PRIMO PASSO VERSO UNA REGOLAMENTAZIONE UE SULL’INTELLIGENZA ARTIFICIALE – È STATO APPROVATO DAL PARLAMENTO EUROPEO L’AI ACT.
Dopo un primo parere favorevole da parte della Commissione per il mercato interno e la Commissione per le libertà civili del Parlamento Europeo sull’AI Act è arrivato, il 14 giugno 2023, anche il voto favorevole del Parlamento UE.
Verranno ora avviati i negoziati con gli Stati membri dell’UE sulla forma finale del Regolamento, con l’obbiettivo di concludere i negoziati entro fine anno e procedere all’approvazione definitiva per l’entrata in vigore del Regolamento entro il 2024.
Oltre alla Privacy uno dei temi più caldi legato a questo Regolamento è quello della tutela del Copyright.
Le tematiche legate alle creazioni dell’AI generativa hanno sollevato grande interesse e numerosi dubbi sulla disciplina degli input utilizzati nel processo creativo e sulla possibilità di tutelare nonché sulla eventuale paternità degli output generati da questa.
Con questo Regolamento assistiamo ad un primo tentativo di offrire una risposta a tali quesiti.
Nell’AI Act sono stati introdotti due importanti obblighi per i fornitori di intelligenze artificiali:
– indicare i contenuti protetti da copyright utilizzati per alimentare il modello
– indicare che il contenuto è stato prodotto da un’intelligenza artificiale
In merito al primo tema è previsto l’obbligo per gli sviluppatori di AI generativa di fornire un riassunto dettagliato dei contenuti che sono stati utilizzati per allenare l’intelligenza artificiale in modo tale da offrire agli autori la possibilità di verificare che il materiale utilizzato non violi i loro diritti di privativa.
L’art. 29b paragrafo 4 si esprime chiaramente sul punto:
“I fornitori di modelli di base utilizzati nei sistemi di AI specificamente destinati a generare, con diversi livelli di autonomia, contenuti quali testo, immagini, audio o video complessi (“AI generativa”) e i fornitori che specializzano un modello di base in un sistema di AI generativo, devono inoltre:
1. rispettare gli obblighi di trasparenza di cui all’articolo 52, paragrafo 1,
2. formare e, se del caso, progettare e sviluppare il modello di base in modo tale da garantire adeguate garanzie contro la produzione di contenuti in violazione del diritto dell’Unione, in linea con lo stato dell’arte generalmente riconosciuto e fatti salvi i diritti fondamentali, compresa la libertà di espressione,
3. fatta salva la legislazione dell’Unione o nazionale o dell’Unione in materia di diritto d’autore, documentare e mettere a disposizione del pubblico una sintesi sufficientemente dettagliata dell’uso dei dati di addestramento protetti dal diritto d’autore”.
Un aspetto in materia di Copyright che non viene però analizzato dal Regolamento è quello relativo alla paternità dell’opera generata dall’AI.
Non offrendo quindi nessuna novità rispetto alla Risoluzione n. 2020/2015 sui diritti di proprietà intellettuale e le tecnologie generate da AI nella quale il Parlamento Europeo “osserva che l’autonomizzazione del processo creativo di generazione di contenuti di carattere artistico può sollevare interrogativi riguardo alla titolarità dei DPI relativi a tali contenuti; ritiene, a tale proposito, che non sarebbe opportuno dotare di personalità giuridica le tecnologie di IA e ricorda le ripercussioni negative di una siffatta possibilità sugli incentivi per i creatori umani; […] ritiene che le opere prodotte autonomamente da agenti artificiali e robot potrebbero non essere ammissibili alla protezione del diritto d’autore, al fine di rispettare il principio di originalità, che è legato a una persona fisica, e dal momento che il concetto di “creazione intellettuale” riguarda la personalità dell’autore”.
Oltre al Regolamento in questione si stanno muovendo in parallelo altre due iniziative riguardanti l’intelligenza artificiale: l’AI Code of Conduct e l’AI Pact.
L’AI Code of Conduct che, come comunicato da Margrethe Vestager – Vicepresidente esecutivo dell’Unione europea, responsabile per la concorrenza e la strategia digitale – verrà proposto in sede di G7.
L’UE e gli Stati Uniti stanno lavorando insieme per sviluppare un codice di condotta volontario per l’AI generativa con l’obbiettivo di sviluppare standard internazionali non vincolanti applicabili all’audit dei rischi, alla trasparenza e ad altri requisiti per le aziende che sviluppano sistemi di intelligenza artificiale prima che l’AI Act entri in vigore.
L’AI Pact riguarderebbe invece la creazione di principi non vincolanti sulla trasparenza e la responsabilità, come soluzione provvisoria per la tecnologia in rapido sviluppo. Questo “patto” sarà rivolto alle aziende sviluppatrici di sistemi di AI nel tentativo di conformarsi alle regole contenute nell’AI Act prima dell’entrata in vigore del Regolamento, accelerando in tal modo la transizione.
Il fatto che il CEO di Google, Sundar Pichai, a seguito di un incontro con Thierry Breton, commissario per il mercato interno dell’Unione europea, abbia accettato di collaborare con i legislatori europei all’AI Pact è un segnale che probabilmente anche le aziende accoglieranno con favore questa regolamentazione non vincolante.
m.baccarelli@macchi-gangemi.com
c.bonino@macchi-gangemi.com
L’UE INCREMENTA LA PROPRIA “AMBIZIONE CLIMATICA”: IL NUOVO REGOLAMENTO CBAM.
“Il cambiamento climatico è un problema globale che richiede soluzioni globali” (Commissione Europea). Tra le azioni adottate sul piano unionale, si segnala il recentissimo Regolamento (UE) n. 2023/956, pubblicato il 16 maggio 2023 sulla Gazzetta Ufficiale UE, che ha istituito il c.d. Carbon Border Adjustment Mechanism (CBAM).
Il 10 maggio 2023 gli Stati membri dell’Unione Europea hanno firmato il Regolamento CBAM, entrato in vigore il giorno successivo alla sua pubblicazione in Gazzetta Ufficiale dell’UE il 16 maggio 2023, con l’obiettivo di prevenire la “rilocalizzazione delle emissioni di carbonio”, causato dallo spostamento della produzione ad alta intensità di carbonio all’estero, in Paesi extra-UE che adottano politiche climatiche meno rigorose.
Il CBAM, introdotto gradualmente, permetterà di fissare un prezzo equo sul carbonio emesso durante la produzione di beni ad alta intensità di carbonio, garantendo che il prezzo delle importazioni sia equivalente al prezzo del carbonio della produzione interna.
Ai sensi dell’art. 2 del Regolamento CBAM, questo “si applica alle merci elencate nell’allegato I, originarie di un paese terzo, quando tali merci, o i prodotti trasformati a partire da tali merci risultanti dal regime di perfezionamento attivo (…), sono importati nel territorio doganale dell’Unione”. Il CBAM, in particolare, si applicherà alle importazioni di determinati beni la cui produzione è ad alta intensità di carbonio e presenta il rischio più significativo di rilocalizzazione delle emissioni di carbonio (i.e. cemento, ferro, acciaio, alluminio, fertilizzanti, elettricità e idrogeno).
Cosa cambierà per le aziende?
Una prima fase transitoria, dal 1 ottobre 2023 al 31 dicembre 2025, sarà di apprendimento per le parti interessate (importatori, produttori e autorità) e imporrà agli importatori di merci delle iniziali regole di dichiarazione di emissioni di gas a effetto serra incorporate nelle loro importazioni, senza effettuare alcun pagamento. In particolare, ogni importatore dovrà presentare alla Commissione la c.d. “Relazione CBAM”, contenente le seguenti informazioni:
– la quantità totale di ciascun tipo di merci (in MWh per l’energia elettrica e in t per le altre merci);
– il totale delle emissioni incorporate effettive (espresso in t di emissioni di CO2 e per MWh per l’energia elettrica o, per le altre merci, in t di emissioni di CO2 e per t di ciascun tipo di merci);
– le emissioni indirette totali;
– il prezzo del carbonio dovuto in un Paese di origine per le emissioni incorporate nelle merci importate.
Durante il periodo di transizione, la Commissione Europea, previa consultazione del comitato CBAM, dovrà adottare un atto di esecuzione contenente norme e requisiti per la comunicazione delle emissioni nell’ambito CBAM. È, inoltre, plausibile, che il funzionamento del CBAM sia riesaminato per valutare l’inclusione di altri beni prodotti in settori coperti dall’EU ETS nell’ambito del meccanismo CBAM.
Dal 1° gennaio 2026 il sistema CBAM entrerà pienamente in vigore, obbligando gli importatori:
(i) a richiedere – e ottenere – un’apposita autorizzazione a importare le merci, ottenendo così lo status di “dichiarante CBAM autorizzato”;
(ii) a dichiarare ogni anno la quantità di merci importate nell’UE nell’anno precedente e i relativi gas a effetto serra incorporati, consegnando contestualmente il corrispondente numero di certificati CBAM.
Il prezzo dei certificati sarà calcolato in funzione del prezzo medio settimanale d’asta delle quote EU ETS espresso in €/t di CO2 emessa.
Per ulteriori informazioni:
a.salvatore@macchi-gangemi.com
f.dicesare@macchi-gangemi.com
d.michalopoulos@macchi-gangemi.com
IL LITISCONSORZIO NECESSARIO IN APPELLO: OMESSA NOTIFICAZIONE DELL’IMPUGNAZIONE, EFFETTI E NECESSARI RIMEDI.
Ormai da tempo la Corte di Cassazione ha chiarito che nel giudizio d’appello il litisconsorzio necessario sussiste tra coloro che hanno preso parte al processo di primo grado quando vi è un pericolo concreto di contrasti tra giudicati.
Quando una decisione deve essere emessa nei riguardi di più parti, per ragioni di ordine sostanziale o per esigenze processuali, la partecipazione necessaria delle stesse alla lite diviene imprescindibile tanto che il giudice, in assenza di una o più parti, deve fissare un termine per l’integrazione del contraddittorio (art. 102 c.p.c.).
È utile interrogarsi sulla presenza o meno di un litisconsorzio necessario tra le parti in appello allorché l’impugnazione avverso la decisione che ha definito la lite in primo grado venga notificata, per scelta o per errore, solo ad alcune di esse; in un simile contesto il giudice del gravame può ugualmente pronunciare sentenza o deve integrare il contradditorio?
Al riguardo l’art. 331 c.p.c. dispone che “… Se la sentenza pronunciata tra più parti in causa inscindibile o in cause tra loro dipendenti non è stata impugnata nei confronti di tutte, il giudice ordina l’integrazione del contraddittorio, fissando il termine entro il quale la notificazione deve essere fatta e, se è necessario, l’udienza di comparizione …” (norma cit.).
Secondo la Corte di Cassazione, l’art. 331 c.p.c. si applica non solo alle fattispecie in cui la necessità del litisconsorzio in primo grado sia da ricondurre a ragioni di ordine sostanziale (contitolarità del rapporto azionato in giudizio), ma anche a quelle di cd. litisconsorzio necessario processuale, che ricorrono ogni qual volta la presenza di più parti nel giudizio di primo grado debba necessariamente persistere in sede di impugnazione, al fine di evitare possibili giudicati contrastanti in ordine alla stessa materia e nei confronti di quei soggetti che siano stati parti del giudizio (Cas. Civ. ordinanza 27.04.2021, n. 11044).
Così, secondo la Suprema Corte “… la mancata integrazione del contraddittorio nel giudizio di appello determina la nullità dell’intero procedimento di secondo grado e della sentenza che lo ha concluso, rilevabile d’ufficio anche in sede di legittimità …” (Cass. Civ. Sez. VI, ordinanza, n. 8790 del 29.03.2019).
Non solo, in tema d’impugnazioni civili, l’integrazione del contraddittorio è obbligatoria ai sensi dell’art. 331 c.p.c., non solo in ipotesi di cause inscindibili ma anche nell’ipotesi di cause che, pur scindibili, riguardano rapporti logicamente interdipendenti tra loro o dipendenti da un presupposto di fatto comune (cd. cause dipendenti), quando siano state decise nel precedente grado di giudizio in un unico processo, al fine di evitare che le successive vicende processuali conducano a pronunce definitive di contenuto diverso (Cass. Civ. Sez. Trib. 30.12.2016, n. 27485).
Altra questione che si pone in simili contesti è se l’appello notificato solo ad alcune delle parti “necessarie” in primo grado produca comunque i suoi effetti anche nei riguardi di chi tale notifica non l’ha ricevuta, questione di non poco momento se si considera la possibilità di un passaggio in giudicato della sentenza verso chi non è stato convenuto innanzi al giudice del gravame.
Ebbene, secondo il costante pensiero della Corte di Cassazione “… L’omessa notificazione dell’impugnazione ad un litisconsorte necessario non si riflette sull’ammissibilità o sulla tempestività del gravame, che conserva, così, l’effetto di impedire il passaggio in giudicato della sentenza impugnata, ma rende necessaria l’integrazione del contraddittorio per ordine del giudice – in mancanza della quale si verifica una nullità rilevabile d’ufficio nei gradi successivi – anche quando il litisconsorte non sia stato indicato nell’atto di impugnazione …” (Cass. Civ. Sez. VI, 27.07.2018, n. 19910 in Giust. Civ. Mass. 2018 – conforme Cass. Civ. Sez. lav. 31.07.2013, n. 18364 in Giust. Civ. Mass. 2013 – conforme anche Cass. Civ. Sez. VI, 08.02.2011, n. 3071 – Cass. Civ. Sez. lav. 16.04.2008, n. 9977).
Perciò, non solo la notificazione dell’appello limitata ad alcune parti necessarie impedisce il formarsi del giudicato anche nei confronti litisconsorti necessari esclusi dalla lite in secondo grado, ma rimane fermo il principio secondo cui occorre disporre l’integrazione del contraddittorio per scongiurare la nullità della decisione d’appello.
RESPONSABILITÀ DEGLI ENTI EX. ART. 231/01: NUOVO ORIENTAMENTO IN TEMA DI COLPA DI ORGANIZZAZIONE DELL’ENTE E CULPA IN VIGILANDO.
Il Tribunale penale di Milano, con sentenza n. 3314/2023, ha accertato la responsabilità di Johnson & Johnson Medical S.p.a. per l’inidoneità e l’attuazione inefficace del modello organizzativo condannando l’ente ai sensi degli artt. 5, comma 1, lett. b, 7 e 25, comma 2, del d.lgs. 231/2001.
La fattispecie ha fornito al Tribunale l’opportunità di chiarire i criteri sulla base dei quali accertare l’idoneità e l’efficacia di attuazione del modello di organizzazione, gestione e controllo (di seguito anche solo “Modello”), a seconda che l’autore del reato presupposto sia un soggetto apicale o un sottoposto.
In particolare, nella sentenza in questione, il Tribunale ha voluto ricordare, in via preliminare, come, ai sensi degli articoli 6 e 7 del d.lgs. 231/01, il Modello non sia obbligatorio poiché “il sistema 231 costituisce, per le imprese, un onere (opportunità, in un certo senso), ma non un obbligo”, e di conseguenza “la colpa di organizzazione – ontologicamente impersonale – può anche consistere in un’intenzionale disorganizzazione: l’ente, deliberatamente, sceglie di non adottare il modello organizzativo”.
Tuttavia, se l’ente decide di adottare il Modello, come avvenuto nel caso in oggetto, tali obblighi devono ritenersi “inglobati” e formalizzati nel Modello stesso e la loro corretta ed efficace attuazione, prima della commissione del reato è, anzi, causa di esclusione di responsabilità dell’ente.
Su tale punto il Tribunale ha ritenuto di dover specificare come non sussistano significative differenze – in tema di valutazione di idoneità e di efficace attuazione del Modello – tra il regime previsto dall’art. 6 in relazione alla responsabilità per fatto degli apicali e quello dettato dall’art. 7 in relazione al reato commesso dai soggetti sottoposti.
Successivamente, il Tribunale ha specificato come “ la culpa in vigilando, che integra l’elemento di connessione tra reato ed ente rispetto ai reati commessi dai non apicali, non passa necessariamente attraverso la condotta “colposa” di una persona fisica controllore, ma è (e resta comunque) incardinata nella strutturale colpa in organizzazione, che è una forma di “colpevolezza impersonale” propria della societas e direttamente riferita all’organizzazione collettiva, anche se innervata – come si è riscontrato anche in questo caso e come si ribadirà in seguito in appresso – di condotte inadeguate di individui sovraordinati ai sottoposti a cui è ascritto il reato”.
Per valutare la responsabilità dell’ente da reato occorrerà calarsi nella prospettiva dell’ente al momento dei fatti, valutando la condotta dei soggetti sottoposti ad altrui direzione sulla base degli elementi conosciuti e conoscibili all’epoca.
In particolare, è necessario verificare se: i) i dipendenti (o comunque in altro modo sottoposti) abbiano correttamente inquadrato l’attività a rischio e rispettato i protocolli e le procedure stabiliti nel Modello in relazione a tale attività; e ii) in caso contrario, se sia stata rilevata, e quindi corretta, la disfunzione rispetto al Modello.
Applicando i principi sopra enucleati, l’ente è stato condannato in base all’esito di una complessa istruttoria che ha accertato carenze organizzative, nel sistema dei controlli e la sistematica disapplicazione del sistema sanzionatorio.
m.divincenzo@macchi-gangemi.com
a.buttarelli@macchi-gangemi.com
IL WINDSOR FRAMEWORK E IL NUOVO REGIME DOGANALE IBRIDO TRA LE DUE IRLANDE.
Il “Protocollo sull’Irlanda del Nord” firmato tra Regno Unito e Unione Europea il 1° gennaio del 2021 è stato negli anni molto criticato dai nordirlandesi perché troppo oneroso. Lo scorso 27 febbraio è stata raggiunta un’intesa per la modifica del Protocollo che negli auspici delle parti, se entrerà definitivamente in vigore, porterà alla semplificazione delle procedure applicabili allo scambio di merci tra Gran Bretagna e Irlanda del Nord ed inoltre riconoscerà al parlamento nordirlandese (parlamento di Stormont) una forma di autonomia in tema di applicazione di specifiche norme europee commerciali.
Prima della Brexit, il commercio tra Irlanda del Nord (una delle quattro nazioni/regioni che fanno parte del Regno Unito) e la Repubblica d’Irlanda (una nazione indipendente dal Regno Unito) è sempre stato agevole grazie alle regole comunitarie del mercato unico europeo. Nel 2016 però, dopo l’esito del referendum sulla Brexit, è stato necessario intavolare trattive finalizzate all’ottenimento di un accordo doganale per far sì che gli scambi tra Irlanda del Nord e la Repubblica d’Irlanda potessero proseguire regolarmente.
Tale accordo è stato per molto tempo al centro delle trattive sulla Brexit, considerata la storia politica della regione nordirlandese e la necessità di preservare gli equilibri faticosamente raggiunti con il Good Friday Agreement.
Una prima soluzione a tale problematica fu raggiunta dall’ex primo ministro Boris Johnson, che ha concordato con l’Unione Europea il “Protocollo sull’Irlanda del Nord”, che è diventato parte del diritto internazionale entrando ufficialmente in vigore il 1° gennaio 2021.
Tale accordo ha introdotto una serie di controlli su tutte le merci destinate o transitanti in Irlanda del Nord, comprese quelle provenienti dalla Gran Bretagna.
Fin da subito, il Protocollo sull’Irlanda del Nord è stato criticato dai partiti unionisti e dalle imprese nordirlandesi poiché i nuovi controlli sulle merci, a loro avviso, avrebbero solamente creato un confine effettivo e non voluto tra Irlanda del Nord e Repubblica d’Irlanda oltre che incrementato i costi e gli oneri burocratici.
Il 27 febbraio 2023, dopo molti sforzi reciproci, Regno Unito e Unione Europea hanno congiuntamente annunciato il “Windsor Framework”, un accordo che non appena entrerà in vigore modificherà il Protocollo del 2021. Le principali novità sono le seguenti:
1. semplificazione delle pratiche doganali;
2. poteri di sospensione delle norme UE, tramite il c.d. “Stormont Brake”;
3. applicazione delle normative alimentari britanniche in Irlanda del Nord.
Semplificazione delle pratiche doganali
Il Windsor Framework alleggerirà i controlli sulle merci provenienti dalla Gran Bretagna destinate all’Irlanda del Nord (e viceversa), assegnandole alla “Green Lane”. In particolare, nella Green Lane gli operatori compileranno soltanto un certificato digitale per “truck movement” anziché diversi moduli per ogni carico, così eliminando la necessità di dichiarazioni di esportazione per la maggior parte delle merci che si spostano dall’Irlanda del Nord alla Gran Bretagna.
Al contrario, le merci dirette al mercato unico dell’Unione Europea (quindi anche alla Repubblica d’Irlanda) saranno soggette a controlli doganali completi nella “Red Lane” prima di lasciare i porti dell’Irlanda del Nord.
Stormont Brake
Il protocollo sottoscritto da Boris Johnson prevede che alcune specifiche norme commerciali europee continuino ad essere applicate nell’Irlanda del Nord.
Il Windsor Framework a tal proposito introduce una novità di rilievo: lo “Stormont Brake”.
In sostanza, al parlamento nordirlandese, che è composto da 90 deputati, è riconosciuto il potere di intervenire nel caso in cui vengano apportate specifiche modifiche alle leggi comunitarie in materia di commercio, ove applicabili all’Irlanda del Nord, che abbiano un impatto significativo e duraturo sulla vita quotidiana dei cittadini nordirlandesi.
Affinché ciò avvenga, è necessario che almeno 30 membri del parlamento di Stormont, appartenenti ad almeno due partiti politici diversi, firmino una petizione contenente argomentazioni solide che dimostrino che l’impatto dannoso delle modifiche è destinato a persistere. L’attivazione dello “Stormont Brake” non richiede la maggioranza in parlamento, essendo consentito sia ai membri del partito unionista DUP che ai sostenitori dell’indipendenza come lo Sinn Féin di firmare questa petizione senza il consenso dell’altro partito.
Una volta firmata la petizione, il governo del Regno Unito può sospendere immediatamente l’applicazione della legge comunitaria per la quale l’Irlanda del Nord ha firmato la petizione.
La relativa controversia, ove non risolta dal comitato congiunto istituito ai sensi dello stesso Windsor Framework e costituito da funzionari britannici ed europei, verrà affidata ad un collegio arbitrale nominato da entrambe le parti.
Questo collegio avrà il compito di decidere se l’attivazione dello “Stormont Brake” sia stata giustificata e abbia soddisfatto tutti i requisiti necessari.
Nel caso in cui la decisione arbitrale sancisca che non si fossero verificate le circostanze necessarie per l’attivazione dello “Stormont Brake”, la nuova legge europea verrà applicata anche all’Irlanda del Nord.
Invece, nel caso in cui la decisione arbitrale confermi la correttezza dell’attivazione dello “Stormont Brake”, la nuova norma europea verrà disapplicata in Irlanda del Nord, che a quel punto avrà una “divergenza normativa” rispetto alla confinante Repubblica d’Irlanda. In tal caso, l’Unione Europea dovrà adottare specifiche “misure correttive” per affrontare questa nuova situazione.
Regolamentazioni alimentari
Infine, il nuovo Protocollo, come modificato dal Windsor Framework, prevede che le norme britanniche in materia di salute e sicurezza pubblica si applichino a tutti gli alimenti e le bevande al dettaglio nel mercato interno del Regno Unito. Le norme britanniche in materia di salute pubblica, marketing, prodotti biologici, etichettatura, modifiche genetiche e bevande (come vini, liquori e acque minerali) saranno applicabili anche in Irlanda del Nord. Questo comporterà l’eliminazione di oltre 60 norme alimentari europee contenute nel protocollo originale.
I nuovi accordi saranno probabilmente accolti positivamente da supermercati, grossisti, strutture ricettive e produttori alimentari, poiché semplificheranno le loro operazioni commerciali.
In conclusione, con il Windsor Framework si è voluto raggiungere un compromesso: da una parte si garantisce il confine doganale tra Unione Europea e Regno Unito, mentre dall’altra si riconosce l’unità doganale del Regno Unito e la sovranità all’Irlanda del Nord.
s.macchi@macchi-gangemi.com
p.marangoni@macchi-gangemi.com
DISCLAIMER: Questa newsletter fornisce solo informazioni generali e non costituisce una consulenza legale da parte di Macchi di Cellere Gangemi. L’autore dell’articolo o il vostro contatto in studio sono a Vostra disposizione per qualsiasi ulteriore chiarimento.
PER VISUALIZZARE LA NEWSLETTER PRECEDENTE DEL 9 GIUGNO 2023: