Con sentenza n. 12 del 24 gennaio 2024, la Prima Sezione Giurisdizionale Centrale d’Appello della Corte dei Conti nel confermare integralmente la sentenza resa dal giudice di prime cure (Corte dei Conti n. 2/2022), ha dichiarato il difetto di giurisdizione del giudice contabile nei confronti delle banche coinvolte nel caso di specie e la rispondenza dell’operazione in derivati realizzata dalla regione Basilicata ai criteri di razionalità ed economicità.
Il contenzioso trae origine dall’operazione di copertura in derivati posta in essere dalla Regione Basilicata nel 2006 il cui sottostante era costituito da un mutuo a tasso variabile contratto per finanziare le opere di ricostruzione seguenti al sisma del 9 settembre 1998. Attraverso i contratti derivati, le banche hanno sinteticamente trasformato un debito a tasso variabile (di entità incerta e con prospettive di crescita ex ante) in un debito a tasso fisso (certo nell’ammontare e negli interessi da pagare) che consentiva alla Regione un’adeguata programmazione in bilancio, assicurando alla stessa anche un extra finanziamento, relativamente esiguo rispetto all’ammontare complessivo dell’operazione, ma comunque necessario al completamento dei lavori di ricostruzione post-sisma già programmati.
Gli snodi argomentativi della sentenza sono essenzialmente due: (i) il primo attiene alla giurisdizione nei confronti delle banche in una sede che vede di regola coinvolti solo i funzionari degli enti per responsabilità erariale nei confronti dell’ente danneggiato; (ii) il secondo concerne il merito del giudizio, e quindi l’operazione attuata dalla Regione Basilicata e contestata dalla Procura regionale per i profili di irrazionalità ed antieconomicità che in tesi l’avrebbero caratterizzata.
Quanto alla giurisdizione, la Corte ha confermato la sentenza resa in primo grado. Il Procuratore regionale non ha fornito elementi probatori idonei a dimostrare l’esistenza del rapporto di servizio in capo alle banche. In sostanza, la Procura non ha dimostrato che il rapporto fra le banche e la Regione fosse diverso da un rapporto di natura privatistica e che le banche si sarebbero ingerite nella struttura organizzativa del soggetto pubblico surrogandosi a quest’ultimo o che ne avrebbero orientato in maniera determinante le scelte in tema di ristrutturazione e gestione del debito pubblico, e per questa via che fossero responsabili dei danni presuntivamente arrecati alla Regione dall’operazioni in derivati insieme ai funzionari e agli esponenti politici della Regione.
La sentenza di primo grado è stata pienamente confermata anche nel merito: l’operazione rispondeva ai criteri di razionalità ed economicità e ha dispiegato la propria funzione di copertura in modo inequivocabile.
L’operazione era caratterizzata dalla presenza di uno swap di capitale che consentiva alla Regione di ottenere fondi aggiuntivi (seppur in misura modesta) necessari ai lavori di ricostruzione post-sisma. Ciò si traduceva contrattualmente nella non perfetta corrispondenza fra il nozionale dei contratti derivati e l’importo del mutuo sottostante.
Tale “sdoppiamento dei nozionali” è stato usato dalla Procura regionale come indice presuntivo della mancanza della funzione di copertura dell’operazione, ma è stato correttamente inquadrato dal Collegio giudicante in quanto funzionale al conseguimento dell’extra finanziamento e quindi finalizzato a raccogliere tutta la provvista necessaria per realizzare le opere di ricostruzione.
La Corte ha così enfatizzato la “finalità composita dell’operazione, consistente sia nella protezione contro il rischio di tasso di interesse e sia nell’assicurazione che la Regione disponesse della provvista necessaria per finanziare le opere di ricostruzione del terremoto” nonché la perfetta corrispondenza fra la gamba variabile del derivato (corrisposto dalle banche alla Regione) e gli importi che la Regione doveva corrispondere ai sensi del mutuo sottostante “consentendo ai contratti derivati di perseguire una piena ed indiscutibile finalità di copertura”.
Il Collegio giudicante ha ribadito per questa via la razionalità dell’operazione che è provata dalla capacità dell’operazione di coprire l’investitore (ente pubblico) avverso il rischio di crescita dei tassi oltre una determinata soglia che avrebbe potuto essere incompatibile con il bilancio dell’ente pubblico. “Stabilendo un tasso di interesse fisso, in luogo del tasso di interesse variabile originario, l’investitore invece sterilizza tale rischio e può programmare i propri impegni di spesa con la certezza che la spesa per interessi non potrà mai oltrepassare la soglia prefissata”.
Tale tasso fisso, peraltro, era inferiore al tasso variabile stimato, in base alla curva forward, per almeno la metà della durata dei contratti derivati.
Il Collegio giudicante non ha dubitato nemmeno dell’economicità dell’operazione dal momento che il tasso fisso pattuito con le banche nei contratti derivati era più vantaggioso di quello che la Regione avrebbe potuto ottenere su un analogo ed ipotetico finanziamento a tasso fisso e risultava allineato ai tassi di interesse di mercato esistenti alla stipula dei contratti derivati.
In conclusione, al di là della questione di giurisdizione, sulla quale la Corte ripercorre ed applica al caso concreto i principi già enucleati dalla giurisprudenza, ad avviso di chi scrive, è sul tema della funzione di copertura che la sentenza si dispiega con particolare pregio. La Corte nel valutare la correlazione fra il debito sottostante e la copertura offerta dai contratti derivati, dà ingresso alle finalità composite dell’operazione, valutate in concreto, sfavorendo l’approccio astratto e formalistico usato dalla Procura e, in alcuni casi, anche dalle corti di merito civili (cfr., fra le altre, Tribunale di Genova n. 698/2021).
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