La cessazione del rapporto di lavoro intercorrente tra il socio e la società può essere prevista dallo statuto sociale quale causa di esclusione del socio dalla società?
Per i giudici torinesi, lo statuto di una società a responsabilità limitata può prevedere che la cessazione del rapporto di lavoro tra il socio e la Società, o sue controllate o collegate, costituisca giusta causa di esclusione dalla società. Inoltre, lo Statuto sociale può prevedere che, in tal caso, il rimborso della partecipazione avvenga in base a criteri diversi dal valore di mercato.
Con sentenza del 30 giugno 2021 (pubblicata su “il Quotidiano Giuridico” del 18 agosto 2021 con nota dell’Avv. Maria Paola Ferrari), la Sezione Specializzata in Materia di Imprese della Corte d’Appello di Torino ha confermato una precedente decisione del Tribunale di Torino che aveva dichiarato valida (e, dunque, non affetta da nullità) la clausola statutaria di una società a responsabilità limitata secondo cui i soci di minoranza avrebbero dovuto cedere agli altri soci le loro quote – al valore del patrimonio netto corrispondente (e non al valore di mercato) – nel caso in cui avessero cessato per qualsivoglia motivo la loro attività lavorativa per la Società, o sue controllate o collegate.
Nella fattispecie in esame:
– le quote societarie erano state attribuite ai soci di minoranza in forza di un Piano di Incentivazione della società che aveva lo scopo di incentivare il personale dirigenziale e fidelizzare i dipendenti e gli amministratori, accrescendone le motivazioni;
e
– l’acquisto era avvenuto ad un valore inferiore a quello proporzionale del patrimonio netto.
In primo grado il Tribunale aveva ritenuto che la suddetta clausola statutaria integrasse una causa di esclusione del socio, essendo ininfluente la sua qualificazione quale obbligazione di vendita della quota o opzione di acquisto sospensivamente condizionata alla cessazione dell’attività lavorativa presso la Società e aveva, altresì, ritenuto che sussistesse il requisito della giusta causa richiesto dall’art. 2473 bis c.c. giacché era venuto meno il rapporto di lavoro che, in un contesto di fidelizzazione ed incentivazione del personale, aveva condotto all’attribuzione della quota di partecipazione sociale.
Premessa tale valutazione, il Tribunale aveva poi considerato legittima la previsione statutaria secondo cui il rimborso della partecipazione sarebbe dovuta avvenire non a prezzo di mercato, bensì ad un prezzo desunto in percentuale dal valore del patrimonio netto della Società.
Secondo i giudici torinesi, infatti, il criterio previsto dallo Statuto era comunque predeterminato ed oggettivo, nonché specificamente concordato in sede di assegnazione delle partecipazioni sociali e – peraltro – non vi è alcuna norma inderogabile del codice civile che vieti espressamente allo Statuto di stabilire criteri diversi da quelli legati al valore di mercato per determinare il valore di liquidazione della partecipazione.
In sede di gravame, la Corte d’Appello di Torino – seppur ha ritenuto che la clausola statutaria in esame non potesse qualificarsi, in senso tecnico, quale ipotesi di esclusione del socio (quanto piuttosto una clausola comportante un recesso vincolato- obbligatorio del socio) – ha confermato la correttezza della decisione assunta dal Tribunale, aderendo alle motivazioni esposte in sentenza e confermandola integralmente, anche a dispetto dell’eccepita illiceità del licenziamento sottostante la cessazione del rapporto di lavoro in quanto, per la Corte d’Appello torinese, la giusta causa di esclusione non ha nulla a che vedere con i motivi del licenziamento, ma è rappresentata dal venir meno di quell’attività lavorativa che rappresenta il rapporto dal quale dipende la partecipazione sociale (e senza il quale la medesima non sarebbe intervenuta).
L’intermediario è responsabile per l’esecuzione di un’operazione in conflitto di interessi?
In una recente sentenza, la Suprema Corte (Cassazione civile, sez. I, 15 Luglio 2021, n. 20251) statuisce che l’operazione posta in essere dall’intermediario (inteso nell’accezione fornita dal Testo Unico della Finanza, “TUF”, comprendente le SIM, le banche e gli altri intermediari autorizzati a prestare servizi o attività di investimento) in una situazione di conflitto di interessi non preventivamente comunicata all’investitore, qualora l’operazione sia pregiudizievole, è fonte di responsabilità dell’intermediario, dato che solo la preventiva comunicazione e l’adesione (seppur tacita) ad essa da parte dell’investitore recide il nesso di causalità altrimenti sussistente tra la violazione dello specifico obbligo informativo a cui è tenuto l’intermediario nel dar corso ad un’operazione in conflitto di interessi e il danno che ne patisce l’investitore.
La pronuncia ha ad oggetto la sottoscrizione di una polizza unit linked per il tramite della banca, emessa dalla compagnia assicuratrice, nel giugno del 2008. Tale operazione è stata conclusa in conflitto di interessi ed in violazione degli obblighi informativi previsti dal TUF e dalla normativa di secondo livello. I giudici di primo e secondo grado avevano sancito un’incontestata situazione di conflitto d’interessi a fronte della quale era dovere degli intermediari ai sensi dell’art. 21, comma 1 bis TUF e dell’art. 23, comma 3, Regolamento congiunto Banca d’Italia-Consob del 29 ottobre 2007 nei testi vigenti all’epoca, astenersi dal dare corso all’operazione ove non avessero informato di ciò il cliente (sulla base della regola cd. “disclose or abstain”).
Nel caso di specie, l’informativa sul conflitto era intervenuta dopo la conclusione del contratto, determinando la condanna degli intermediari coinvolti (i.e. la compagnia assicuratrice e la banca) al risarcimento pari alla differenza tra il capitale investito e quello riscosso rilevando sia il danno emergente che il lucro cessante.
Il cuore delle motivazioni sta nell’identificazione da parte della Suprema Corte del cd. “principio del consenso tacito”. Gli intermediari, difatti, avevano argomentato che nel 2008 la disciplina di riferimento introdotta in attuazione delle direttive MiFID non prevedeva più alcun obbligo di astensione per l’intermediario che operava in conflitto di interessi.
La Cassazione ritiene, invece, che l’art. 23 Reg. congiunto, nel testo applicabile alla specie, non avesse affatto abdicato al principio “disclose or abstain” alla base della previgente disciplina del conflitto di interesse risultante dall’art. 27 Reg. Consob 1 luglio 1998, n. 11522, ma nel quadro di una riorganizzazione di essa fondata sul principio della prevenzione si è passati, quanto alla posizione dell’investitore, da un’impostazione basata sul principio del consenso espresso all’operazione in conflitto ad un’impostazione basata ora sul principio del consenso tacito.
L’analisi del dato normativo testuale (art. 21, comma 1 bis, TUF, art. 23, commi 1, 2 e 3 TUF) ha portato la Suprema Corte a statuire il principio che “l’intermediario non può agire se non dopo aver posto il cliente nella condizione di prendere una decisione informata, che non può che essere perciò espressione di assenso da parte sua, dato che diversamente l’intermediario si troverebbe nella condizione di non potere portare a termine l’operazione. Il passaggio normativo rilevante sta piuttosto nel fatto non già che l’intermediario possa prescindere dal consenso dell’investitore, ma che quel consenso che in precedenza doveva essere prestato in forma espressa oggi può essere manifestato anche per mezzo di un comportamento concludente, quale è da ravvisarsi nel fatto che l’investitore, debitamente notiziato della conflittualità dell’operazione, non si opponga ad essa e ne autorizzi così tacitamente la conclusione.”.
In buona sostanza, “il principio in virtù del quale le operazioni in conflitto di interessi non possono avere seguito senza il consenso dell’investitore non è stato accantonato, ma ha solo visto mutare il suo assetto, con la conseguenza che l’operazione posta in essere dall’intermediario in una situazione di conflitto di interessi del quale egli non abbia previamente informato l’investitore e rispetto al compimento della quale, sia pure nella vista forma del consenso tacito, egli non sia stato perciò autorizzato, qualora si riveli pregiudizievole, è fonte di indubbia responsabilità dell’intermediario”.
m.divincenzo@macchi-gangemi.com
Decreto-legge 24 agosto 2021 n. 118: composizione negoziata per la soluzione della crisi d’impresa e concordato preventivo semplificato per la liquidazione del patrimonio.
Il 24 agosto 2021 è stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 202 il d.l. 24 agosto 2021 n. 118 “Misure urgenti in materia di crisi d’impresa e risanamento aziendale, nonché ulteriori misure urgenti in materia di giustizia”, c.d. “Decreto Pagni”.
Il decreto è entrato in vigore il 25 agosto 2021 (art. 29) ma alcune disposizioni (riguardanti la composizione negoziata per la soluzione della crisi d’impresa e il concordato preventivo semplificato per la liquidazione del patrimonio) si applicheranno a decorrere dal 15 novembre 2021 (art. 27).
Il testo prevede all’art. 1 il differimento dell’entrata in vigore del Codice della crisi dell’impresa e dell’insolvenza. In particolare, il decreto entrerà in vigore il 16 maggio 2022, salvo il titolo II della Parte prima (allerta e composizione assistita) che entrerà in vigore il 31 dicembre 2023.
Gli articoli dal 2 al 17 introducono e disciplinano la composizione negoziata per la soluzione della crisi d’impresa, istituto rivolto all’imprenditore commerciale e agricolo che si trova in condizioni di squilibrio patrimoniale o economico-finanziario tali da renderne probabile la crisi o l’insolvenza.
Egli può chiedere al segretario generale della camera di commercio, industria, artigianato e agricoltura nel cui ambito territoriale si trova la sede legale dell’impresa la nomina di un esperto indipendente quando risulta ragionevolmente perseguibile il risanamento dell’impresa. L’esperto agevola le trattative tra l’imprenditore, i creditori ed eventuali altri soggetti interessati, al fine di individuare una soluzione per il superamento delle condizioni di crisi.
Verrà istituita allo scopo una piattaforma telematica nazionale all’interno della quale sarà disponibile una lista di controllo particolareggiata contenente indicazioni operative per la redazione del piano di risanamento e un test pratico per la verifica della ragionevole perseguibilità del risanamento.
Tali aspetti saranno definiti con decreto dirigenziale del Ministero della Giustizia, che prevedrà anche la specifica formazione richiesta agli esperti (tra i quali commercialisti, avvocati, consulenti del lavoro e altri soggetti non iscritti in albi professionali aventi sufficiente esperienza in materia di operazioni di ristrutturazione).
Trattandosi di un meccanismo ad accesso volontario, il legislatore all’art. 14 ha previsto una serie di misure premiali (riduzione al tasso legale degli interessi sui debiti fiscali, riduzione delle sanzioni tributarie, rateazione delle imposte) per incentivarne l’uso da parte dell’imprenditore. L’imprenditore, nel corso della composizione, è “in bonis” e, quindi, mantiene i poteri di ordinaria e straordinaria amministrazione (e di effettuare i pagamenti) purché non pregiudizievoli per la sostenibilità economico-finanziaria dell’attività, anche se dovrà rapportarsi all’esperto, il quale potrebbe esprimere il proprio dissenso e farlo anche risultare in registro imprese.
Gli articoli 18 e 19 prevedono l’introduzione dell’istituto del concordato preventivo semplificato per la liquidazione del patrimonio ovvero una nuova procedura che potrà essere attivata entro 60 giorni dall’esito negativo delle trattative avviate con la composizione negoziata della crisi, in particolare dalla comunicazione al debitore della relazione finale redatta dall’esperto.
In questa forma di concordato semplificato, non sono presenti il vaglio giudiziale di ammissibilità preventiva e la votazione dei creditori (salva opposizione all’omologa), e non sarà necessario il pagamento almeno del 20% dell’ammontare del debito complessivo nei confronti dei creditori chirografari. Ora per il giudizio di omologazione non si fa più riferimento alla convenienza del concordato rispetto al fallimento bensì all’assenza di danno e all’assicurazione di un’utilità per ciascun creditore.
L’art. 20 del decreto-legge riguarda alcune modifiche alla legge fallimentare applicabili sin d’ora (rappresentano quindi una parziale anticipazione di alcune novità previste nel CCII). Tra queste, si rivelano particolarmente innovative le seguenti disposizioni: (i) l’art. 182 septies sugli accordi di ristrutturazione ad efficacia estesa (ora estesi a tutte le categorie di creditori omogenei, con possibilità di vincolare il 25% dei crediti, avendo una maggioranza sui rimanenti, se l’accordo prevede la continuazione dell’impresa e i creditori dissenzienti non vengano penalizzati rispetto alle alternative); (ii) l’art. 182 octies sulla convenzione di moratoria (estesa a tutti i tipi di creditori, prevede la dilazione delle scadenze dei crediti e ogni altra misura che non comporti rinuncia al credito alla presenza di determinate condizioni); e (iii) l’art. 182 novies sugli accordi agevolati per i quali la percentuale di creditori aderenti scende dal 60 al 30% se il debitore: a) ha rinunciato alla moratoria; b) non ha presentato il concordato con riserva di presentazione del piano; c) non ha chiesto di sospendere le azioni esecutive.
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Mobilità elettrica: nuove misure per lo sviluppo delle infrastrutture di ricarica.
Il c.d. D.L. Semplificazioni e il D.L. Semplificazioni bis hanno introdotto alcune misure per promuovere la diffusione delle stazioni di ricarica per i veicoli elettrici.
Nel panorama degli interventi volti a promuovere lo sviluppo di comunità più compatibili con l’ambiente, le politiche europee e nazionali sono intervenute negli ultimi anni anche nel settore della mobilità e in particolare dei veicoli elettrici.
Sul lato dell’offerta di autoveicoli, l’Unione Europea è intervenuta con il Regolamento (UE) 2019/631 che definisce i livelli di prestazione in materia di emissioni di CO2 delle autovetture nuove e dei veicoli commerciali leggeri nuovi. I limiti alle emissioni sono sempre più stringenti e tali saranno anche in futuro con la revisione della normativa. Tale disciplina ha, pertanto, l’effetto, “diretto” di ridurre le emissioni di CO2 e quello “indiretto” di incentivare i produttori allo sviluppo del mercato degli autoveicoli elettrici, esenti dal campo di applicazione delle restrizioni all’emissione di CO2.
Al fine di rendere possibile la creazione e lo sviluppo del mercato e la circolazione dei veicoli elettrici, la Direttiva 2014/94/UE ha disciplinato (anche) i criteri per la realizzazione delle infrastrutture di ricarica elettrica.
La Direttiva ha introdotto alcuni principi, ripresi dal Dlgs. 16/12/2016 n. 257 di recepimento:
– lo sviluppo e l’esercizio delle infrastrutture di ricarica in luoghi accessibili al pubblico devono essere ispirati ai principi di un mercato concorrenziale con accesso aperto a tutti i soggetti che possiedono e gestiscono punti di ricarica
– per i distributori di energia elettrica, l’obbligo di cooperare su base non discriminatoria con qualsiasi operatore dei punti di ricarica accessibili al pubblico
– per il proprietario di un veicolo elettrico deve essere possibile effettuare la ricarica in qualsiasi punto “senza dover stipulare un contratto con il fornitore di energia elettrica o gli operatori di ricarica”
I rapporti tra gli interlocutori esistenti in tale mercato vengono così individuati:
– il rapporto tra l’operatore del punto ricarica e il fornitore di elettricità è un rapporto di compravendita di un bene. Gli operatori dei punti di ricarica sono, quindi, considerati consumatori finali che possono acquistare energia elettrica da qualsiasi fornitore dell’Unione Europea e sono autorizzati a fornire ai clienti servizi di ricarica per veicoli elettrici su base contrattuale, anche a nome e per conto di altri fornitori di servizi (multi-service)
– il rapporto tra l’operatore del punto di ricarica e chi detiene il veicolo costituisce una fornitura di un servizio
Il D.L. Semplificazioni decreto-legge 16 luglio 2020, n. 76 convertito in Legge 11 settembre 2020, n. 120 ha introdotto (art. 57) alcune misure per la semplificazione delle norme per la realizzazione di punti e stazioni di ricarica di veicoli elettrici:
– la realizzazione delle infrastrutture deve avvenire secondo i canoni dettati dal Codice della strada (D.lgs. n. 285/1992) e dal relativo Regolamento di esecuzione e di attuazione (DPR n. 495/1992)
– deve essere tutelato il principio del libero accesso non discriminatorio alla globalità degli utenti, in aree private e pubbliche
I Comuni sono tenuti a disciplinare l’installazione, la realizzazione e la gestione delle infrastrutture di ricarica a pubblico accesso, stabilendo la localizzazione e la quantificazione in coerenza con gli strumenti di pianificazione regionali e comunali. Sono interessati le due previsioni, secondo cui:
– il canone di occupazione di suolo pubblico deve essere calcolato sullo spazio occupato dalle infrastrutture di ricarica, senza considerare gli stalli di sosta degli autoveicoli che rimangono nella disponibilità pubblica
– i Comuni possono prevedere la riduzione o l’esenzione del canone di occupazione di suolo pubblico e della tassa per l’occupazione di spazi e aree pubbliche per i punti di ricarica, nel caso in cui gli stessi eroghino energia di provenienza certificata da energia rinnovabile
Anche il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) ha dedicato uno specifico intervento all’ investimento (4.3) per lo sviluppo delle infrastrutture di ricarica elettrica: l’intervento è finalizzato allo sviluppo di punti di ricarica in autostrada e in centri urbani, oltre alle stazioni di ricarica sperimentali con tecnologie per lo stoccaggio dell’energia.
Conseguentemente, il c.d. Decreto Semplificazioni bis (decreto-legge 31 maggio 2021, n. 77), convertito in Legge 29 luglio 2021, n. 108, ha previsto (art. 32 ter) alcune misure di semplificazione per la realizzazione delle infrastrutture di ricarica. In particolare:
– l’installazione delle infrastrutture di ricarica dei veicoli elettrici ad accesso pubblico non è soggetta al rilascio del permesso di costruire ed è considerata attività di edilizia libera
– l’istanza per occupazione suolo e realizzazione infrastrutture si presenta all’ente proprietario della strada
– all’istanza si allega una dichiarazione per l’Ispettorato competente del MISE, da cui risulti l’assenza o la presenza di interferenze con linee di telecomunicazione e il rispetto delle norme che regolano la materia della trasmissione e distribuzione di energia elettrica. Senza necessità di rilascio del nulla osta in caso di assenza di interferenze
– le relative opere di connessione alla rete di distribuzione sono preventivamente concordate con il concessionario del servizio
– l’ente che effettua la valutazione, ai sensi dell’art. 14 bis della L. 241/1990, rilascia entro 30 gg. un provvedimento di autorizzazione alla costruzione e all’occupazione del suolo pubblico
– la durata minima dell’autorizzazione è di 10 anni per il gestore dell’infrastruttura, più un provvedimento di durata illimitata, intestato al gestore della rete, per la realizzazione delle opere di connessione
Nel 2021 molti indicatori del mercato (auto elettriche vendute, ricariche effettuate, kWh erogati) sono cresciuti considerevolmente e nuove iniziative sono state promosse in una filiera che vede protagonisti diversi tipi di operatori. Ci si attende, come noto, il proseguimento di tale crescita nei prossimi anni, che potrà essere supportata oltre che da idonei e ragionevoli incentivi all’acquisto e alla produzione dei veicoli, anche da semplificate misure per sviluppo delle infrastrutture pubbliche e private.
c.colamonico@macchi-gangemi.com
Deducibilità delle perdite su crediti di modesto importo: nuove linee guida dell’Agenzia delle Entrate.
L’Agenzia delle Entrate, con la risposta ad interpello n. 342 del 13 maggio 2021, è tornata ad occuparsi della deducibilità ai fini IRES delle perdite su crediti di modesto importo scaduti da più di sei mesi, chiarendo (nuovamente) le condizioni richieste dal legislatore e le modalità di imputazione temporale.
La disciplina fiscale della deducibilità delle perdite su crediti, per i soggetti diversi da banche, finanziarie e assicurazioni, è contenuta nell’art. 101, comma 5 del TUIR, secondo cui le perdite su crediti sono deducibili, in generale, se risultano da elementi certi e precisi.
In merito alla sussistenza di tali requisiti, oltre ai casi dei crediti verso soggetti in procedura concorsuale e dei crediti prescritti, una specifica disposizione è dettata dall’art. 101, comma 5 del TUIR per i c.d. “mini-crediti”, in quanto si prevede che gli elementi certi e precisi sussistono in ogni caso, ai fini della deducibilità, quando il credito sia di modesta entità e sia decorso un periodo di sei mesi dalla scadenza di pagamento del credito stesso.
La stessa norma precisa che il credito si considera di modesta entità quando ammonta ad un importo non superiore ad Euro 5.000 per le imprese di più rilevante dimensione (ovvero quelle con ricavi non inferiori a Euro 100 milioni) e non superiore a Euro 2.500 per tutte le altre imprese. È inoltre previsto che si considerano presenti gli elementi certi e precisi che determinano la deducibilità della perdita in tutti i casi di cancellazione dei crediti dal bilancio operata in applicazione dei principi contabili.
Con la risposta ad interpello n. 342/2021 l’Agenzia delle Entrate, sulla scia dei precedenti chiarimenti forniti, rispettivamente, con la Circolare n. 26/E del 1° agosto 2013 e con la Circolare n. 14/E del 4 giugno 2014, ha precisato:
a) in primo luogo, che per quanto riguarda i crediti che hanno i requisiti di deducibilità previsti dall’art. 101, comma 5 del TUIR, opera una totale equiparazione, ai fini della costituzione del “fondo fiscale”, tra le svalutazioni e gli accantonamenti.
Ne consegue, quindi, che gli accantonamenti effettuati al fondo svalutazione crediti soddisfano il requisito della previa imputazione ai sensi dell’art. 109, comma 4 del TUIR, per cui i “mini-crediti” che transitano a conto economico come accantonamenti, se presentano i requisiti dell’art. 101, comma 5 del TUIR, sono immediatamente deducibili;
b) qualora il credito non sia stato mai svalutato, la scelta dell’esercizio in cui dedurre il componente negativo divenuto fiscalmente rilevante è rimessa all’impresa creditrice, con l’unico limite temporale rappresentato dal periodo d’imposta nel corso del quale il credito viene cancellato dal bilancio.
a.salvatore@macchi-gangemi.com
f.dicesare@macchi-gangemi.com
Quali insegnamenti possono derivare per le società dalla sanzione privacy di 225 milioni di euro a WhatsApp?
Whatsapp ha ricevuto una sanzione da 225 milioni di euro in materia di privacy per non aver comunicato adeguatamente che la società effettuava un trasferimento di dati a Facebook e le società da questa controllate.
Ricordiamo che WhatsApp è di proprietà del gruppo Facebook dal 2014.
L’importante sanzione deriva, in concreto, dalla violazione dell’obbligo di trasparenza che grava nei confronti di tutti i titolari del trattamento, unitamente ad altre violazioni connesse alla corretta informazione dei soggetti interessati. Ad esempio, l’utilizzo generico del termine “noi” per indicare determinate società (quali?) appartenenti al gruppo Facebook che beneficiavano dei detti trasferimenti.
La sola violazione del principio generale di trasparenza ha comportante una sanzione, ex art 5. Regolamento generale in materia di protezione dei dati (“GDPR”) pari a 90 milioni (sui 225 comminati).
Ulteriore elemento rilevante della fattispecie in esame è l’intervento del Comitato europeo per la protezione dei dati (“EDPB”) che ha imposto al Garante privacy irlandese di aumentare la sanzione originariamente proposta da 50 a 225 milioni di euro.
Il Garante irlandese ha agito quale autorità capofila che ha coordinato le indagini dei garanti europei relative al trattamento dei dati dei cittadini europei da parte di WhatsApp e lo scambio dei predetti dati con Facebook.
Da quanto esaminato è possibile trarre le seguenti conclusioni ed insegnamenti per le società che trattano dati:
1. l’EDPB è diventato e diventerà sempre di più il perno centrale per una corretta e conforme applicazione del GDPR, rendendo ormai obsoleto lo stabilimento in paesi con autorità privacy non particolarmente attive;
2. risulta fondamentale rispettare i principi del GDPR, stabiliti all’art. 5, tra cui il principio di trasparenza, pena sanzioni pesantissime;
3. particolare attenzione deve essere posta alla realizzazione delle informative, strumento fondamentale a disposizione dei titolari per adempiere ai propri obblighi previsti dal GDPR;
4. predisporre un’informazione granulare per i soggetti interessati , che permetta un idoneo approfondimento ove questo sia necessario.
r.demarco@macchi-gangemi.com
f.montanari@macchi-gangemi.com
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