LA SENTENZA “DIARRA”, E LA DISCIPLINA DEL FIFA FOOTBALL TRANSFER REGULATION SUL TRASFERIMENTO DEI CALCIATORI ALL’INTERNO DELL’UE

1. Fatti e Norme Sportive in Discussione.

La Sentenza della Corte è stata emanata a seguito di un rinvio pregiudiziale proveniente dalla Corte d’Appello di Mons, in Belgio. Essa verte sulla compatibilità di alcune specifiche norme del “Regolamento FIFA sullo status e i trasferimenti dei calciatori” (FFTR)[1] con le disposizioni del TFUE in materia di concorrenza e libera circolazione dei lavoratori nel mercato interno. Come noto, l’articolo 267 TFUE è uno strumento di cooperazione tra l’UE e i giudici nazionali, finalizzato a fornire a questi ultimi i criteri interpretativi delle norme del Trattato TFUE per la risoluzione delle controversie che dipendono in tutto o in parte dall’applicazione del diritto europeo.

La sentenza trae origine da un contenzioso fra FIFA ed il calciatore francese vertente sull’asserito carattere restrittivo di tali norme, le quali disciplinavano le controversie insorte tra un club e un giocatore nel caso di risoluzione contrattuale prima della scadenza del contratto, prevedendo conseguenze sanzionatorie, dirette e indirette, a carico del calciatore. In primo luogo, qualora il club avesse ritenuto responsabile il calciatore per aver unilateralmente risolto il contratto per giusta causa, quest’ultimo avrebbe dovuto versare un’indennità risarcitoria calcolata in base al rimanente ammortamento del suo contratto contabilizzato dal club. In secondo luogo, il club che avesse successivamente ingaggiato il giocatore sarebbe stato solidamente responsabile per il pagamento di tale indennità, oltre che – in determinati casi – passibile di sanzioni sportive consistenti nel divieto di ingaggiare nuovi giocatori per le due successive sessioni di mercato. Infine, in pendenza del contenzioso, la Federazione del club di provenienza non avrebbe rilasciato il necessario certificato internazionale di trasferimento obbligatorio (CIT), affinché il calciatore potesse trasferirsi in un club appartenente ad un’altra Federazione nazionale, bloccando di fatto il trasferimento del calciatore. La mancata concessione del CIT era prevista sulla base della sola constatazione dell’esistenza di una controversia tra club e calciatore in merito alla risoluzione contrattuale

A seguito della risoluzione del contratto con il club d’origine, la Lokomotiv Mosca, il giocatore francese Diarra si era dedicato alla ricerca di un nuovo club interessato al suo tesseramento, ma tale ricerca aveva incontrato difficoltà dovute al rischio di applicazione delle FIFA e, in particolare dal rischio, per detto nuovo club, di essere condannato in solido al pagamento dell’indennità risarcitoria o incorrere nelle sanzioni disciplinari. Infatti, pur avendo ricevuto da parte del club belga dello Sporting Charleroi, un’offerta di ingaggio, il calciatore doveva rinunciarvi, non sussistendo le condizioni per il rilascio del CIT da parte della federazione di origine, in quanto la controversia era ancora pendente davanti agli organi della FIFA. Finalmente, nel 2015, la Camera di Risoluzione delle Controversie della FIFA condannava il giocatore al pagamento di un’indennità di euro 10,5 milioni alla Lokomotiv Mosca a titolo di inadempimento, e la decisione veniva confermata in appello dal TAS.  

A seguito di tali avvenimenti, il calciatore citava la FIFA e la Federazione Nazionale davanti al Tribunale Belga per ottenere il risarcimento del danno che asseriva di aver subito in ragione dell’applicazione delle disposizioni FIFA. Sosteneva, in particolare che (i) l’applicazione delle norme aveva leso il suo diritto di libera circolazione all’interno dell’UE a lui conferito dal Trattato, impedendogli di cercare un nuovo lavoro e di esercitare la sua professione in uno stato membro diverso da quello di provenienza, e (ii) le disposizioni integrassero un’intesa restrittiva della concorrenza.

A seguito della soccombenza della FIFA nel primo grado di giudizio, la controversia veniva devoluta alla Corte d’Appello di Mons, Belgio. I giudici belgi, nel 2022 sottoponevano alla Corte di giustizia due distinte questioni pregiudiziali, relative alla compatibilità delle regole FIFA in oggetto norme con gli Articoli 45 TFUE e 101 TFUE.

2. La valutazione di compatibilità.

Nel rispondere alle questioni, la Corte, chiariva espressamente la necessità di procedere ad una valutazione separata dal punto di vista degli articoli 101 e 45 TFUE. La Corte motivava tale esigenza spiegando che ciascuno degli   articoli 45 e 101 TFUE persegue un proprio obiettivo e stabilisce le proprie condizioni di applicazione e la loro violazione, se accertata, non comporta le medesime conseguenze. Tali norme del Trattato possono dunque applicarsi contemporaneamente dando luogo a diversi esiti, ad esempio compatibilità sotto il profilo dell’articolo 45 TFUE e incompatibilità dal punto di vista dell’articolo 101 TFUE. In entrambi i casi, tuttavia, l’esame doveva essere condotto tenendo conto del conteso fattuale e di diritto e della innegabile specificità dell’attività sportiva[2].  In tal modo la Corte contraddiceva, in parte, le conclusioni dell’Avvocato generale Macey Spunjar il quale aveva notato come entrambe le disposizioni del Trattato, pur indirizzandosi nei confronti di differenti soggetti, fossero fondate sul perseguimento e la tutela del mercato interno, e aveva messo in guardia dai rischi per la certezza giuridica. di una duplice applicazione delle due norme alle medesime fattispecie.

Ad esito dell’esame, la Corte stabiliva innanzitutto che gli articoli del regolamento FFTR presi in considerazione erano incompatibili con l’articolo 45 TFUE in quanto costituivano un evidente ostacolo alla libera circolazione dei calciatori all’interno del mercato UE. Infatti, l’applicazione delle norme impediva ad un calciatore di trasferirsi in un nuovo club in base al semplice presupposto dell’esistenza di una controversia con il suo club d’origine. I rischi finanziari, disciplinari e sportivi che le norme creavano per il calciatore medesimo e per il club di destinazione erano infatti insormontabili ai fini del trasferimento.  

La Corte riconosceva che tali regole sportive potessero giustificarsi per dall’obiettivo sportivo di garantire la stabilità dei contratti tra calciatore e club e quindi, delle “rose” che costituivano il bacino per le squadre che i club schieravano nelle competizioni calcistiche. Pertanto, tali norme erano, indirettamente, volte la regolarità delle competizioni di calcio professionistico basate sul merito, obiettivo riconosciuto meritevole di tutela dal diritto UE. D’altro lato, le previsioni sanzionatorie delle regole apparivano manifestamente sproporzionate rispetto a tale obiettivo anche in virtù del loro sbilanciamento in favore degli interessi delle società calcistiche e quindi la deroga al divieto previsto dall’articolo 45 TFUE non poteva applicarsi. 

In secondo luogo, sotto il profilo della valutazione delle disposizioni FIFA ai sensi del diritto della concorrenza, la Corte concludeva che esse costituissero una decisione di associazione di imprese la quale violava “per oggetto” l’articolo 101 TFUE. Concordando con le conclusioni dell’Avvocato Generale Macej Spunjar, giudicava che esse integrassero una grave restrizione della concorrenza che si svolge tra i club di calcio professionistico per l’ingaggio dei giocatori di talento, attività che costituisce uno dei parametri concorrenziali più rilevanti sui mercati del calcio professionistico. Da un punto di vista concorrenziale, esse avevano l’obiettivo di rendere estremamente difficoltoso il reclutamento di calciatori che non erano più sotto contratto con un club concorrente, ma il cui contratto era stato asseritamente risolto senza giusta causa da parte del giocatore stesso: esse bloccavano, così, la concorrenza tra club professionistici nell’acquisizione dei giocatori. Avendo riguardo alla valutazione del contesto economico giuridico e fattuale al cui interno si situava l’intesa, la Corte forniva alcune considerazioni preliminari circa la possibile giustificazione delle norme regolamentari alla luce della specificità del «prodotto» che le competizioni sportive tra club professionisti costituiscono da un punto di vista economico, come già affermato nelle sentenze del dicembre 2023.[3] Una normativa FIFA che disciplina le condizioni alle quali le società calcistiche professionistiche possono comporre le squadre che partecipano alle competizioni può  considerarsi legittima, garantendo in una certa misura, la stabilità della composizione delle rose. Tale era il caso del divieto di risoluzione unilaterale dei contratti di lavoro nel corso di una stagione, o anche in un determinato anno previsto dall’articolo 16 FFTR.

Di converso, la specificità del calcio non giustifica “una proibizione generale, drastica o permanente di ogni libertà di reclutare unilateralmente giocatori già ingaggiati da un altro club stabilito in un altro Stato membro, o giocatori il cui contratto di lavoro è stato asseritamente risolto in assenza di giusta causa[4]. Secondo la Corte le norme in oggetto, emanate con il pretesto di prevenire pratiche aggressive di “bracconaggio” di calciatori da parte delle società più ricche, erano in realtà degli accordi di non sollecitazione che determinano una compartimentazione artificiale dei mercati, nazionali e locali, “a vantaggio dell’insieme dei club calcistici”. I meccanismi classici del diritto contrattuale, che prevedono il diritto del club di ricevere un risarcimento in caso di inadempimento di un calciatore (nel caso, anche su iniziativa di un’altra società calcistica) devono ritenersi sufficienti a garantire la presenza duratura di tale giocatore nel club, conformemente agli accordi presi. Essi garantiscono inoltre “il funzionamento delle regole del mercato tra società calcistiche, le quali consentono ai club di procedere all’ingaggio del giocatore” al termine della durata normale del contratto o prima, in caso di conclusione di un accordo economico tra club cedente e cessionario”[5].

È importante rilevare che, poiché le norme costituivano una grave violazione della concorrenza “per oggetto” la Corte (ai sensi dell’articolo 101 TFUE) non procedeva all’analisi degli effetti. Era pertanto precluso l’esame degli effetti prodotti sulla base dei criteri, più favorevoli previsti dalla Wouters e Meca Medina. Tale esame, infatti, avrebbe potuto svolgersi alla luce della legittimità degli obiettivi sportivi perseguiti delle regole del FFTR, nonché del carattere proporzionato delle misure previste per conseguire tali obbiettivi. In particolare, non poteva essere valutata sotto il profilo delle norme sulla concorrenza, la possibile compatibilità delle norme in funzione del loro obiettivo di garantire il rispetto del principio del merito e la regolarità delle competizioni sportive, attraverso il mantenimento della stabilità dei contratti fra club e calciatore. Infine, la Corte riteneva prima facie che le norme non fossero meritevoli di un’esenzione individuale, in quanto, “a prima vista”, non veniva soddisfatto il requisito dell’indispensabilità delle restrizioni al fine di acquisire possibili guadagni di efficienza (Articolo 101 par. 3). 

3. Considerazioni Critiche.

È opportuno, innanzitutto, domandarsi se la sentenza Diarra mette in discussione la compatibilità delle disposizioni in tema di stabilità contrattuale previste dagli articolo 13 e 16 del FFTR  e il sistema stesso dei trasferimenti, o si limiti a decretare il divieto delle singole, specifiche disposizioni sottoposte all’esame della Corte di giudici nazionali del rinvio – le quali come esaminato, prevedevano conseguenze particolarmente penalizzanti per il giocatore in caso di risoluzione del contratto senza giusta causa. 

È possibile rispondere con un certo grado di certezza che la sentenza, pur particolarmente severa nel suo giudizio nei confronti delle norme controverse (in particolare dell’art. 17 FFTR) non formula un giudizio generale di incompatibilità dell’intero sistema dei trasferimenti. In primo luogo, non appare espressamente contestato il principio generale sul quale si fonda il FFTR che prevede che i contratti tra club e calciatore siano conclusi per un periodo determinato e non possano essere unilateralmente risolti da una delle parti in assenza di giusta causa. Anzi, il punto 145 della Sentenza, sopra citato, sembra confermare la legittimità di tale principio. Inoltre, la Corte ribadisce che la specificità dello sport ed il contesto economico in cui si situa il calcio professionistico possono giustificare norme in tema di trasferimenti che garantiscano l’obbiettivo di garantire la stabilità contrattuale e, in tal modo, la regolarità delle competizioni, purché tale sistema sia coerente, equilibrato e proporzionato al fine di perseguire tali obiettivi.

Va aggiunto infine che una valutazione di incompatibilità generalizzata del sistema di trasferimenti sotto il profilo delle norme sulla libera circolazione andrebbe dettagliatamente motivata, in quanto porrebbe il problema di un conflitto con la precedente giurisprudenza della Corte affermatasi nella sentenza Barnard. Tale sentenza aveva valutato come lecito un sistema di trasferimenti all’interno del quale erano previste compensazioni, destinando in favore dei club che avevano sostenuto i costi di formazione del calciatore, una quota del prezzo pagato in occasione delle successive operazioni di trasferimento. Tale compensazione doveva essere calcolata secondo criteri oggettivi e determinabili.

La seconda parte della motivazione in tema di concorrenza, tuttavia, formula alcune considerazioni che appaiono maggiormente critiche nei confronti del sistema. Si evidenzia più volte la preclusione concorrenziale che deriverebbe da regole che impediscono o rendono più difficile per un club acquisire i servizi dei giocatori già sottoposti a contratto con un altro club professionistico. Particolarmente controversa appare l’affermazione secondo la quale i calciatori già ingaggiati costituirebbero la “maggior parte delle risorse a disposizione dei club rispetto alla totalità dei giocatori”; in assenza delle regole controverse, secondo quanto afferma la sentenza, potrebbe svolgersi una maggiore concorrenza nel reclutamento di giocatori già ingaggiati dai rispettivi club di appartenenza. Non è però possibile dedurre da tali passaggi che la concorrenza fra i club nel procacciamento delle risorse costituite dai calciatori, potrebbe svolgersi legittimamente violando le regole vigenti in seno alla FIFA, soprattutto autorizzando il giocatore a risolvere unilateralmente senza causa gli impegni contrattualmente assunti. Infatti, rispetto a tali affermazioni, potrebbe obiettarsi che, allo stato attuale esiste già una concorrenza fra i club nell’acquisizione dei giocatori di talento, la quale si svolge sia pur nel rispetto delle regole attuali, vale a dire (1) attraverso trasferimenti consensuali negoziati fra i club, per quanto riguarda i giocatori sotto contratto o (2) direttamente con il calciatore, alla scadenza del contratto.  Sotto un ulteriore aspetto, la sentenza non spiega in misura soddisfacente in che misura venga distorta la concorrenza tra i club, dato che le norme del FFTR si applicano in maniera identica e uniforme a tutti i club professionistici: tali norme, uniformemente applicate mirano al mantenimento di un certo equilibrio sportivo delle competizioni in conformità al modello sportivo europeo, più volte avvalorato dalle istituzioni UE. In Così si era espressa sembrava la Commissione nel corso del procedimento [6] affermando che la restrizione della concorrenza derivante dalle norme controverse dovesse intendersi “per effetto” e non “per oggetto”. La Commissione aveva infatti sostenuto che tali regole fossero applicabili solo nel caso specifico di risoluzione del contratto senza giusta causa e non “hanno quindi alcuna incidenza sulla possibilità per i club di farsi una libera concorrenza ingaggiando calciatori sia alla scadenza del contratto che li vincola alla loro precedente società sia durante la vigenza di detto contratto, purché un siffatto ingaggio sia convenuto da tutti gli interessati e rispetti le diverse norme temporali e sostanziali che disciplinano il tesseramento dei calciatori”. Al medesimo tempo, la sentenza sembra salvaguardare, in termini generali, la liceità dell’attuale sistema contrattuale e dei trasferimenti, laddove ritiene che le tradizionali norme contrattuali siano sufficienti a garantire “il normale funzionamento delle regole del mercato tra società, che consentono a questi ultimi, al termine della durata normale del contratto, o prima, in caso di conclusione di un accordo finanziario tra società, di procedere all’ingaggio di tale giocatore[7]”.

4. Conclusioni Dalla lettura della sentenza, – nonostante l’interpretazione di alcuni passaggi non sia del tutto lineare – si può concludere con ragionevole certezza che la valutazione di incompatibilità si indirizza alle singole e specifiche norme oggetto del rinvio pregiudiziale. I principi generali del Regolamento FFTR non costituiscono, di per sé una preclusione alla concorrenza e, dall’altro le limitazioni apposte alla libera circolazione dei giocatori derivanti dai principi generali su cui è retto il sistema dei trasferimenti possono giustificarsi, – se proporzionate – dalle esigenze, specifiche dei mercati dello sport, di garantire una certa stabilità contrattuale, e quindi a regolarità di competizioni basate sul merito sportivo: tali esigenze costituiscono obiettivi meritevoli di tutela dal punto di vista del trattato TFUE.  D’altra parte, va sottolineato che la Corte, ancora una volta, chiarisce che le regole che disciplinano i rapporti tra le organizzazioni sportive e i propri gli affiliati devono essere improntate a trasparenza e, pertanto, in ogni loro aspetto, predeterminate, così da poter essere applicate caso per caso in base a criteri oggettivi e uniformi.  In tal senso, è prevedibile che l’organizzazione calcistica internazionale metterà mano alle attuali regole disciplinando in maniera più dettagliata le fattispecie previste dall’articolo 17 del FFTR[8], in cooperazione con le rappresentanze delle parti coinvolte. Tuttavia, la sentenza non appare totalmente coerente nel valutare le norme sotto i rispettivi profili delle libertà fondamentali e della concorrenza, lasciando così alcuni margini di incertezza per il giudice del rinvio.  Una valutazione delle restrizioni concorrenziali sotto il profilo degli effetti prodotti – e non come violazione per oggetto -, avrebbe reso possibile un’analisi omogenea delle regole del FFTR, in base alle norme TFUE su concorrenza e mercato interno, sotto il profilo della legittimità degli obiettivi perseguiti e della proporzionalità degli strumenti nel perseguire tali obiettivi.


[1] La terza versione del FIFA Regulations on the Status and Transfer of Players, del Giugno 2024, è consultabile sul sito internet della FIFA https://digitalhub.fifa.com/m/69b5c4c7121b58d2/original/Regulations-on-the-Status-and-Transfer-of-Players-June-2024-edition.pdf

[2] Ricalcando quanto già affermato nella Sentenza Superlega (C-333/21, EU:C:2023:1011, punti 103 e 104, 105) la Corte sottolineava che la presa in considerazione della specificità dello sport può essere effettuata solo nell’ambito e nel rispetto delle condizioni di applicazione previste dalle norme del Trattato. In particolare, quando si sostiene che una norma adottata da un’associazione sportiva costituisce un ostacolo alla libera circolazione dei lavoratori o un accordo anticoncorrenziale, la qualificazione di tale norma come ostacolo o come accordo anticoncorrenziale deve, in ogni caso, fondarsi su un esame concreto del contenuto di tale norma nel contesto in cui essa deve essere attuata.

[3] Facendo riferimento alla giurisprudenza da poco prodotta dalla Grande Sezione, la Sentenza ricordava infatti che le federazioni incaricate di una disciplina sportiva sono legittimate ad adottare norme relative all’organizzazione delle competizioni al loro corretto svolgimento e alla partecipazione degli sportivi a tali competizioni. Pertanto, è legittimo che la FIFA adotti norme comuni volte a garantire l’omogeneità e il coordinamento delle competizioni internazionali nell’ambito di un calendario annuale o stagionale, per promuovere lo svolgimento di competizioni sportive improntate alle pari opportunità e al merito. 

[4] Nota al proposito l’Avvocato Generale al punto 53 delle sue conclusioni che l’articolo 17 del regolamento, l’articolo 9.1 dello stesso e l’articolo 8.2, paragrafo 7, dell’allegato 3 del medesimo regolamento, in considerazione della loro formulazione, del loro contesto economico e giuridico e dello scopo oggettivo che perseguono, hanno proprio per oggetto e, in ogni caso, per effetto, tanto reale quanto potenziale, di imporre a tutte le «imprese», che da un punto di vista economico i club di calcio professionistico affiliati alle federazioni calcistiche nazionali membri della FIFA costituiscono, un insieme di condizioni talmente proibitive e dissuasive, al fine di assicurarsi i servizi di calciatori di alto livello che non siano più sotto contratto con un club concorrente, ma il cui contratto sia stato asseritamente risolto senza giusta causa, che si deve ritenere che le condizioni in parola limitino eccessivamente o «blocchino», sotto il profilo giuridico e pratico, la possibilità per dette società di farsi concorrenza in tal modo. Una limitazione del genere è tanto più significativa in quanto riguarda un elemento che, secondo la dottrina giuridica ed economica, costituisce uno dei principali parametri attraverso cui i club possono farsi concorrenza, dato che l’ingaggio dei calciatori è esso stesso legato all’organizzazione e alla trasmissione di competizioni di calcio tra club. Inoltre, le norme di cui trattasi limitano, allo stesso modo e nella stessa misura, la possibilità per i calciatori stessi di farsi concorrenza.

[5] Ibidem, punto 145.

[6] Si fa riferimento in particolare al punto 50 delle Conclusioni dell’Avvocato Generale che riassumono la posizione della Commissione.

[7] Punto 145 della Sentenza.

[8] In tal senso il comunicato della FIFA consultabile sul sito dell’organizzazione https://inside.fifa.com/legal/football-regulatory/news/fifa-to-open-global-dialogue-on-article-17-of-the-regulations-on-the-status-and-transfer-of-players