LATEST NEWS & INSIGHTS 18 marzo 2022

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MOLTE IDEE, POCO CONCRETE E CONTINUE. CON IL TEMPO QUALCHE SOLUZIONE LA TROVEREMO…

 

Negli ultimi tempi anche, purtroppo, alla luce dei recenti tristi eventi internazionali, si sono avvicendati vari interventi del legislatore in campo energetico, che per il momento hanno avuto l’effetto di determinare il margine di sfiducia degli investitori nel settore delle rinnovabili. Un ultimo provvedimento sembrerebbe voler reinstaurare la fiducia negli investitori, ma la strada è lunga.

 

L’intervento che per primo ha scombussolato i piani dei soggetti coinvolti nella produzione di energia elettrica da impianti a fonte rinnovabile è stato l’art. 16 del decreto legge n. 4 del 27 gennaio 2022 (il c.d. DL Sostegni ter). Senza volerci soffermare sul contenuto dell’art. 16 se non per brevi cenni, dal 1° febbraio al 31 dicembre 2022, il legislatore aveva previsto l’applicazione di un meccanismo di compensazione a due vie sul prezzo dell’energia prodotta da impianti fotovoltaici che beneficiano di tariffe fisse derivanti dai c.d. vari conto energia e sull’energia elettrica prodotta da impianti a fonte idroelettrica, geotermoelettrica ed eolica che non beneficiano di meccanismi di incentivazione aventi tutti una potenza superiore a 20 kW: il produttore avrebbe dovuto restituire la differenza tra il prezzo di mercato e un ricavo medio di riferimento determinato convenzionalmente.

 

L’art. 16 era stato oggetto di severe critiche non solo provenienti dal mondo dei produttori di energia elettrica a fonte rinnovabile ma anche dalla stessa ARERA (l’Autorità di Regolazione per Energia Reti e Ambiente) che nella memoria del 18 febbraio 2022 (60/2022/I/COM) aveva segnalato alcune criticità dell’art. 16 (ad es. il fatto che la redditività degli impianti da fonte rinnovabile presenta ampi margini di variabilità durante la vita utile dell’impianto e che tale variabilità impatta diversamente sugli impianti incentivati e su quelli non incentivati o il fatto che la norma colpisse solo alcuni possibili beneficiari degli “extra profitti” ma non tutti).

 

Successivamente, probabilmente a fronte delle critiche ricevute, ma forse più probabilmente per via delle difficoltà applicative, il legislatore è intervenuto con l’art. 5 del d.l. n. 13 del febbraio 2022 (c.d. Decreto Antifrodi), entrato in vigore il 26 febbraio 2022. In particolare, il comma 8 dell’art. 5, da un lato prevede l’abrogazione dell’art. 16 del DL n. 4/2022, impedendo quindi la concreta applicazione dello stesso, dall’altro introduce nuove norme volte a catturare i c.d. “extra profitti” che sarebbero maturati o che maturerebbero nel periodo tra il 1 febbraio 2022 e il 31 dicembre 2022, a favore dei soli impianti con potenza superiore a 20 kW ma questa volta limitati:

– a fonte fotovoltaica, sempre che beneficino di premi fissi derivanti dal Conto Energia non dipendenti dai prezzi di mercato;

– a fonte solare, idroelettrica, geotermoelettrica ed eolica sempre che non accedano a meccanismi di incentivazione, entrati in esercizio in data antecedente al 1° gennaio 2010.

 

Anche in questo caso il c.d. extra profitto sarebbe determinato mediante l’applicazione di un meccanismo di compensazione a due vie sul prezzo dell’energia, inteso come la differenza tra i prezzi individuati dal legislatore in base ai prezzi zonali (quindi in base a un numero fisso) e il prezzo di mercato calcolato secondo parametri indicati dal legislatore. Inoltre, tale meccanismo non trova applicazione se sono in essere contratti di fornitura (PPA) aventi determinate caratteristiche.

 

L’extraprofitto così determinato sarà versato in un apposito fondo istituito presso la Cassa per i servizi energetici ed ambientali e portato a riduzione del fabbisogno a copertura degli oneri generali afferenti al sistema elettrico.

 

Rilievi simili a quelli sollevati nei confronti dell’art. 16 del d n. 4/2022 possono sollevarsi nei confronti dell’art. 5 (a cui si aggiunge sicuramente la retroattività della norma). L’effetto a nostro avviso più perverso della normativa risulta però il clima di sfiducia che si insinua negli investitori delle energie rinnovabili, sfiducia che potrebbe minare la capacità dell’Italia di raggiungere gli ambiziosi (ma ormai necessari) obiettivi che si è posta.

 

Infine, in senso opposto, quasi a voler ripristinare quel clima di fiducia e di affidamento nei confronti del legislatore e della volontà di orientare le scelte di politica energetica a favore delle rinnovabili, il d.l. 17/2022 che, quasi a scongiurare eventuali critiche, è titolato “Misure urgenti per il contenimento dei costi dell’energia elettrica e del gas naturale, per lo sviluppo delle energie rinnovabili e per il rilancio delle politiche industriali”. Il D.L. 17/2022 contiene, infatti, norme su più materie e, per gli aspetti relativi all’energia e senza entrare nello specifico delle singole disposizioni, sembra essere un provvedimento più soppesato, meno dettato dalla sola necessità di trovare risorse per tagliare i costi dell’energia elettrica, appare di ampio respiro e più orientato a percorrere la strada della semplificazione amministrativa per gli impianti da fonti rinnovabili (art. 9 e ss.). Una notazione sicuramente positiva è l’attribuzione di un credito di imposta alle imprese del sud Italia che investono in efficienza energetica, che diviene un credito cumulabile con altre agevolazioni.

 

 

s.dellatti@macchi-gangemi.com

 

 

CORTE DEI CONTI E CONTRATTI DERIVATI: CONTRA FACTUM NON VALET ARGUMENTUM.

 

 

La vicenda muove da due contratti di interest rate swap stipulati nel giugno del 2006 da due istituti di credito con la Regione Basilicata, volti a coprire il rischio di rialzo dei tassi su un mutuo ventennale a tasso variabile, assistito dai contributi dello Stato, stipulato dalla stessa Regione nel dicembre 2000 per gli interventi di ricostruzione connessi al sisma del Lagonegrese del 1998.

 

Gli istituti di credito coinvolti hanno conseguito un’importante vittoria nel procedimento contabile deciso con sentenza della Corte dei Conti, sezione giurisdizionale della Regione Basilicata n. 2 del 20 gennaio 2022.

 

L’accusa ha sostenuto che le istituzioni creditizie coinvolte si fossero ingerite, quali consulenti e al contempo controparti dei contratti derivati, nell’apparato organizzativo della Regione al punto da instaurare un rapporto di servizio (dato dall’inserimento concreto ed effettivo delle banche nell’apparato della Pubblica Amministrazione), presupposto giuridico indefettibile ai fini dell’esercizio del sindacato contabile da parte della Corte dei Conti. Secondo il PM contabile, l’operazione in derivati, ritenuta irrazionale e diseconomica, aveva generato un danno erariale compreso fra i 48.7 e i 42.5 milioni di euro (corrispondenti ai flussi di pagamento negativi generati dai contratti derivati), mentre i funzionari e gli amministratori della Regione erano in tesi responsabili per 2.4 milioni di euro (corrispondenti ai costi impliciti dell’operazione).

 

Nel caso di specie, tuttavia, il PM non ha provato l’esistenza del rapporto di servizio in capo alle banche. La Corte ha ritenuto assente qualsiasi profilo di surrogazione degli istituti di credito convenuti nel processo gestionale e/o decisionale della Regione, nonché qualsiasi forma di abdicazione dell’ente pubblico alle proprie funzioni, come confermato da alcune circostanze fattuali concrete quali, fra le altre, l’esistenza di proposte relative ad altre operazioni avanzate dalle banche e mai implementate dalla Regione, la proposta di chiudere la stessa operazione in derivati oggetto del procedimento, rifiutata dalla Regione.

 

La Corte ha ribadito come la violazione di obblighi contrattuali o precontrattuali privatistici, prospettate dal PM nel caso di specie, esuli dalla giurisdizione contabile (come già affermato dalla Suprema Corte, Sezioni Unite, n. 2157/2021). Su queste basi, quindi, la Corte ha dichiarato il difetto di giurisdizione nei confronti degli istituti di credito in relazione all’operazione in derivati.

 

Non è tutto. La Corte ha anche escluso la responsabilità dei funzionari e degli amministratori della Regione accertando la razionalità e l’economicità ex ante dell’operazione. La razionalità dell’operazione è emersa, in particolare, considerando la funzione di copertura dei contratti in parola, i quali hanno consentito alla Regione di sostituire sinteticamente un debito a tasso variabile con un debito a tasso fisso e di mantenere un’adeguata programmazione nel bilancio regionale. Lo swap di capitale incluso nell’operazione, inoltre, ha consentito all’ente pubblico di ottenere un extra-finanziamento, di modesta entità, necessario al completamento delle opere post-sisma già programmate.

 

La Corte ha, infine, puntualizzato come i differenziali negativi pagati dalla Regione ai sensi dei contratti derivati non sono stati generati dalla irrazionalità e/o diseconomicità dell’operazione, come sostenuto dal PM, ma sono stati causati dalla sensibile e marcata riduzione dei tassi interesse determinata inizialmente dalla crisi economica globale del 2008, prolungata dalle politiche monetarie delle istituzioni senza precedenti.

 

In definitiva, alla Corte dei Conti va il merito di aver reso una pronuncia limpida che, nel delineare i confini della giurisdizione contabile sui derivati stipulati dagli enti locali, analizza con lucidità un’operazione in derivati complessa e respinge con fermezza le ambiguità, non solo giuridiche, che caratterizzano queste operazioni.

 

 

m.divincenzo@macchi-gangemi.com

 

 

 

OBBLIGHI DI ASSICURAZIONE E AUTOASSICURAZIONE ALLA LUCE DELLA LEGGE GELLI BIANCO, FINALMENTE IN DIRITTURA D’ARRIVO IL REGOLAMENTO DEL MISE.

 

La mancata emanazione del Regolamento del MISE ha lasciato sinora, di fatto, inapplicata una buona parte della Legge Gelli Bianco, se non altro per ciò che concerne le c.d. “misure analoghe” che, a particolari condizioni, legittimano l’assunzione diretta del rischio da parte delle strutture sanitarie (c.d. “auto-assicurazione”). Il tema è rilevante anche perché diverse strutture sanitarie, se non altro per il notevole incremento che hanno subito negli anni i premi assicurativi per questo tipo di copertura, si sono già convertiti all’autoassicurazione.

 

Come noto l’art. 10, comma 6, della legge della legge 8 marzo 2017 n. 24 entrata in vigore il 1° aprile 2017 (c.d. Legge Gelli Bianco), prevedeva che un successivo regolamento del MISE – da emanarsi di concerto con il Ministero della Salute, il Ministero dell’Economia, e previa intesa con la conferenza Stato regioni, le province autonome, sentita l’IVASS, l’ANIA, e le associazioni nazionali di settore – (il “Regolamento”) determinasse:

 

– i requisiti minimi delle polizze assicurative per le strutture sanitarie e sociosanitarie, pubbliche e private, e per gli esercenti le professioni sanitarie, prevedendo l’individuazione di classi di rischio a cui far corrispondere massimali differenziati;

– i requisiti minimi di garanzia e le condizioni generali di operatività delle altre “analoghe misure”, anche di assunzione diretta del rischio, nonché le regole per il trasferimento del rischio nel caso di subentro contrattuale di un’impresa di assicurazione nonché la previsione nel bilancio delle strutture di un fondo rischi e di un fondo costituito dalla messa a riserva per competenza dei risarcimenti relativi ai sinistri denunciati.

 

In data 9 febbraio 2022, la Conferenza Stato Regioni ha raggiunto l’intesa sullo schema di decreto recante il suddetto Regolamento che si presume sarà presto emanato dal MISE, una volta ricevuto il parere del Consiglio di Stato.

 

Rimandando l’analisi puntuale e completa al momento dell’emanazione del Regolamento (con il testo definitivo) si può cominciare a delineare cosa si prospetta per le strutture sanitarie pubbliche e private in ordine alle c.d. misure analoghe, rispetto alle quali il Regolamento prevede, inter alia, quanto segue:

 

a) che le strutture sanitarie possano fare ricorso, in alternativa alla stipula di un’assicurazione, alle c.d. “misure analoghe” ai fini della copertura per responsabilità civile contrattuale verso terzi e verso prestatori d’opera nonché per responsabilità extracontrattuale verso terzi degli esercenti la professione (per l’ipotesi in cui il danneggiato esperisca l’azione direttamente nei confronti dell’esercente la professione);

 

b) che la scelta di operare mediante assunzione diretta del rischio debba risultare da apposita delibera approvata dai vertici delle strutture sanitarie che ne evidenzi, inter alia, “le modalità di funzionamento e le motivazioni sottese”;

 

c) che la struttura sanitaria (e per essa, il centro di gestione unitario ove la gestione del rischio sia accentrata) debba costituire:

 

(i) un fondo specifico a copertura dei rischi individuabili al termine dell’esercizio e che possono dar luogo a richieste di risarcimento a carico della struttura, accantonandone l’importo in funzione della tipologia e della quantità delle prestazioni erogate e delle dimensioni della struttura tale da essere sufficiente a far fronte, nel continuo, al costo atteso per i rischi in corso al termine dell’esercizio;

 

(ii) un fondo di messa a riserva per competenza dei risarcimenti relativi a sinistri che comprende l’ammontare complessivo delle somme necessarie per far fronte alle richieste di risarcimento presentate nel corso dell’esercizio o nel corso di quelli precedenti, relative a sinistri denunciati e non ancora pagati e relative spese di liquidazione;

 

 

d) la congruità degli accantonamenti dei fondi, debba essere certificata da un revisore legale ovvero dal collegio sindacale;

 

e) limitatamente alle somme dovute a titolo di risarcimento del danno per effetto di una sentenza definitiva o di un accordo stragiudiziale, che i relativi fondi non siano sottoposti ad esecuzione forzata (sempre che l’organo amministrativo dell’ente abbia deliberato in proposito e lo abbia comunicato all’istituto incaricato della tesoreria);

 

f) che i rapporti tra assicuratore e struttura nei casi in cui una quota del rischio sia condotta in auto-ritenzione del rischio (c.d. Self Insurance Retention) o di franchigia, siano rimessi ad appositi protocolli di gestione (il cui contenuto minimo è fissato dal Regolamento) da stipularsi tra le parti ed inserirsi in polizza;

 

g) la struttura sanitaria, sia che operi in completa o parziale auto ritenzione del rischio ovvero con copertura assicurativa, debba gestire il sinistro anche avvalendosi di un apposito comitato di valutazione dei sinistri, costituito al proprio interno o in convezione previa individuazione del ruolo e delle funzioni “con apposito regolamento” a valenza interna;

 

h) che per la determinazione del fondo rischi e del fondo riserva sinistri, i processi di valutazione, di cui la struttura si dota, debbano essere applicati su base continuativa, anche per tenere conto dell’insorgenza di nuovi rischi nascenti dall’offerta di nuove prestazioni sanitarie o dal mutamento di quelle già fornite e che dell’adeguatezza ed efficacia dei processi di valutazione dei rischi si debba dare atto in una relazione annuale;

 

i) che la struttura sanitaria debba istituire al proprio interno la funzione valutazione dei sinistri al fine di valutare sul piano medico-legale, nonché clinico e giuridico, la pertinenza e la fondatezza delle richieste indirizzate alla struttura sanitaria, con il compito di supportare la struttura sanitaria nella determinazione degli accantonamenti di bilancio da costituire prevedendo diverse competenze minime obbligatorie, interne o esterne all’ente medesimo;

 

j) che la struttura sanitaria debba identificare annualmente i principali rischi di responsabilità civile in ambito sanitario cui la stessa è esposta e le azioni necessarie per la loro mitigazione; valutare, gestire e monitorare i rischi in un’ottica attuale e prospettica.

 

Le strutture sanitarie dovranno adeguare le misure organizzative e finanziarie previste dalle disposizioni in materia di “misure analoghe” entro 24 mesi dall’entrata in vigore del Regolamento e la fase di transizione non sarà semplice.

 

 

e.pucci@macchi-gangemi.com

 

 

 

COMUNITÀ ENERGETICHE RINNOVABILI E LEGGI REGIONALI: A CHE PUNTO SIAMO?

 

IL QUADRO NORMATIVO REGIONALE DOPO L’ENTRATA IN VIGORE DEL DECRETO LEGISLATIVO 8 NOVEMBRE 2021, N. 199.

 

Il Dlgs 199/2021 definisce la “comunità energetica rinnovabile” (di seguito anche “CER“) come un soggetto giuridico autonomo, costituito da soggetti che si riuniscono per soddisfare i propri fabbisogni energetici, il cui potere di controllo fa capo a persone fisiche, PMI, enti territoriali e autorità locali ivi incluse le amministrazioni comunali, gli enti di ricerca e formazione, gli enti religiosi, quelli del terzo settore e di protezione ambientale, nonché le amministrazioni locali indicate dall’ISTAT.

 

Lo scopo di tali soggetti, aggregati tra loro, è quello di fornire, tramite la produzione, il consumo e la vendita di energia elettrica da fonti rinnovabili, benefici ambientali, economici, sociali a livello di comunità ai suoi soci o membri o alle aree locali in cui opera la comunità e non è quello di realizzare prodotti finanziari.

 

Il modello si basa sul principio dell’autoconsumo virtuale e quindi dell’utilizzo della rete elettrica di distribuzione, senza collegamento fisico diretto tra l’impianto e l’unità di consumo.

 

I distretti industriali, le zone rurali, le zone agricole, le porzioni di territorio comunale, le zone destinate a parcheggio potrebbero, per esempio, costituire il perimetro di una comunità energetica.

 

Le comunità devono operare nel rispetto di alcune condizioni:

 

– il consumatore che partecipa a una comunità può detenere impianti di produzione di energie rinnovabili direttamente interconnessi all’utenza finale, di proprietà o gestiti da un terzo, ma ai fini dell’energia condivisa rileva solo la produzione di energia FER prodotta dagli impianti che risultano nella disponibilità e sotto il controllo della comunità;

– l’energia autoprodotta dalla comunità dovrà essere utilizzata prioritariamente per l’autoconsumo istantaneo nel luogo di produzione ovvero per la condivisione con i membri della comunità. L’energia in eccesso può essere venduta tramite accordi direttamente o mediante aggregazione.

 

I requisiti e le caratteristiche che una CER deve soddisfare sono disciplinati dalle disposizioni nazionali (Il Dlgs 199/2021) e i decreti ministeriali che dovranno essere adottati prossimamente. Ma anche a livello regionale, sono state già adottate Leggi Regionali finalizzate alla promozione e istituzione delle comunità energetiche a livello locale.

 

Ad oggi, sono sette le Regioni che hanno adottato una propria normativa: il Piemonte (L.R. 3 agosto 2018, n.12 e DGR 8 marzo 2019, n. 18-8520), la Puglia (L.R. 9 agosto 2019, n. 45, DGR 9 luglio 2020, n. 74 e DGR 7 agosto 2020, n. 1346), la Campania (L.R. 29 dicembre 2020, n. 38), la Liguria (L.R. 6 luglio 2020, n. 13), la Calabria (L.R. 10 novembre 2020, n. 25), le Marche (L.R. 11 giugno 2021, n. 10) e la Lombardia (L.R. 15 febbraio 2022, n. 103).

 

In termini generali, le Leggi Regionali sino ad ora adottate prevedono:

 

(i) che i Comuni che intendano procedere alla costituzione di una comunità energetica debbano adottare uno specifico protocollo d’intesa, redatto sulla base di criteri che dovranno essere meglio specificati in un futuro provvedimento regionale;

 

(ii) che la quota annuale dell’energia prodotta e destinata all’autoconsumo da parte dei membri, affinché essi possano mantenere la qualifica di produttori e membri della comunità non sia inferiore a una determinata percentuale stabilita diversamente da Regione a Regione;

 

(iii) alcuni adempimenti di tipo programmatico in capo alla CER, quali, ad esempio, la predisposizione di un bilancio energetico e di un documento strategico.

A tal proposito, le Delibere di Giunta Regionale della Regione Piemonte n. 18-8520 del 2019 e della Regione Puglia n. 74 del 2020 hanno stabilito che i risultati attesi dall’attuazione del documento strategico, predisposto con la finalità di individuare le azioni per la riduzione dei consumi energetici da fonti non rinnovabili e l’efficientamento dei consumi energetici, devono essere preventivamente approvati da Comune proponente e appartenente alla Comunità Energetica e, successivamente, oggetto di valutazione da parte della Regione.

La Regione, con l’ausilio del proprio dipartimento per lo sviluppo infrastrutture energetiche digitali, può approvare o non approvare il documento strategico e prevedere dei finanziamenti per le CER a valere sui fondi europei, nazionali e regionali.

Nel caso in cui essa riscontri delle difformità sulla coerenza delle azioni del documento strategico della CER rispetto al Programma Energetico Ambientale Regionale (PEAR), ai provvedimenti adottati dalle Regioni ovvero agli obiettivi dichiarati dal documento stesso, alla CER medesima sarà precluso l’accesso ai finanziamenti erogati dalla Regione in campo energetico e ambientale, anche di natura statale o comunitaria.

Se entro il termine massimo di due anni dalla data del provvedimento, la CER continua a non conformarsi agli obiettivi che si è prefissata all’interno del documento strategico, non potrà più accedere ai finanziamenti erogati dalla Regione.

Si noti che, stante la natura di soggetto giuridico autonomo della CER, la suddetta sanzione non si applica nei confronti dei soggetti che fanno parte della Comunità medesima, i quali potranno comunque partecipare individualmente a iniziative di sostegno finanziario.

 

(iv) Un sostegno finanziario per la costituzione delle comunità energetiche rinnovabili;

 

(v) l’istituzione di un tavolo tecnico tra Regione e comunità per monitorare e supportare la riduzione dei consumi energetici.

 

Una diversa impostazione è stata adottata dalla Regione Lombardia, nella cui Legge Regionale si prevede: (i) l’individuazione di un ente del Sistema Regionale denominato Comunità Energetica Regionale Lombardia (CERL) che fornisce assistenza tecnica per la promozione e lo sviluppo delle CER mediante un programma sottoposto a costante monitoraggio e aggiornamento e (ii) la promozione da parte della Regione di forme autonome di aggregazione e di rappresentanza delle CER.

 

Inoltre, nel definire gli indirizzi prioritari per la diffusione delle CER in Lombardia, la Legge Regionale prevede, tra gli altri, il coinvolgimento del terzo settore e forme cooperative, nonché la promozione e la costituzione di comunità energetiche in forma cooperativa per valorizzare lo scambio mutualistico tra la CER e i soci consumatori di energia.

 

Con l’obiettivo di raccogliere informazioni relative all’esercizio della CER e di assicurare una più efficace gestione delle medesime comunità, la Regione Lombardia si propone altresì di realizzare un sistema regionale di monitoraggio, i cui esiti sono annualmente presentati al Consiglio regionale mediante un’apposita relazione predisposta dalla Giunta Regionale, anche avvalendosi della CERL.

 

Le CER possono costituire iniziative interessanti per diversi tipi di operato nel settore energetico:

 

– per i consumatori (con consumi non elevatissimi), la CER può costituire un buon modello di produzione e consumo sostenibile dal punto di vista ambientale, sociale ed economico.

– per gli operatori del settore energetico (non solo produttori/consumatori) considerato che possono permettere l’offerta di servizi “ancillari” (esempio relativi alla mobilità elettrica, all’efficienza energetica, alla gestione delle CER).

 

Il prossimo passaggio per dare impulso concreto alle iniziative è l’adozione della disciplina nazionale relativa sia alle tariffe incentivanti per la produzione elettrica, sia a fondi e contributi pubblici previsti dal PNRR, nonché l’adozione delle leggi regionali ancora mancanti.

 

 

c.colamonico@macchi-gangemi.com
e.casciani@macchi-gangemi.com

 

 

 

CASELLA DI POSTA CERTIFICATA PIENA: COSA SUCCEDE?

 

La casella di posta elettronica certificata è ormai da anni uno strumento imprescindibile di lavoro per l’avvocato, in ambito giudiziario soprattutto, e questo non solo allorché il professionista si ritrovi ad essere il soggetto destinatario delle comunicazioni o delle notifiche da parte degli organi giudiziari e delle controparti, ma anche quando l’avvocato deve procedere contro una società e in genere contro tutti i soggetti tenuti a dotarsi di casella di posta elettronica certificata (società e partite IVA come ditte individuali, artigiani, liberi professionisti, pubbliche amministrazioni – v. legge 179/2012).

 

L’avvocato è responsabile del corretto funzionamento della propria pec nell’adempimento del proprio mandato, ma lo è anche un qualunque altro destinatario delle notifiche, ad esempio, il difensore di una parte non riceve la notificazione di una sentenza ai fini dell’impugnazione perché la casella di posta certificata di cui è dotato è piena e, a sua insaputa, decorrono i termini per l’appello. Per la Corte di Cassazione in un tale contesto la notifica è sempre valida; infatti, “… Il mancato buon esito della comunicazione telematica di un provvedimento giurisdizionale dovuto alla saturazione della capienza della casella PEC del destinatario è evento imputabile a quest’ultimo …” (Cass. Civ. Sez. Lav. 20.05.2019, n. 13532 in Giust. Civ. Mass. 2019).

 

La Corte ha perciò sancito un vero e proprio obbligo di diligenza in capo al professionista tenuto a dotarsi di adeguati strumenti informatici per scongiurare malfunzionamenti o inaspettati blocchi della casella di posta elettronica certificata come, ad esempio, l’installazione di sistemi di avviso al raggiungimento di determinate soglie di capienza dell’account di posta (v. rif. normativo D.M. n. 44 del 2021 art. 20, comma 5°; Cass. Civ. Sez. I. 20.09.2021, n. 25426 in Giust. Civ. Mass. 2021; sull’inadeguata gestione dello spazio di archiviazione v. Cass. Civ. Sez. Lav., 02.03.2021, n. 5646 in Guida al Diritto 2021, 14).

 

In sintesi, un mero malfunzionamento informatico del servizio di posta elettronica certificata non supportato da una precisa e circostanziata prova di un evento esterno imprevedibile ed inevitabile, determina una responsabilità diretta in capo all’avvocato (per l’ipotesi di inutile decorso dei termini di impugnazione vedasi recentissima Ordinanza Cass. Civ. Sez. VI. 02.03.2022, n. 6912 in italgiure.giustizia.it).

 

A conclusioni del tutto simili è giunta la Corte di Cassazione in un caso di notificazione di un decreto ingiuntivo con posta elettronica certificata, notificazione non ricevuta dal destinatario perché archiviata nella cartella spam ed inconsapevolmente cancellata dal ricevente. Nel pronunciarsi su un tale caso la Corte si è così espressa: “… Nell’ipotesi di notifica del decreto ingiuntivo a mezzo PEC, a norma dell’ art. 3 bis della l. n. 53 del 1994, la circostanza che la e-mail PEC di notifica sia finita nella cartella della posta indesiderata (spam) della casella PEC del destinatario e sia stata eliminata dall’addetto alla ricezione, senza apertura e lettura della busta, per il timore di danni al sistema informatico aziendale, non può essere invocata dall’intimato come ipotesi di caso fortuito o di forza maggiore ai fini della dimostrazione della mancata tempestiva conoscenza del decreto che legittima alla proposizione dell’opposizione tardiva ai sensi dell’ art. 650 c.p.c. …” – v. Cass. Civile, sez. III, 23.06.2021, n. 17968 in Giust. Civ. Mass., 2021).

 

L’argomento è però ancora dibattuto: con ordinanza interlocutoria n. 2755 del 05.02.2020 la Sezione VI della Corte di Cassazione ha disposto il rinvio alle Sezioni Unite per chiarire ulteriormente il tema, prospettando tre distinte soluzioni all’ipotesi di casella di posta elettronica certificata piena: con la prima, si contempla una sorta di obbligo di rinnovare la notificazione secondo le regole dettate dagli artt. 137 c.p.c. e ss.; con la seconda, invece, l’attestazione di una effettiva saturazione della casella di posta viene considerata alla stregua della ricevuta di consegna vera e propria; infine, con la terza soluzione interpretativa s’ipotizza un possibile ordine del giudice di rinnovo della notificazione.

 

Vedremo come si esprimeranno gli Ermellini non ancora intervenuti a dirimere la questione.

 

 

e.storari@macchi-gangemi.com
f.montanari@macchi-gangemi.com

 

 

 

RIAPERTI I TERMINI PER LA RIVALUTAZIONE DEI TERRENI E DELLE PARTECIPAZIONI.

 

Nuova edizione per la rivalutazione dei terreni e delle partecipazioni: è possibile accedere all’agevolazione in relazione ai beni posseduti al 1 gennaio 2022, pagando un’imposta sostitutiva con aliquota del 14%. Per versare l’imposta sostitutiva e per procedere alla redazione e all’asseverazione della perizia di stima c’è tempo fino al 15 giugno 2022.

 

L’art. 29 del Decreto Legge n. 17 del 1 marzo 2022 (c.d. “Decreto Energia”) prevede la riapertura dei termini per la rideterminazione, ai sensi degli artt. 5 e 7 della Legge n. 448 del 28 dicembre 2001, del valore fiscale dei terreni e delle partecipazioni in società non quotate.

 

La rivalutazione consente di ridurre o azzerare le eventuali plusvalenze generate in sede di cessione dei beni rivalutati, poiché permette di calcolare l’eventuale plusvalenza imponibile ai sensi dell’art. 67 del TUIR sul valore rideterminato sulla base di un’apposita perizia giurata di stima, in luogo del costo fiscalmente rilevante.

 

Come chiarito dall’Agenzia delle Entrate con la Circolare n. 12 del 31 gennaio 2002, sono interessati dalla disposizione agevolativa i seguenti contribuenti:

 

– le persone fisiche, per le operazioni non rientranti nell’esercizio di attività d’impresa;

– le società semplici e i soggetti ad esse equiparate ai sensi dell’art. 5 del TUIR;

– gli enti non commerciali, se l’operazione da cui deriva il reddito non è effettuata nell’esercizio di impresa;

– i soggetti non residenti, per le plusvalenze derivanti dalla cessione a titolo oneroso di partecipazioni in società residenti in Italia, non riferibili a stabili organizzazioni, salve le previsioni contenute nelle Convezioni contro le doppie imposizioni che ne escludano l’imponibilità in Italia.

 

I beni rivalutabili, che devono risultare posseduti alla data del 1 gennaio 2022, sono:

 

– terreni agricoli o edificabili posseduti a titolo di proprietà o altro diritto reale di godimento;

– partecipazioni rappresentante da titoli (azioni), quote di partecipazione al capitale o patrimonio di società non rappresentante da titoli (quote di srl o di società di persone);

– ovvero, diritti o titoli attraverso cui possono essere acquisite le predette partecipazioni (ad es. diritto di opzione, warrant, obbligazioni convertibili in azioni).

 

Inoltre, il regime in argomento può riguardare anche le partecipazioni in una società semplice e/o in una società estera.

 

In ogni caso, come precisato dall’Agenzia delle Entrate con la Circolare n. 12/2002: “deve trattarsi di diritti o titoli non quotati, anche se attribuiscono al possessore il diritto di acquistare partecipazioni negoziate nei mercati regolamentati”. Non possono essere altresì rivalutate le partecipazioni negoziate all’AIM Italia (dal 25 ottobre 2021, “Euronext Growth Milan”) o in altri sistemi multilaterali di negoziazione, in quanto si considerano a tutti gli effetti quotate (cfr. Agenzia delle Entrate, Circolare n. 1 del 22 gennaio 2021 e la Circolare n. 32 del 23 dicembre 2020).

 

La rivalutazione è riconosciuta a fronte del pagamento di un’imposta sostitutiva con aliquota del 14% (ovvero, con un’aliquota più elevata rispetto a quella dell’11% prevista nell’ultima edizione dell’agevolazione).

 

Il versamento dell’imposta potrà avvenire:

 

– in un’unica soluzione entro il 15 giugno 2022; oppure

– in forma rateale, fino ad un massimo di tre rate dello stesso ammontare entro il 15 giugno 2022, il 15 giugno 2023 e il 15 giugno 2024. Sull’importo delle rate successive alla prima sono dovuti gli interessi nella misura del 3%.

 

L’imposta sostitutiva dovrà essere calcolata sull’intero valore della perizia (anche questa, da redigere ed asseverare entro il 15 giugno 2022) e non solo sul differenziale tra il valore di perizia e il costo fiscalmente riconosciuto del bene oggetto della rivalutazione stessa.

 

In tal senso, nel caso in cui i contribuenti abbiano già effettuato una precedente rivalutazione del valore dei medesimi beni, è ammessa la detrazione dell’imposta sostitutiva dovuta per la nuova rivalutazione dell’importo relativo all’imposta sostitutiva già versata.

 

 

a.salvatore@macchi-gangemi.com
f.dicesare@macchi-gangemi.com

 

 

DISCLAIMER: Questa newsletter fornisce solo informazioni generali e non costituisce una consulenza legale da parte di Macchi di Cellere Gangemi. L’autore dell’articolo o il vostro contatto in studio sono a Vostra disposizione per qualsiasi ulteriore chiarimento.

 

 

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