CESSIONI PRO-SOLUTO: IL DIFFERENZIALE È DEDUCIBILE SOLO SE MOTIVATO.

Con la sentenza n. 8714 del 2024, la Corte di cassazione ha chiarito che la cessione pro-soluto di un credito ritenuto inesigibile produce una perdita deducibile soltanto ove il contribuente alleghi e documenti elementi certi e precisi, che non si limitino a dimostrare un corrispettivo inferiore al valore nominale del credito ceduto e una perdita emergente, ma comprendano anche gli elementi che hanno indotto all’operazione e al conseguente recupero solo parziale del valore nominale del credito.

Una perdita su crediti è deducibile ai sensi dell’articolo 101, comma 5, del TUIR se la cessione ha determinato un differenziale motivato e inerente: è quanto ha chiarito la Corte di cassazione con la sentenza n. 8714 del 3 aprile 2024.

Il caso di specie

La controversia oggetto di giudizio nasce da una verifica dell’Agenzia delle Entrate nei confronti della società contribuente, al cui esito era emerso che, con riferimento al periodo d’imposta 2008, la stessa società aveva effettuato una cessione pro-soluto di crediti ritenuti inesigibili. A ciò seguiva un avviso di accertamento con il quale l’Agenzia delle Entrate contestava l’indebita deduzione della minusvalenza derivante dal differenziale della cessione, recuperando a tassazione maggiori imposte IRES e IRAP.

In particolare, secondo l’Agenzia delle Entrate era stata configurata una fattispecie elusiva in quanto, sebbene formalmente corretta e conforme al primo comma dell’articolo 101, era sostanzialmente riconducibile all’art. 101, co. 5, ed integrava una perdita su crediti, priva, quanto alla minor valutazione dei crediti ceduti rispetto al loro valore nominale, dei caratteri della certezza e precisione, necessari ai fini della relativa deducibilità. In sintesi: la perdita era stata tramutata dal contribuente in una minusvalenza da cessione, integralmente dedotta, ma non deducibile secondo l’Agenzia delle Entrate.

A sostegno del carattere elusivo dell’operazione, l’Ufficio aveva dedotto la tempistica della cessione (perfezionata a fine anno, alla chiusura dell’esercizio sociale) e l’interrelazione (per legami economici e personali) tra cedente, cessionaria e debitrici cedute, che configurava un sostanziale gruppo economico tra le varie società.

L’avviso di accertamento veniva impugnato dinanzi alla Commissione Tributaria Provinciale di Roma, che accoglieva il ricorso della società. Seguiva il giudizio d’appello dinanzi alla Commissione Tributaria Regionale del Lazio, con esito negativo per la società.

La decisione della Corte di Cassazione

In sede di ricorso per cassazione, la società contribuente ha insistito circa il fatto che si tratti di una minusvalenza che, come tale, non richiederebbe i requisiti di certezza e precisione previsti dal co. 5.

La Corte di cassazione, con la recente sentenza n. 8714, ha rigettato il ricorso della contribuente e confermato l’orientamento della Commissione Tributaria Regionale del Lazio. In particolare, richiamando la passata giurisprudenza di legittimità, la Corte ha chiarito che il contribuente è tenuto a dimostrare la presenza degli elementi certi e precisi che consentono di dedurre la perdita su crediti: la pattuizione di un corrispettivo inferiore al valore nominale del credito ceduto non è sufficiente, ma bisogna indicare le ragioni dell’operazione ed il conseguente recupero solo parziale.

Inoltre, la stessa Corte ha confermato che sia le minusvalenze che le perdite su crediti presuppongono un sindacato di inerenza del costo: in entrambe le circostanze il componente negativo sarà deducibile se si dimostrano le ragioni di convenienza economica che hanno determinato l’accettazione di un corrispettivo molto inferiore al valore nominale dei crediti.

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