LATEST NEWS & INSIGHTS 29 luglio 2022

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IL CODICE DELLA CRISI DI IMPRESA E DELL’INSOLVENZA È ENTRATO FINALMENTE IN VIGORE.

 

Come probabilmente saprete, il 15 luglio 2022 è entrato finalmente in vigore il Codice della crisi di impresa e dell’insolvenza, contenuto nel D.Lgs. 14/2019. L’entrata in vigore, a eccezione di qualche disposizione, è stata più volte rinviata e il testo è stato soggetto a numerose modifiche, l’ultima pochi giorni fa con il D.Lgs. 83/2022 (pubblicato il 1° luglio).

 

Il Codice contiene (anche in attuazione di norme unionali) numerosi strumenti per la gestione di situazioni di crisi, nell’intento di fornire al debitore, ai creditori e alle altre parti interessate, la possibilità di individuare soluzioni il più possibile aderenti al caso specifico.

 

La nuova disciplina è molto articolata e complessa per cui non può certo essere riassunta in un post. Ci limitiamo qui a segnalare qualche aspetto:

 

1. Scompare il termine ‘fallimento’, sostituito da ‘liquidazione giudiziale’, nome dell’istituto che ricalca sostanzialmente l’attuale fallimento.

 

2. L’imprenditore collettivo deve istituire un assetto organizzativo, amministrativo e contabile adeguato ai fini della tempestiva rilevazione dello stato di crisi, assetto che deve consentire, tra l’altro, di: (a) rilevare eventuali squilibri di carattere patrimoniale o economico-finanziario; (b) verificare la sostenibilità dei debiti e le prospettive di continuità aziendale per almeno dodici mesi.

3. La composizione negoziata per la soluzione della crisi di impresa, introdotta dal D.L. 118/2021 è stata sostanzialmente trasfusa nel Codice.

 

4. Per quanto riguarda i doveri dei creditori, finanziari e non finanziari, in aggiunta a quelli previsti nell’ambito della composizione negoziata, nel corso delle trattative e dei procedimenti per l’accesso agli strumenti di regolazione della crisi i creditori devono comportarsi secondo buona fede e correttezza, devono collaborare lealmente con il debitore e gli organi delle procedure e devono rispettare l’obbligo di riservatezza sulla situazione del debitore. Occorre quindi prestare una certa attenzione qualora un nostro cliente abbia a che fare con una impresa in crisi.

 

5. Misure protettive (inibizione all’inizio e prosecuzione di azioni esecutive e cautelari sul patrimonio del debitore o sui beni o diritti con i quali viene esercitata l’impresa): è prevista un’ampia possibilità per il debitore, anche nel corso delle trattative (prima di aver richiesto l’accesso a uno strumento di regolazione della crisi), di richiedere tali misure al tribunale.

 

6. Tra gli strumenti di regolazione della crisi, oltre a rilevanti modifiche in tema di concordato preventivo, di nuovissima introduzione (D.Lgs. 83/2022, pubblicato il 1° luglio) è il piano di ristrutturazione omologato (PRO), che può essere descritto come un concordato preventivo facilitato dal punto di vista del procedimento e dei tempi di attuazione (in estrema sintesi: il debitore propone un piano di ristrutturazione che viene sottoposto al voto dei creditori e viene omologato dal Tribunale se ottiene l’approvazione della maggioranza degli stessi e, in caso di opposizione di alcun creditore, verificata la convenienza rispetto alla liquidazione giudiziale).

 

7. La vecchia disciplina continuerà ad applicarsi alle procedure iniziate entro il 14.7.2022.

 

 

s.rossi@macchi-gangemi.com
g.bonfante@macchi-gangemi.com

 

 

 

ARBITRATO ESTERO: LE SEZIONI UNITE AFFERMANO CHE LA MANCATA COSTITUZIONE DEL CONVENUTO IMPLICA ACCETTAZIONE DELLA GIURISDIZIONE E VOLONTÀ DI NON AVVALERSI DELLA CLAUSOLA COMPROMISSORIA.

 

Con ordinanza n. 17244 del 27.05.2022 la Corte di Cassazione a Sezioni Unite ha chiarito che il giudice non può dichiarare d’ufficio il proprio difetto di giurisdizione in presenza di una clausola compromissoria per arbitrato estero inserita nel contratto intercorso tra le parti, nel caso in cui la controparte contrattuale convenuta in giudizio sia contumace e, quindi, in difetto di una eccezione di arbitrato da parte di quest’ultima.

 

La controversia in esame era insorta tra una società italiana ed una società algerina, le quali avevano sottoscritto un contratto avente ad oggetto la vendita, da parte della società italiana, di un impianto per la macinazione in favore della società algerina. La venditrice aveva rilasciato una garanzia bancaria italiana di buona esecuzione. Dopo la consegna e messa in opera dell’impianto quest’ultimo presentava dei difetti e pertanto l’acquirente escuteva la garanzia. La banca corrispondeva all’acquirente la somma garantita rivalendosi poi sulla venditrice.

 

Nonostante il contratto di compravendita contenesse una clausola compromissoria per arbitrato estero, la società venditrice, anziché promuovere un arbitrato, conveniva in giudizio dinanzi al Tribunale di Modena l’acquirente algerina e la banca italiana, chiedendo l’accertamento del corretto funzionamento dell’impianto e dell’illegittimità dell’escussione della garanzia, con condanna della banca alla restituzione di quanto pagato e condanna dell’acquirente al risarcimento danni.

 

La convenuta algerina rimaneva contumace, mentre la banca, costituendosi in giudizio, eccepiva la carenza di giurisdizione del Tribunale adito in virtù della sopracitata clausola compromissoria.

 

Il Tribunale di Modena non prendeva in considerazione l’eccezione di arbitrato sollevata dalla banca in quanto estranea alla convenzione arbitrale e pertanto priva di legittimazione a sollevarla. Tuttavia, dichiarava d’ufficio il proprio difetto di giurisdizione con riferimento al rapporto di vendita tra la società italiana e quella algerina, stante la contumacia dell’acquirente, ai sensi dell’art. 11 della L. 31.05.1995, n. 218, secondo cui il difetto di giurisdizione “[…] È rilevato dal giudice d’ufficio, sempre in qualunque stato e grado del processo, se il convenuto è contumace, […] ovvero se la giurisdizione italiana è esclusa per effetto di una norma internazionale”.

 

La decisione veniva confermata dalla Corte d’Appello di Bologna.

 

La venditrice proponeva ricorso per cassazione dolendosi, inter alia, della illegittimità del rilievo officioso del difetto di giurisdizione.

 

Le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, ricordando in primo luogo che integra questione di giurisdizione quella scaturente dalla presenza di una convenzione di arbitrato estero, si è discostata dalle pronunce dei giudici di prime cure ed ha confermato la giurisdizione del giudice italiano chiarendo che “Il difetto di giurisdizione del giudice italiano, in conseguenza di una clausola compromissoria per arbitrato estero, non è rilevabile d’ufficio, stante l’imprescindibile carattere volontario dell’arbitrato in forza del quale le parti, pur in presenza di una clausola compromissoria, possono sempre concordemente optare per una decisione da parte del giudice ordinario, anche tacitamente, mediante l’introduzione del giudizio in via ordinaria alla quale faccia riscontro la mancata proposizione dell’eccezione di compromesso, né, in caso di contumacia del convenuto, risulta applicabile l’art. 11 della l. n. 218 del 1995, che non contempla espressamente l’ipotesi in cui alla base del difetto di giurisdizione vi sia una convenzione di arbitrato estero”.

 

La pronuncia di cui sopra affonda le proprie radici su due precedenti giurisprudenziali: la sentenza della Corte Costituzionale n. 127/1977, che aveva precisato che “il fondamento di qualsiasi arbitrato è da rinvenirsi nella libera scelta delle parti” e che “non può più ricercarsi e porsi in una legge ordinaria o, più generalmente, in una volontà autoritativa”, e l’ordinanza della Corte di Cassazione n. 22748/2015 relativa ad un caso di arbitrato nazionale (e non estero, come quello in commento), nella quale era stato già affermato che il giudice ordinario non può rilevare d’ufficio la propria incompetenza in favore dell’arbitrato e che la dichiarazione di incompetenza è necessariamente subordinata alla proposizione della relativa eccezione da parte del convenuto nella comparsa di risposta tempestivamente depositata. Si trattava tuttavia di un caso in cui il convenuto si era costituito ma aveva sollevato tardivamente l’eccezione.

 

Con questa decisione le Sezioni Unite della Corte di Cassazione evidenziano la natura volontaria dell’arbitrato e, su tali basi, equiparano la mancata comparizione in giudizio del convenuto all’espressione della revoca della scelta dell’arbitrato ed all’accettazione implicita della giurisdizione del giudice ordinario.

 

Rileviamo, tuttavia, che potrebbero emergere problemi in sede di riconoscimento ed esecuzione all’estero della sentenza emessa dal giudice italiano ai sensi del Regolamento (UE) 1215/2012, se si tratta di controversia comunitaria, o ai sensi delle convenzioni bilaterali tra Stati o delle norme di diritto internazionale privato applicabili nello Stato ricevente, in caso di controversia extra-comunitaria, in quanto la parte contro cui viene richiesto il riconoscimento o l’esecuzione potrebbe opporsi ad essi sostenendo che la controversia avrebbe dovuto essere devoluta all’arbitrato in virtù della clausola compromissoria pattuita dalle parti nel contratto.

 

 

s.lazzeretti@macchi-gangemi.com
s.mavelli@macchi-gangemi.com

 

 

 

RESPONSABILITÀ DA MALPRACTICE: IL CONSIGLIO DI STATO SOSPENDE L’ANALISI SULLO SCHEMA DI REGOLAMENTO DEL MINISTERO DELLO SVILUPPO ECONOMICO ATTUATIVO DEI REQUISITI MINIMI DI POLIZZE ASSICURATIVE E ANALOGHE MISURE (C.D. AUTOASSICURAZIONE).

 

Lo schema di regolamento, dopo l’approvazione della Conferenza Stato-Regioni, era in attesa del parere del Consiglio di Stato e di imminente emanazione cosicché, dopo 5 anni, la l. 24/2017 (legge Gelli Bianco) in materia di assicurazione ed auto assicurazione, avrebbe avuto finalmente piena attuazione. Il Consiglio di Stato, tuttavia, ha ravvisato alcuni vizi di istruttoria e sospeso l’espressione del parere; si allungano pertanto i tempi. Chissà che questa non possa essere l’occasione per migliorare lo schema di regolamento…

 

Nella nostra newsletter del 18 marzo 2022 avevamo anticipato il contenuto dello schema di regolamento del MISE, attuativo della l. n. 24/2017 (LINK).

 

Nell’adunanza del 7 giugno 2022, il Consiglio di Stato, ha sospeso “l’espressione del parere” richiesto dalla legge per l’emanazione del regolamento, in attesa del compimento di alcuni adempimenti individuati nelle motivazioni del provvedimento. Secondo il Consiglio di Stato, il MISE ha semplicemente consultato gli stakeholder mentre era invece obbligato ad acquisire l’avviso di ciascuno di essi (anche perché questi erano individuati nella legge). Il Consiglio di Stato ritiene necessari un maggiore approfondimento (ergo forse anche la revisione dello schema di regolamento) e l’integrazione della relazione illustrativa.

 

Riferisce il Consiglio di Stato che l’ANIA – Associazione Nazionale Imprese di Assicurazione, aveva trasmesso alla Sezione consultiva per gli atti normativi una nota esprimendo alcune critiche sulle modalità di svolgimento delle consultazioni ed esprimendo alcuni punti di dissenso, che si possono di seguito riepilogare:

 

1 – l’introduzione di un meccanismo, non previsto dalla disposizione di legge che regola la materia (art. 3, comma 7, della l. n. 24/2017) del tipo bonus-malus che si ritiene di difficile applicazione in ragione della durata pluriennale delle coperture sanitarie e della durata dei procedimenti di definizione dei sinistri (tale posizione era stata già segnalata nel 2019 dall’Ivass);

 

2 – l’indicazione tassativa delle eccezioni opponibili al danneggiato, senza il riferimento alle eccezioni previste dal codice civile ed all’onere di formazione del personale sanitario ai fini della validità della copertura assicurativa (art. 38 bis dl n. 152/2021);

 

3 – la previsione di limitazioni al diritto di recesso da parte dell’assicuratore non previste dalla disposizione di legge che regola la materia (art. 5 bis l. n. 24/2017);

 

4 – la scarsa chiarezza delle disposizioni sulle riserve da accantonare in caso di misure analoghe di autoassicurazione, in particolare con riferimento alla possibilità della struttura sanitaria di utilizzare o meno i fondi (in assenza di vincoli specifici);

 

A dire il vero, vi sono ulteriori critiche che si possono fare allo schema di regolamento del MISE; per citarne solo alcune:

 

– se lo schema di regolamento aveva l’ambizione di favorire lo sviluppo del mercato assicurativo e la concorrenza tra imprese per ridurre il prezzo dei premi (si ricorda che al momento sul mercato italiano vi è, sostanzialmente, un unico player), l’obiettivo non sembra raggiungibile perché il regolamento produce diverse asimmetrie tra le strutture che optano per l’autoassicurazione e quelle che optano per l’assicurazione, a vantaggio delle prime;

 

– la struttura assicurativa può assicurarsi o adottare le “misure analoghe” (auto assicurazione) ma non vi sono sanzioni in caso di mancata osservanza con il risultato che in caso di violazione, salvo l’adozione di non precisati provvedimenti amministrativi, a non essere tutelati sono proprio i danneggiati;

 

– è assai limitata la possibilità di surroga da parte delle imprese di assicurazione che avrebbe l’effetto di tenere bassi i premi riducendo la differenza tra indennizzi pagati e importi recuperati: solo in caso di dolo o colpa grave, entro un termine di decadenza, entro un importo prestabilito pari al triplo dello stipendio annuo del medico;

 

– il meccanismo dell’impignorabilità, applicabile in base al richiamo all’art. 1, commi 5 e 5 bis, del d.l. 9/1993 non pare ben regolato, nel senso che l’impignorabilità pare assoluta, anche se a chiedere il pagamento sono i danneggiati!

 

Alcuni dei difetti di questo schema di regolamento derivano dall’impianto della legge Gelli Bianco. Chissà che la decisione del Consiglio di Stato ed il necessario, effettivo, confronto con gli stakeholders, non conducano ad un nuovo schema di regolamento più consono agli obiettivi della legge; quanto alla legge Gelli Bianco, a 5 anni dalla sua entrata in vigore, si può affermare che anch’essa meriterebbe un’analisi ed un’ampia revisione, non avendo raggiunto alcuno degli obiettivi che si proponeva.

 

 

e.pucci@macchi-gangemi.com

 

 

 

GOOGLE ANALYTICS: ILLEGITTIMO O NO? LE PROSPETTIVE DELLA VERSIONE 4.0.

 

Nelle ultime settimane ha fatto molto discutere la decisione del Garante Privacy nella quale è stato dichiarato illegittimo l’utilizzo di Google Analytics (LINK), strumento largamente utilizzato da moltissimi siti web, in quanto i dati trasferiti verso gli USA non sono anonimi e non sono presenti garanzie adeguate ai sensi del capo V del GDPR.

 

Questa decisione, tuttavia, riguarda la versione di Google Analytics (“GA3”) e non quella attualmente rilasciata (“GA4”), e quindi molti si interrogano sull’eventuale conformità di tale nuova versione, che dovrebbe garantire il totale anonimato dei dati, oltre alla conservazione dei dati in UE.

 

Il Garante di recente ha dichiarato (tramite Guido Scorza) che “…gli uffici del Garante non hanno avuto occasione di esaminare la versione 4 di Google Analytics semplicemente perché il titolare del trattamento oggetto del provvedimento non la utilizzava, né sin qui tale versione è venuta in rilievo in altri procedimenti analoghi. Impossibile in queste condizioni, pertanto, dire se essa sia o meno in grado di risolvere il problema e consentire l’uso di Google Analytics in conformità alla disciplina europea sul trasferimento dei dati personali negli USA.

 

Il principale problema di GA4, come di qualsiasi servizio fornito da un soggetto statunitense, è l’assoggettamento alla normativa di sicurezza USA, che prevede l’obbligo di fornire informazioni alle autorità di sicurezza (NSA, CIA), a prescindere dal luogo di conservazione dei dati.

 

Allo stesso modo, è utile ricordare che lo script di GA non raccoglie la totalità dei dati dell’utente se impostato in modo che rispetti la normativa GDPR: se l’utente non desidera essere tracciato, una semplice configurazione permette di fare in modo che lo script di GA non venga né caricato, né tantomeno eseguito.

 

È importante precisare che GA4 presenta delle funzionalità aggiuntive a livello di privacy rispetto alla precedente versione. Anche l’autorità privacy francese (“CNIL”) ha espresso un parere favorevole per GA4, a determinazione condizioni, in particolare il tracciamento Server-Side. In breve, la CNIL ha evidenziato che utilizzando un server proxy proprietario a monte del server proxy nativo in GA4 è possibile utilizzare questo strumento conformemente al GDPR; in altre parole, interporre un server localizzato in Europa, in modo da evitare che i dati personali degli utenti arrivino direttamente sui server di Google (a prescindere da dove essi siano localizzati).

 

Si ricorda ancora una volta che il provvedimento succitato menziona esclusivamente GA3; ciò premesso, è un dato di fatto che i principi di funzionamento di tutte le piattaforme americane non sono particolarmente dissimili da quelli di Google Analytics.

 

Una soluzione sarebbe l’auspicato accordo politico e giuridico tra UE e USA che sostituisca il Privacy Shield, dichiarato invalido dalla nota sentenza Schrems II. Nel frattempo, le aziende che hanno sempre utilizzato GA devono iniziare a ragionare su eventuali strumenti alternativi o soluzioni come quelle prospettate dal CNIL o simili, che garantiscano l’anonimato dei dati prima che arrivino a Google.

 

 

r.demarco@macchi-gangemi.com
f.montanari@macchi-gangemi.com

 

 

 

LA CORTE DI CASSAZIONE CONFERMA CHE IL PRINCIPIO DELLA LIBERA CIRCOLAZIONE DEI CAPITALI VIETA DI APPLICARE UN TRATTAMENTO FISCALE AI DIVIDENDI PAGATI AI FONDI DI INVESTIMENTO UE ED EXTRA-UE PEGGIORE DI QUELLO APPLICABILE AI DIVIDENDI PAGATI AI FONDI DI INVESTIMENTO ITALIANI.

 

Con una serie di sentenze di inizio luglio la Corte di Cassazione ha stabilito che la ritenuta alla fonte sui dividendi erogati da società italiane a fondi di investimento UE ed extra-UE, se determina un’imposizione superiore a quella di un fondo di investimento italiano in simili circostanze, viola il principio della libera circolazione dei capitali di cui all’articolo 63 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea (TFUE).

 

Nelle sue sentenze la Cassazione si è pronunciata a favore delle richieste di rimborso delle ritenute alla fonte riscosse sui dividendi pagati a un fondo di investimento tedesco nel 2003 e sui dividendi pagati a sei fondi di investimento statunitensi dal 2007 al 2010.

 

A quel tempo i fondi di investimento italiani che percepivano dividendi erano soggetti a un’imposta del 12,5% sul risultato maturato della gestione (tale aliquota poteva essere ridotta al 5% o allo 0% in circostanze specifiche), mentre i fondi di investimento esteri erano soggetti alla ritenuta alla fonte del 27%, salvo applicazione delle convenzioni per evitare le doppie imposizioni.

 

Il fondo d’investimento tedesco chiedeva il pieno rimborso della ritenuta alla fonte del 15% riscossa ai sensi del trattato fiscale tra Italia e Germania in quanto, nelle medesime circostanze, un fondo di investimento italiano non sarebbe stato soggetto ad imposta (i fondi di investimento italiani partecipati solo da certi investitori non residenti erano esenti).

 

I fondi di investimento statunitensi chiedevano il rimborso della differenza tra la ritenuta alla fonte del 15% riscossa ai sensi del trattato tra Italia e Stati Uniti e l’imposta del 12,5% che sarebbe stata pagata (sul risultato maturato nel periodo d’imposta pertinente) da un fondo italiano.

 

Il regime fiscale dei fondi di investimento italiani esaminato dalla Corte di Cassazione è cambiato dal 1° luglio 2011 ma il ragionamento della Corte può valere anche per il regime successivo. Infatti, i fondi di investimento italiani non sono più soggetti ad imposta sul risultato della gestione maturato nel periodo di imposta ma esenti, rendendo così ancora più discriminatorio il trattamento dei fondi di investimento esteri.

Soltanto a partire dal primo gennaio 2021, a seguito di una procedura avviata dalla Commissione per valutare l’esistenza di una violazione delle libertà fondamentali, la ritenuta alla fonte è stata abolita con riferimento alle sole distribuzioni effettuate a fondi di investimento UE vigilati. La ritenuta continua ad applicarsi ai fondi di investimento extra UE.

 

Queste sentenze della Cassazione – che sono in linea con la giurisprudenza della Corte di Giustizia UE – sono, dunque, suscettibili di influenzare positivamente le decisioni dei giudici di merito di Pescara che stanno ora esaminando centinaia di richieste di rimborso presentate da fondi di investimento esteri e respinte dall’Agenzia delle Entrate.

 

I fondi di investimento UE ed extra UE che non ancora hanno presentato l’istanza di rimborso dovrebbero considerare di farlo. Le richieste di rimborso possono essere presentate entro 48 mesi dalla data di pagamento della ritenuta alla fonte sui dividendi.

 

 

b.pizzoni@macchi-gangemi.com

 

 

DISCLAIMER: Questa newsletter fornisce solo informazioni generali e non costituisce una consulenza legale da parte di Macchi di Cellere Gangemi. L’autore dell’articolo o il vostro contatto in studio sono a Vostra disposizione per qualsiasi ulteriore chiarimento.

 

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