specie, stante la necessità della forma dell’atto pubblico prevista dalla normativa italiana, occorre interrogarsi su quale sia la forma minima necessaria nel paese dove si forma la procura per la costituzione di una società a responsabilità limitata o tipo societario affine e ove l’ordinamento estero contempli la costituzione di tale tipo societario mediante scrittura privata autenticata, la medesima forma dovrà ritenersi sufficiente anche per la redazione (in tale paese) della procura da utilizzarsi in Italia (ove del caso debitamente legalizzata o munita di apostille).

 

 

m.patrignani@macchi-gangemi.com
m.dragone@macchi-gangemi.com
g.pappacena@macchi-gangemi.com

 

 

 

LE TABELLE PER LA LIQUIDAZIONE DEI COMPENSI AGLI AVVOCATI: QUALI NOVITÀ CI ATTENDONO?

 

Prosegue l’iter parlamentare per la modifica del decreto 10 marzo 2014, n. 55 concernente la determinazione dei parametri per la liquidazione dei compensi per la professione forense. Diverse le novità che si profilano sia in ambito giudiziale che stragiudiziale.

 

È all’esame del Senato uno schema di decreto ministeriale per modificare il D.M. 10.03.2014 n. 55 che il Ministro della Giustizia dovrebbe adottare dopo aver valutato le proposte di modifica del Consiglio Nazionale Forense del 17.02.2022 (delibera n. 535) e pressoché coevo parere n. 183/2022 del Consiglio di Stato, Sezione Normativa; si tratta di un intervento che segue quello già operato con il D.M. 37 del 2018, quando furono indicati più generosi aumenti/diminuzioni dei compensi rispetto ai parametri generali, furono contemplati aumenti per gli atti informatici redatti con tecniche idonee ad agevolarne la fruizione o la consultazione, fu regolato il compenso per le mediazioni e negoziazioni assistite, ecc..

Tra le novità che dovrebbero essere introdotte segnaliamo la facoltà del giudice di aumentare i valori medi indicati nelle tabelle non più sino all’80 per cento ma nel più ridotto limite del 50 per cento (v. art. 2 regolamento).

 

Verrà anche rimossa la locuzione “di regola” presente in numerose disposizioni del D.M. 55/2014 in relazione alla percentuale di aumento o diminuzione dei parametri medi che, secondo il CNF, lasciava troppa discrezionalità nelle mani dell’A.G. nella determinazione dei compensi.

 

Sarà inoltre previsto il riconoscimento di un compenso per la fase di studio della controversia in favore del professionista che subentra nella difesa del cliente in un momento successivo alla fase introduttiva (nuovo comma 5-bis art. 4 D.M. 2014/55), avvicendamento che può ricorrere con una certa frequenza nelle aule di giustizia.

 

Un’altra novità riguarda il caso di dichiarata responsabilità processuale ex art. 96 c.p.c. o di inammissibilità, improponibilità o improcedibilità della domanda: in tali ipotesi il compenso dell’avvocato della parte soccombente sarà ridotto del 75 per cento – non più del 50% – rispetto a quello altrimenti spettante (nuovo comma 9 art. 4 D.M. 55/2014); a ben vedere, però, la previsione rimarrà, come in passato, lettera morta visto il caso davvero poco frequente di liquidazione di compensi alla parte soccombente.

Sono previste modifiche anche per i giudizi innanzi alla Corte di cassazione: il compenso per la fase decisionale potrà essere aumentato fino al 50 per cento a seguito del deposito della memoria ex art. 378 c.p.c. (nuovo comma 10-quater art. 4 D.M. 55/2014).

 

Verrà anche inserita un’apposita tabella per l’assistenza nei procedimenti per l’accertamento del passivo fallimentare e per le procedure di liquidazione giudiziale (nuova tabella 20-bis), tabella che seguirà quella già prevista per la sola dichiarazione di fallimento (tabella 20); numeri alla mano, va notata una riduzione del 20% di tali nuovi compensi rispetto a quelli già previsti per i giudizi ordinari e sommari di cognizione innanzi al tribunale (tabella 2); un trattamento al ribasso che, invero, non si spiega considerata anche la complessità tecnica e giuridica dei temi che spesso investono simili contenziosi.

 

Sempre nell’ambito delle procedure concorsuali, e precisamente nei procedimenti di ammissione al passivo ed impugnazione dello stato passivo aventi ad oggetto crediti di lavoro dipendenti, i parametri previsti potranno essere ridotti fino al 50 per cento (nuovo comma 10-quinquies art. 4 D.M. 55/2014).

 

Con il nuovo decreto saranno anche regolamentati i compensi a tempo: in caso di loro pattuizione si dovrà tenere conto di un parametro indicativo che va da un minimo di 200 euro ad un massimo di 500 euro per ciascuna ora o frazione di ora superiore ai trenta minuti (nuovo art. 22-bis D.M. 55/2014).

 

Utile, infine, la prospettata suddivisione dei parametri per l’attività stragiudiziale: sino ad oggi i compensi venivano liquidati con criterio omnicomprensivo in relazione ad ogni attività prestata per il singolo affare; con il nuovo regolamento, invece, se detto affare si comporrà di più fasi o parti autonome, le stesse potranno essere liquidate in modo del tutto separato (inserimento art. 18 comma 1° D.M. 55/2014).

 

Le novità sono dunque diverse; per spendersi in ulteriori commenti e valutazioni sarà necessario attendere l’approvazione definitiva del testo ora all’esame del Senato.

 

 

e.storari@macchi-gangemi.com
g.briggi@macchi-gangemi.com

 

 

 

TRANSFER PRICING: PUBBLICATA LA CIRCOLARE DELL’AGENZIA DELLE ENTRATE N. 16/E DEL 24 MAGGIO 2022 CON CUI SONO STATE FORNITE LE ISTRUZIONI OPERATIVE PER LA CORRETTA INTERPRETAZIONE DELLA NOZIONE DI “INTERVALLO DI LIBERA CONCORRENZA”.

 

La corretta applicazione del metodo più appropriato per la determinazione dei prezzi di trasferimento può portare a ottenere anziché un unico valore, un intervallo di valori tutti conformi al principio di libera concorrenza. Le istruzioni operative sul punto sono state recentemente (e finalmente) pubblicate dall’Agenzia delle Entrate.

Con la Circolare n. 16/E del 24 maggio 2022 (la “Circolare”), l’Agenzia delle Entrate ha fornito istruzioni operative in merito alla corretta interpretazione della nozione di “intervallo di libera concorrenza” prevista dall’art. 6 del Decreto del Ministro dell’Economia e delle Finanze del 14 maggio 2018 (il “Decreto”), recante linee guida in materia di prezzi di trasferimento (transfer pricing).

 

Il Decreto è ispirato alle Linee Guida OCSE in materia di transfer pricing (la cui disciplina domestica è recata dall’art. 110, comma 7 del TUIR) e stabilisce, in particolare:

 

– che le operazioni transfrontaliere tra imprese associate (ovvero, con partecipazione nella gestione, nel controllo o nel capitale) debbano essere valutate nel rispetto del principio della libera concorrenza;

 

– per il tramite di taluni metodi (c.d. “metodi per determinare i prezzi di trasferimento”) che consentono la valorizzazione di un’operazione controllata tramite prezzi di trasferimento.

 

L’art. 6 del Decreto introduce altresì il concetto di “intervallo di libera concorrenza”, definendolo come quell’intervallo di valori definiti dagli indicatori finanziari scelti in attuazione del metodo più appropriato relativo a ciascuna operazione tra terzi indipendenti che rientra nel perimetro dell’operazione controllata.

 

In tale scenario, la Circolare evidenzia che si considera conforme al principio di libera concorrenza l’intervallo di valori formato dagli indicatori finanziari in applicazione del metodo più appropriato relativo a ciascuna operazione tra terzi indipendenti comparabile con l’operazione controllata.

 

Un’operazione controllata, o un insieme di operazioni controllate aggregate, si considerano realizzati in conformità al principio di libera concorrenza, qualora il relativo indicatore finanziario sia compreso nell’intervallo.

 

Vengono individuate due casistiche distinte:

 

– se le operazioni hanno il medesimo grado di comparabilità con l’operazione controllata va considerato l’intero intervallo di valori risultante dall’applicazione dell’indicatore finanziario prescelto (c.d. “full range”);

 

– se invece le transazioni non hanno lo stesso grado di comparabilità, è necessario riferirsi agli “strumenti statistici” individuati dalle Linee Guida OCSE per restringere l’intervallo (c.d. “range ristretto”).

 

In entrambi i casi sopra riportati, tutti i valori contenuti all’interno dell’intervallo sono considerati conformi al principio di libera concorrenza (arm’s length).

 

Ne consegue ulteriormente che, se l’indicatore finanziario ricade al di fuori dell’intervallo di libera concorrenza, la società deve fornire idonea documentazione al fine di evitare la ripresa fiscale; se questa prova non viene fornita, o è fornita in modo non soddisfacente, la ripresa è effettuata individuando il “punto” che soddisfa maggiormente il principio di libera concorrenza all’interno dell’intervallo.

 

L’esempio posto dalla Circolare è quello dell’intervallo individuato dalla società tra 80 e 120, con collocazione dell’indicatore finanziario su 80, quando invece l’Agenzia delle Entrate individua l’intervallo tra 100 e 120: in questo caso, il prezzo congruo sarebbe fissato nel valore minimo di 100, con conseguente ripresa in aumento di 20.

 

Ove si debba fare riferimento al più complesso sistema degli strumenti statistici, la collocazione dell’indicatore finanziario avverrebbe all’interno di un intervallo “ristretto”, come ad esempio quello basato sui percentili.

 

 

a.salvatore@macchi-gangemi.com
f.dicesare@macchi-gangemi.com

 

 

 

NON APPLICABILITÀ DELL’IMPOSTA DI BOLLO NEI PROCEDIMENTI SOGGETTI A CONTRIBUTO UNIFICATO NEL CONTESTO DEL TESTO UNICO DELLE SPESE DI GIUSTIZIA (DPR N. 115/2002) E DELLA CIRCOLARE DEL MINISTERO DELLA GIUSTIZIA N.83861.E, DEL 20 SETTEMBRE 2021.

 

In materia di assolvimento dell’imposta di bollo dovuto per l’asseverazione delle perizie ed il giuramento delle traduzioni nei procedimenti civili, gli Uffici giudiziari preposti – nonostante l’articolo 18 comma 2 del Testo Unico in materia di spese di Giustizia ne preveda l’esenzione per gli atti “antecedenti e funzionali” nei procedimenti civili soggetti al pagamento del contributo unificato – richiedono il pagamento dell’imposta sulla base di una particolare interpretazione della Circolare del Ministero della Giustizia n.83861.E, del 20 settembre 2021.

 

La questione nasce da una circolare interpretativa del Ministero della Giustizia cui gli uffici giudiziari danno una singolare interpretazione. In particolare, a seguito della predetta interpretazione della circolare l’esenzione dal versamento dell’imposta di bollo prevista per gli atti antecedenti, necessari o funzionali ai procedimenti civili già soggetti a contributo unificato non viene applicata al giuramento delle traduzioni di atti processuali.

 

La materia è regolata dal Testo Unico in materia di Spese di Giustizia (DPR n. 115/2002) (“Testo Unico”). In particolare, l’articolo 18 del succitato DPR, prevede che l’imposta di bollo non si applichi agli atti ed ai provvedimenti nei procedimenti civili soggetti a contributo unificato. Il secondo comma della stessa norma estende l’esenzione anche a “tutti gli atti processuali, inclusi quelli antecedenti, necessari o funzionali”.

 

Nel Settembre 2021, il Ministero della Giustizia – Dipartimento per gli Affari di Giustizia, ha emanato una circolare (n.83861.E, del 20 settembre 2021, la “Circolare”) di chiarimento circa la corretta interpretazione da attribuire alla norma di cui all’articolo 18 del Testo Unico. Ai sensi di detta circolare, l’esenzione dall’imposta di bollo prevista dall’articolo 18 del Testo Unico non trova applicazione in caso di traduzione giurata o asseverazione di certificati rilasciati all’estero o dallo Stato italiano in materia di stato civile e ciò sulla base del fatto che:

 

– l’asseverazione delle perizie ed il giuramento delle traduzioni sarebbero atti giuridicamente neutri e quindi difettanti degli elementi di necessarietà, funzionalità e correlazione con un procedimento giurisdizionale richiesti dal secondo comma dell’art. 18 del Testo Unico (in particolare, la circolare fa riferimento all’asseveramento delle perizie, suscettibili di essere utilizzate anche in via stragiudiziale);

 

– difetterebbe, inoltre, il requisito di parte processuale sia con riferimento al perito che con riferimento al traduttore (non viene specificato invece il caso in cui sia la parte stessa o il legale a prestare il giuramento).

 

In definitiva, ai sensi della Circolare, l’imposta di bollo non potrebbe considerarsi assorbita dal contributo unificato con riferimento alla traduzione giurata o all’asseverazione di certificati rilasciati all’estero o dallo Stato italiano in materia di stato civile.

 

In applicazione della suddetta circolare, gli Uffici Giudiziari preposti al giuramento delle traduzioni e all’asseveramento delle perizie non applicano l’esenzione ad alcuni atti tra cui, inter alia, il giuramento di traduzioni di atti processuali prestato da parti processuali.

 

Ad avviso di chi scrive, l’interpretazione degli Uffici Giudiziari non è in linea con il testo della Circolare ed è palesemente in contrasto con l’articolo 18 del Testo Unico per diversi motivi:

 

– la circolare fa esclusivamente riferimento alla traduzione giurata o all’asseverazione di certificati rilasciati all’estero o dallo Stato italiano in materia di stato civile e non a qualsiasi atto processuale;

 

– la traduzione degli atti processuali (quali atti di citazione e memorie) che, per altro, è requisito per la notifica all’estero dell’atto non può essere considerata sprovvista degli elementi di necessarietà, funzionalità e correlazione con un procedimento giurisdizionale richiesti dal secondo comma dell’art. 18 del Testo Unico.

 

In definitiva, si ritiene che la traduzione giurata di atti processuali in procedimenti civili soggetti a contributo unificato debba rientrare nell’ambito di applicazione dell’esenzione prevista dall’articolo 18 del Testo Unico.

 

 

f.lauro@macchi-gangemi.com

 

 

DISCLAIMER: Questa newsletter fornisce solo informazioni generali e non costituisce una consulenza legale da parte di Macchi di Cellere Gangemi. L’autore dell’articolo o il vostro contatto in studio sono a Vostra disposizione per qualsiasi ulteriore chiarimento.

 

 

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