Il 23 giugno 2022 è stato il sesto anniversario dal voto che ha sancito l’uscita dall’Unione Europea del Regno Unito.
Individuare e determinare le esatte conseguenze della decisione del popolo inglese risulta ancora molto complicato anche se, come si vedrà in seguito, ci sono già forti segnali che il tanto promesso, dalla fazione del “leave”, rafforzamento economico non arriverà.
Infatti, nonostante siano già trascorsi sei anni, la Brexit non è conclusa e finita ma ancora in una fase di negoziazione, si è registrata una forte flessione nella forza lavoro disponibile, i tentativi di Londra di concludere trattati di libero scambio con partner commerciali non europei hanno lasciato a desiderare e sono molti i disagi che si sono già verificati che riguardano importazioni ed esportazioni.
In merito al primo punto, il fatto che le trattative inerenti alla Brexit siano ben lontane dall’essere vicine ad una fine è testimoniato dalle nuove tensioni con l’Unione Europea di pochi giorni fa in seguito alla nuova proposta di creare un regime doganale differenziato tra Gran Bretagna e Irlanda del Nord. Nello specifico, l’obiettivo di Downing Street sarebbe quello di creare, nei porti britannici interessati, un “green channel” per le merci che provengono da Inghilterra, Galles e Scozia e che sono destinate al solo mercato Irlandese del Nord. Questo regime specifico prevederebbe un canale prioritario che permetterebbe all’Irlanda del Nord di beneficiare delle medesime agevolazioni fiscali del resto del Regno Unito e di sostituire la competenza della Corte Europea di Giustizia con quella di una corte arbitrale indipendente. Londra sostiene che tale misura sia necessaria ai fini del mantenimento dell’integrità del territorio del Regno Unito.
La risposta da parte dell’Unione Europea non si è fatta attendere e Maros Sefcovic, Vice Presidente della Commissione, ha dichiarato che questa proposta sarebbe l’ennesima dimostrazione della non costruttività dell’apporto inglese alle trattative, visto che attuare la proposta britannica sfocerebbe in un inutile aumento di burocrazia. Dopo sei anni, risulta quindi evidente, che la soluzione e la fine delle trattative sulla Brexit siano ancora un miraggio.
Un ulteriore sintomo che il tanto acclamato rafforzamento economico forse non avverrà lo si può constatare da una forte carenza della forza lavoro disponibile, che in certi settori risulta essere una vera ‘emergenza staff’.
Secondo una recente indagine dell’Institute of Directors, il 44% delle aziende britanniche sta riscontrando difficoltà a causa della carenza di personale. Quattro su dieci attribuiscono tale fenomeno alla mancanza di forza lavoro proveniente dagli stati membri dell’Unione Europea.
Dal 1° gennaio 2021, non solo è molto più complicato per i cittadini europei trasferirsi nel Regno Unito, ma anche i datori di lavoro inglesi che desiderano assumere staff europeo sono sottoposti ad una notevole burocrazia ed aumento di costi. Questi, infatti, si vedono costretti a dover acquisire una licenza di sponsorizzazione, che può costare da 364 a 1.820 sterline per una piccola azienda o un’organizzazione di beneficenza e da 1.000 a 5.000 sterline per un’azienda di medie e grandi dimensioni, a seconda della durata del soggiorno del dipendente.
Oltre ai costi di sponsorizzazione devono essere presi in considerazione anche quelli relativi alle tasse da versare per la richiesta e il rilascio della licenza. Inoltre, il dipendente deve parlare inglese e ricoprire un’occupazione idonea. Le competenze richieste possono essere inferiori per le “occupazioni carenti” o se il richiedente ha un dottorato di ricerca.
Di seguito vengono riportati due esempi concreti di business che hanno chiaramente sofferto in questo ambito a causa delle Brexit:
Stonegate Pub Company è il più grande proprietario di pub del Regno Unito, con 4.600 locali. Il direttore delle risorse umane della società, Tim Painter, considera i nuovi criteri imposti dalla Brexit troppo stringenti.
Stonegate da lavoro a circa 15.000 persone. Prima della Brexit, il 10% proveniva dall’UE e il resto era costituito da cittadini britannici, sebbene vi fossero differenze regionali in tutto il Paese, in particolare a Londra, dove i cittadini dell’UE rappresentavano il 35% della forza lavoro. Il gruppo ha attualmente 1.000 posti di lavoro vacanti, a causa proprio della mancanza di forza lavoro europea.
Un altro caso emblematico è sicuramente quello di Corbetts The Galvanizers, una delle più antiche aziende di zincatura del Regno Unito.
Corbetts impiega attualmente 105 lavoratori e ha circa 20 posti vacanti. Dodwell, chairman dell’azienda, afferma che la copertura di questi posti di lavoro porterebbe solo a soddisfare i contratti esistenti e non a soddisfare le aspettative di crescita e l’aumento della domanda da parte dei clienti.]
Per quanto riguarda invece le relazioni del Regno Unito con il resto del mondo, la situazione non è di certo migliore. Infatti, dopo l’uscita dall’Unione Europea, Londra deve negoziare e concludere singoli trattati commerciali con i propri partner non potendo più contare, in linea generale, su quelli conclusi dall’Unione Europea. Downing street, per il momento, non è riuscita a firmare alcun trattato di libero scambio con potenze economiche mondiali fatta eccezione per l’accordo raggiunto con l’Australia, che però desta molte preoccupazioni e perplessità. In particolare, il presidente di National Farmers Union si è detta molto preoccupata dalle nuove “tariff-rates”, i.e. quote imposte sulla carne australiana, che aumenteranno drasticamente l’offerta di quest’ultima nel Regno Unito andando a concorrere direttamente con l’offerta degli allevatori inglesi.
Un altro aspetto altrettanto preoccupante per il governo Johnson è sicuramente quello di non aver ancora concluso alcun tipo di accordo di libero scambio con gli Stati Uniti.
Infine, come già fatto notare in maniera più approfondita nella nostra newsletter del 29 aprile 2022 (Brexit update su importazioni nel Regno Unito) la Brexit ha causato notevoli disagi ad importatori ed esportatori del Regno Unito.
L’aspetto più preoccupante è che nonostante le nuove regolamentazioni doganali non siano ancora state applicate si siano verificati forti disagi ed un aumento consistente dei costi che le piccole medio imprese devono subire per poter esportare i propri prodotti nell’Europa continentale. Inoltre, il tutto è reso ancor più complicato dalla totale impreparazione delle dogane del Regno Unito, che al momento non risultano attrezzate adeguatamente per poter far fronte alle nuove regolamentazioni.
In sintesi, essere in grado di predire il risultato finale della Brexit è ancora molto difficile, ma ciò che è certo è che dopo 6 anni i segnali non sono per nulla incoraggianti per il Regno Unito.
PER LA VERSIONE INGLESE: