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CRYPTO ASSETS: PUBBLICATO IL NUOVO REGOLAMENTO DORA.

 

In data 27 dicembre 2022, è stato Pubblicato nella Gazzetta Ufficiale dell’Unione Europea il Regolamento (UE) 2022/2554 (Digital Operational Resilience Act – DORA) che ha l’obiettivo di garantire la resilienza operativa digitale nel settore finanziario in caso di défaillance operative.

 

Il Regolamento fa parte del più ampio disegno dell’UE, il cd. “pacchetto sulla finanza digitale” della Commissione UE che include due ulteriori atti legislativi: la proposta di regolamento MiCA relativa al mercato delle cripto-attività e il Regolamento (UE) 2022/858 che disciplina il regime pilota per le infrastrutture di mercato basate sulla tecnologia a registro distribuito cd. Distributed Ledger Technology o DLT, nonché la necessaria modifica delle direttive esistenti.

 

DORA riunisce per la prima volta, in un unico atto legislativo, le norme relative ai rischi delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione (TIC) nel settore finanziario. L’obiettivo è stabilire uno standard di requisiti per la sicurezza delle reti e dei sistemi informativi delle organizzazioni operanti nel settore finanziario e delle terze parti critiche che forniscono servizi legati alle TIC, come le piattaforme cloud o i servizi di analisi dei dati. La definizione di “TIC”, ai sensi del Regolamento DORA, è piuttosto ampia e comprende i servizi digitali e di dati forniti attraverso i sistemi ITC. Il DORA rappresenta, quindi, un importante sviluppo normativo per un’ampia gamma di società di servizi finanziari, nonché per i fornitori di servizi TIC nel settore finanziario.

 

DORA si applicherà alle entità finanziarie, comprese le compagnie di assicurazione e riassicurazione, i fondi pensione (IORPS), gli istituti di credito, gli istituti di pagamento, gli istituti di moneta elettronica, le imprese di investimento, i fornitori di servizi di cripto-asset, i gestori di fondi UCITS e AIF e gli intermediari assicurativi (“entità finanziarie”). Soggetti destinatari di DORA sono, inoltre, i fornitori terzi di servizi TIC.

 

DORA comprende cinque principali interventi normativi:

 

1. requisiti di gestione del rischio TIC: le entità finanziarie devono disporre di un sistema di gestione del rischio TIC resiliente che comprenda una politica di continuità operativa e una procedura di disaster recovery, al fine di tenere il passo con un panorama di minacce informatiche in rapida evoluzione e di allineare meglio le strategie aziendali e la gestione del rischio TIC. Allo stesso tempo, gli organi di gestione delle entità finanziarie hanno la responsabilità ultima nella gestione del rischio TIC dell’entità finanziaria, con conseguente impegno continuo dell’organo di gestione nel monitoraggio della gestione del rischio in parola;

 

2. gestione, classificazione e reporting degli incidenti legati alle TIC: le entità finanziarie devono implementare un processo di gestione degli incidenti legati alle TIC, compresi gli indicatori di allarme precoce per rilevare, gestire e notificare gli incidenti legati alle TIC creando un meccanismo coerente di segnalazione;

 

3. test di resilienza operativa digitale: le entità finanziarie devono stabilire un programma completo di test di resilienza operativa digitale. Questo programma deve essere proporzionato alle dimensioni, all’attività e al profilo di rischio dell’istituto. Inoltre, alcune entità finanziarie sono tenute a testare i propri strumenti, sistemi e processi TIC almeno ogni tre anni utilizzando test di penetrazione;

 

4. gestione del rischio TIC di terzi: le entità finanziarie devono gestire il rischio TIC di terzi come componente integrante del “rischio TIC” all’interno del loro quadro di gestione di rischio. Ciò comporta che, tra le altre cose, i contratti che regolano il rapporto con i terzi dovranno contenere alcuni elementi contrattuali quali: l’indicazione dei luoghi in cui i dati devono essere trattati e la descrizione dei servizi e delle garanzie di accesso, recupero e restituzione in caso di guasti. I requisiti contrattuali sono strettamente allineati alle linee guida EBA sugli accordi di outsourcing, ma includono alcune aggiunte. I fornitori di servizi TIC di terze parti devono soddisfare requisiti minimi e aderire a requisiti aggiuntivi quando forniscono determinati servizi di outsourcing;

 

5. accordi di condivisione delle informazioni: DORA contiene disposizioni che facilitano la condivisione, da parte delle entità finanziarie, di informazioni e intelligence sulle minacce informatiche, comprese tattiche, tecniche, procedure e avvisi di sicurezza informatica, per migliorare la resilienza operativa digitale del settore. Tutti gli accordi di condivisione volontaria delle informazioni tra entità finanziarie saranno condotti in ambienti sicuri nel pieno rispetto delle norme UE sulla protezione dei dati, come il GDPR.

 

DORA è entrato in vigore il 16 gennaio 2023 e si applicherà, come già anticipato, il 17 gennaio 2025, ciò al fine di concedere agli stati membri dell’UE tempo per apportare modifiche al diritto nazionale al fine di conformarsi ad esso.

 

Peraltro, così come avvenuto già per il Regolamento (UE) 2022/258 (cd. Regolamento DLT), anche DORA rimane soggetta ad un riesame delle disposizioni ad opera della Commissione. Un primo riesame volto a valutare l’inclusione dei revisori legali e delle imprese di revisione contabile nell’ambito di applicazione di DORA è previsto entro il 17 gennaio 2026, mentre un secondo e più esteso riesame delle disposizioni è previsto entro il 17 gennaio 2028.

 

Nonostante le obiettive difficoltà nell’armonizzare e normare un settore in rapidissima e costante evoluzione con cui tutte le legislazioni del mondo si stanno confrontando, è certamente da salutarsi con favore l’impegno del legislatore unionale che renderà l’Europa attrattiva nel settore fintech riducendo gli spazi di illegalità che spesso adombrano la finanza digitale e favorendo al contempo la stabilità e l’integrità dei mercati.

 

 

m.divincenzo@macchi-gangemi.com
a.buttarelli@macchi-gangemi.com

 

 

 

LOUBOUTIN/AMAZON: ORIENTAMENTI DALLA CGUE SULL’INTERPRETAZIONE DELLA RESPONSABILITÀ DEGLI INTERNET SERVICE PROVIDERS IN TEMA DI CONTRAFFAZIONE DI MARCHIO.

 

Con la decisione emessa il 22 dicembre 2022, all’esito delle cause riunite C-148/21 e C-184/21, la Corte di giustizia dell’Unione europea (“CGUE” o la “Corte”) ha stabilito che il gestore di un marketplace online può essere ritenuto direttamente responsabile per contraffazione di marchio in ragione della vendita e sponsorizzazione di prodotti di terzi in violazione effettuate all’interno del suddetto mercato. La valutazione si concentra su quegli hosting provider che non solo permettono a terzi di operare sulla loro piattaforma, ma offrono anche prodotti e servizi propri in concomitanza con i prodotti di terze parti.

 

Christian Louboutin è uno stilista francese titolare del marchio dell’Unione Europea n. 8845539 registrato il 10/05/2016 per beni di cui alla classe n. 25 della Classificazione di Nizza, costituito dal colore rosso (Pantone 18.1663TP) applicato sull’iconica suola delle celebri scarpe con tacco alto di propria produzione. Amazon lo conosciamo tutti, ovvero è il gestore di numerosi siti web che incorporano, in uno con le proprie offerte di vendita, un marketplace online per venditori terzi. La spedizione dei prodotti messi in vendita su detto mercato online può essere gestita sia da tali venditori sia da Amazon stessa, che poi stocca i suddetti prodotti all’interno dei propri centri di distribuzione e li spedisce agli acquirenti dai propri magazzini.

 

All’interno di tali siti web compaiono regolarmente annunci di scarpe con la suola rossa in violazione dei marchi nella titolarità del signor Louboutin.

 

Su tali premesse, il signor Louboutin ha intentato una causa contro Amazon, sia in Lussemburgo che in Belgio, sostenendo che gli annunci pubblicitari relativi ai prodotti contraffatti facevano parte della comunicazione commerciale di quest’ultima. Pertanto, Amazon non poteva ritenersi un mero host di un sito web o un intermediario neutrale, considerato altresì che fornisce assistenza ai venditori terzi, con particolare riferimento alle migliori modalità di presentazione dei prodotti di questi ultimi.

 

In tale contesto, il “Tribunal d’arrondissement de Luxembourg” ed il “Tribunal de l’entreprise francophone de Bruxelles” hanno deciso di sospendere i procedimenti sottoponendo alla CGUE una domanda di pronuncia pregiudiziale volta a stabilire se l’articolo 9, paragrafo 2, lettera a), del regolamento 2017/1001 sul marchio dell’Unione europea (“RMUE”) debba essere interpretato nel senso che il gestore di un sito web di vendita online che incorpora, oltre ai prodotti dallo stesso offerti in vendita, un marketplace online possa essere ritenuto in contraffazione a causa dell’utilizzo, da parte di terzi venditori all’interno di detto mercato, di un segno identico a un marchio dell’Unione europea per prodotti identici a quelli per i quali detto segno è registrato, senza il consenso del titolare.

 

Richiamata la precedente giurisprudenza in materia di responsabilità dei fornitori di servizi della società dell’informazione (“ISSP”) per contraffazione di marchio, la CGUE ha osservato, in primo luogo, che l’espressione “uso” implica un comportamento attivo nonché il controllo diretto o indiretto dell’atto in cui detto uso si concretizza (si veda, in tal senso, sentenza del 2 aprile 2020, Coty Germany, C-567/18, EU: C:2020:267, punto 37 e giurisprudenza citata); in secondo luogo, tale “uso” deve essere posto in essere in nome e per proprio conto, ossia nel contesto della propria comunicazione commerciale (sentenza del 2 aprile 2020, Coty Germany, C-567/18, EU:C:2020:267, punto 39 e giurisprudenza citata).

 

Quanto al gestore di un marketplace online e il tipo di responsabilità ad esso attribuibile in ragione dell’uso di un marchio registrato posto in essere senza autorizzazione del titolare da parte di venditori terzi, la Corte ha ritenuto che tale uso debba essere imputabile esclusivamente ai venditori clienti di tale gestore e non al gestore stesso, in quanto quest’ultimo non utilizza detto segno nella propria comunicazione commerciale (si vedano, in tal senso, le sentenze del 12 luglio 2011, L’Oréal e a., C-324/09, EU: C:2011:474, punti 102 e 103, e del 2 aprile 2020, Coty Germany, C-567/18, EU:C:2020:267, punto 40).

 

Esaminando le circostanze fattuali di cui alla fattispecie in esame, tuttavia, la Corte si è esplicitamente discostata dai suddetti precedenti, più favorevoli ad Amazon, osservando che, ai fini dell’accertamento della responsabilità per violazione di marchio causata dall’offerta in vendita di prodotti contraffatti posta in essere da terzi rivenditori, occorre tenere conto del fatto che detta pubblicità possa stabilire “un collegamento tra i servizi offerti da tale operatore e il segno in questione, in quanto un utente ben informato e ragionevolmente attento potrebbe ritenere che l’operatore commercializzi, in nome e per conto proprio, i prodotti per i quali viene utilizzato il segno in questione” (trad.ne libera, par. 48).

 

A tal fine, la CGUE ha ritenuto i seguenti fattori rilevanti per la determinazione di una responsabilità attribuibile ad un ISSP per contraffazione di marchio: un metodo uniforme di presentazione delle offerte pubblicate all’interno del sito web, contestualmente esponendo sia le inserzioni relative a prodotti venduti in nome e per conto proprio sia quelle relative ai prodotti offerti da venditori terzi all’interno di tale mercato (par. 51); la descrizione delle varie offerte, siano esse proprie o di terzi, senza alcuna distinzione in base all’origine, quali “bestseller” o “più ricercate” o “più popolari”, al fine, inter alia, di promuovere alcune di tali offerte (par. 52); l’offerta rivolta ai terzi venditori, nell’ambito della commercializzazione dei prodotti recanti il segno in violazione, di servizi aggiuntivi consistenti, a titolo esemplificativo, nella conservazione, spedizione e gestione dei resi su tali prodotti (par. 53).

 

Per questi motivi, la Corte ha affermato che “l’articolo 9, paragrafo 2, lettera a), RMUE deve essere interpretato nel senso che il gestore di un sito di vendite online che incorpora, oltre alle proprie offerte di vendita, un marketplace online può incorrere in una responsabilità diretta per violazione del marchio in ragione dell’offerta in vendita di prodotti in contraffazione da parte di terzi venditori all’interno di detto mercato, qualora un utente informato e ragionevolmente attento di tale sito stabilisca un collegamento tra i servizi offerti da tale operatore ed il segno in questione, il che si verifica particolarmente quando, alla luce di tutte le circostanze di cui alla fattispecie in esame, tale utente possa avere l’impressione che l’operatore stesso commercializzi, in nome e per conto proprio, i prodotti recanti il suddetto segno“.

 

La decisione in commento costituisce apprezzabile precedente a fronte del tendenziale incremento di prodotti contraffatti venduti online, volto a fornire un orientamento per stabilire le ipotesi in cui risulti attribuibile una responsabilità diretta per contraffazione di marchio nei confronti di un marketplace quale Amazon, alla luce di una definizione di “uso” meno restrittiva e che sottolinea l’importanza della percezione degli utenti, nell’ottica di garantire una maggiore tutela sia dei titolari delle privative che dei consumatori, invitando gli ISSP ad incrementare efficacemente il monitoraggio delle inserzioni di venditori terzi all’interno delle proprie piattaforme.

 

Di certo, un precedente molto importante in tema di responsabilità degli Internet Service Provider.

 

 

m.baccarelli@macchi-gangemi.com
m.lonero@macchi-gangemi.com

 

 

 

LA GARANZIA CONVENZIONALE E LA NUOVA RESPONSABILITÀ DEL PRODUTTORE: È DAVVERO UNA NOVITÀ?

 

Una nuova disposizione del Codice del Consumo ha introdotto un’inedita responsabilità contrattuale del produttore in presenza di una garanzia convenzionale: al Consumatore è ora accordata un’azione diretta nei confronti del costruttore per contestare i vizi del bene e ottenerne il ripristino anche se, già in precedenza, una simile azione era stata legittimata da un’isolata pronuncia.

 

Tra le novità del nuovo Codice del Consumo che forse meritano più attenzione vi è sicuramente la riforma delle Garanzie Convenzionali, precedentemente regolate dall’articolo 133 C.d.C. e ora disciplinate con una formula più ampia da un inedito articolo 135 quinquies C.d.C..

 

Il testo previgente si limitava a prevedere un obbligo di prestare garanzie in linea con la dichiarazione rilasciata al consumatore o nella relativa pubblicità; la norma prevedeva altresì un contenuto minimo dei diritti riconosciuti al contraente, fermi gli obblighi di fornire la garanzia in forma scritta o altro supporto duraturo e di redigerla in lingua italiana “… con caratteri non meno evidenti di quelli di eventuali altre lingue …” (comma 4° art. 133 cit.).

 

Il nuovo articolo 135 quinquies C.d.C., oltre a mantenere le regole già previste in passato con qualche indicazione in più sul contenuto della dichiarazione di garanzia (es. obbligo di riportare nome e indirizzo di chi rilascia la garanzia e indicazione della procedura da seguire per fare valere i propri diritti), ha introdotto una diretta responsabilità del produttore qualora offra al consumatore “… una garanzia convenzionale concernente la durabilità di determinati beni nell’arco di un determinato periodo di tempo …” (art. 135 quinquies cit.).

 

In precedenza, era sempre e solo il venditore a rispondere della garanzia convenzionale nei riguardi del Consumatore; certamente il produttore del bene poteva anche rispondere del difetto di conformità ma solo in un secondo momento ovvero in caso di eventuale regresso da parte del venditore ex art. 131 C.d.C.; perciò, il Consumatore non aveva azione diretta nei riguardi del produttore.

 

Sui limiti applicativi dell’art. 133 C.d.C. in caso di garanzia convenzionale del produttore si era già espressa la Corte di Cassazione precisando che “Nella vendita a catena di beni di consumo, all’acquirente spettano, ai sensi dell’art. 131 del d.lgs. n. 206 del 2005, l’azione contrattuale, esperibile esclusivamente nei confronti del diretto venditore, per l’ipotesi di difetto di conformità del bene, nonché quella extracontrattuale contro il produttore, per il danno sofferto in dipendenza dei vizi che rendono la cosa pericolosa; né l’eventuale prestazione volontaria, da parte del produttore, di una garanzia convenzionale, ai sensi dell’art. 133 del citato d.lgs., determina una deroga a tali principi, sicché il cliente finale (consumatore) non può agire direttamente verso uno qualsiasi dei soggetti della catena distributiva, ma deve necessariamente rivolgersi al suo immediato venditore (venditore finale), ultimo anello della detta catena e suo dante causa” (cfr. Cass. civ., Sez. II, Sentenza, 27/07/2017, n. 18610; conformi Corte d’Appello Ancona, Sez. I, Sentenza, 08/06/2020, n. 551 e Corte d’Appello Catanzaro, 25/07/2019, n. 1590).

 

Invero, un’audace ed isolata pronuncia di merito aveva già da tempo esteso al Produttore una responsabilità diretta nei riguardi del Consumatore in caso di Garanzia Convenzionale statuendo, in particolare, che “… Il Codice del Consumo riconosce oltre alla garanzia gravante ex lege, relativa alla conformità del bene al contratto ex art. 129 c. cons, una garanzia convenzionale ex art. 133 c. cons. che costituisce un quid pluris, in virtù del quale il consumatore può vantare diritti diversi ed ulteriori rispetto a quelli legalmente previsti nei confronti del venditore finale, e può essere prestata tanto da quest’ultimo quanto dal produttore.” (v. Giudice di pace Caserta, 05/11/2015 – nota di S. Cherti in Giur. It. 2016, 2141).

 

In effetti, il precedente testo dell’art. 133 C.d.C. esordiva vincolando alla garanzia convenzionale “chi la offre” senza specificare se venditore o produttore; il nuovo 135 quinquies C.d.C., toglie ora ogni dubbio al riguardo.

 

 

e.storari@macchi-gangemi.com

 

 

 

LA PRESENZA DI UNA STRADA FRA DUE TERRENI AGRICOLI ESCLUDE IL DIRITTO DI PRELAZIONE AGRARIA DEL CONFINANTE?

 

La scelta del sito in cui investire costituisce uno dei passaggi fondamentali per lo sviluppo di un progetto nel settore delle rinnovabili. Tra gli aspetti meritevoli di attenzione, durante la fase di acquisizione dei terreni, vi è la verifica dell’eventuale presenza di confinanti ai quali sia riconosciuto il diritto di prelazione agraria, i quali potrebbero far valere il diritto all’acquisto del fondo contiguo oggetto di interesse da parte della società che sviluppa il progetto. Peraltro, non è inusuale che i fondi confinanti siano separati da strade vicinali o pubbliche. In tali casi, perciò, si rende necessario capire se la presenza di una strada fra due terreni escluda il diritto di prelazione del coltivatore diretto del fondo confinante.

 

Nell’ambito dello sviluppo di progetti nel settore delle rinnovabili, una delle prime fasi è rappresentata dall’acquisizione di aree ritenute idonee per la costruzione dell’impianto destinato alla produzione di energia. In tale contesto, può verificarsi l’ipotesi che il terreno confinante con quello che la società che sviluppa il progetto intende acquisire sia di proprietà di un coltivatore diretto (o imprenditore agricolo professionale), in quanto tale titolare del diritto di prelazione c.d. “agraria”. A tal riguardo, l’art. 7 della legge, n. 817 del 14 agosto 1971 riconosce il diritto di prelazione del proprietario del fondo confinante che sia altresì coltivatore diretto o imprenditore agricolo professionale, in caso di vendita di appezzamento di terreno contiguo a quello da lui personalmente coltivato da almeno due anni. In forza di tale disposizione, il contratto di acquisto del terreno dovrà essere al medesimo notificato ai fini del possibile esercizio della prelazione, nei tempi e modi stabiliti dalla predetta legge.

 

Cosa accade, tuttavia, se fra il terreno del proprietario che intende vendere e quello detenuto dal coltivatore diretto confinante sia ubicata una strada? In tale ipotesi occorre comprendere se permanga o meno la contiguità tra i terreni, che legittima la sussistenza del relativo diritto di prelazione all’acquisto. Infatti, secondo l’interpretazione costante della giurisprudenza devono intendersi contigui i terreni caratterizzati da contiguità materiale, nel senso che non possono essere considerati tali i terreni separati da una strada (pubblica o vicinale), da un corso d’acqua demaniale, ed in generale tutti quei terreni che non sono idonei essere coltivati unitariamente.

 

La prelazione agraria in quanto tale costituisce una limitazione della circolazione della proprietà agricola ed è riconosciuta soltanto nel caso di fondi confinanti in senso giuridicamente proprio, caratterizzati, cioè, da contiguità fisica, per contatto reciproco lungo la comune linea di demarcazione senza poter essere esteso alla diversa ipotesi della cosiddetta “contiguità funzionale”, ossia di fondi separati ma idonei a essere accorpati in un’unica azienda agricola.

 

In particolare, la giurisprudenza maggioritaria ha ritenuto il profilo inerente all’uso pubblico della strada prioritario ai fini della valutazione della contiguità dei fondi, rispetto al quale il profilo inerente alla proprietà – esclusiva o comune – della fascia di terreno su cui insiste la strada assume rilievo solo una volta escluso l’uso pubblico del bene.

 

In ogni caso, secondo quanto espresso anche dalla Corte di Cassazione, devono considerarsi non confinanti non solo i fondi posti ai lati di una di una strada pubblica, ma altresì quelli contigui ad una strada vicinale non aperta al pubblico transito o ad una strada agraria privata, posto che il terreno che costituisce la sede stradale – anche se può risultare dall’unione di porzioni distaccate dei fondi confinanti – non resta nella proprietà individuale di ciascuno dei conferenti (così da risultare soggetto a servitù di passaggio a favore degli altri) ma dà luogo alla formazione di un nuovo bene oggetto di comunione e goduto da tutti in base a un comune diritto di proprietà, con ciò escludendo la presenza di un confine tra i due fondi agricoli.

 

 

m.patrignani@macchi-gangemi.com
g.pappacena@macchi-gangemi.com

 

 

 

RIAPERTI I TERMINI PER LA RIVALUTAZIONE DEI TERRENI E DELLE PARTECIPAZIONI, CON LA NOVITÀ DELLE SOCIETÀ QUOTATE. UNA NUOVA OPPORTUNITÀ PER LE PERSONE FISICHE, SOCIETÀ SEMPLICI, ENTI NON COMMERCIALI E SOGGETTI NON RESIDENTI PRIVI DI STABILE ORGANIZZAZIONE IN ITALIA.

 

Nuova edizione per la rivalutazione dei terreni e delle partecipazioni: è possibile accedere all’agevolazione in relazione ai beni posseduti al 1° gennaio 2023, pagando un’imposta sostitutiva con aliquota del 16%. Per versare l’imposta sostitutiva c’è tempo fino al 15 novembre 2023.

 

L’art. 1, commi 107-109, della Legge n. 197 del 29 dicembre 2022 (c.d. “Legge di bilancio 2023”) prevede la riapertura dei termini per la rideterminazione, ai sensi degli artt. 5 e 7 della Legge n. 448 del 28 dicembre 2001, del valore fiscale dei terreni e delle partecipazioni in società.

 

C’è una novità anche nell’ambito di applicazione: la rideterminazione quest’anno è estesa alle partecipazioni negoziate nei mercati regolamentati e in sistemi multilaterali di negoziazione, superando quindi il problema emerso (da ultimo con la Circolare dell’Agenzia delle Entrate n. 1/E del 22 gennaio 2021) per le partecipazioni possedute in società aderenti al sistema multilaterale di negoziazione AIM Italia.

 

La rivalutazione consente di ridurre o azzerare le eventuali plusvalenze generate in sede di cessione dei beni rivalutati, poiché permette di calcolare l’eventuale plusvalenza imponibile ai sensi dell’art. 67 del TUIR sul valore rideterminato:

– sulla base di un’apposita perizia giurata di stima, per i terreni e i titoli non quotati;

– sulla base del valore normale, per i titoli quotati;

in luogo del costo fiscalmente rilevante.

 

Come chiarito dall’Agenzia delle Entrate con la Circolare n. 12 del 31 gennaio 2002, sono interessati dalla disposizione agevolativa:

 

– le persone fisiche, per le operazioni non rientranti nell’esercizio di attività d’impresa;

 

– le società semplici e i soggetti ad esse equiparate ai sensi dell’art. 5 del TUIR;

 

– gli enti non commerciali, se l’operazione da cui deriva il reddito non è effettuata nell’esercizio di impresa;

 

– i soggetti non residenti, per le plusvalenze derivanti dalla cessione a titolo oneroso di partecipazioni in società residenti in Italia, non riferibili a stabili organizzazioni, salve le previsioni contenute nelle Convezioni contro le doppie imposizioni che ne escludano l’imponibilità in Italia.

 

I beni rivalutabili, che devono risultare posseduti alla data del 1 gennaio 2023, sono:

 

– terreni agricoli o edificabili posseduti a titolo di proprietà o altro diritto reale di godimento;

 

– partecipazioni rappresentante da titoli (azioni), quote di partecipazione al capitale o patrimonio di società non rappresentante da titoli (ad es. quote di srl o di società di persone);

 

– ovvero, diritti o titoli attraverso cui possono essere acquisite le predette partecipazioni (ad es. diritto di opzione, warrant, obbligazioni convertibili in azioni).

 

Inoltre, il regime in argomento può riguardare anche le partecipazioni in una società semplice e/o in una società estera.

 

La rivalutazione è riconosciuta a fronte del pagamento di un’imposta sostitutiva con aliquota di favore del 16% (ovvero, più elevata rispetto a quella del 14% prevista nell’ultima edizione dell’agevolazione).

 

Il versamento dell’imposta sostitutiva potrà avvenire:

 

– in un’unica soluzione entro il 15 novembre 2023; oppure

 

– in forma rateale, fino ad un massimo di tre rate annuali dello stesso ammontare a decorrere dal 15 novembre 2023 (la seconda e la terza rata scadono, rispettivamente, il 15 novembre 2024 e il 15 novembre 2025). Sull’importo delle rate successive alla prima sono dovuti gli interessi nella misura del 3%.

 

Per la rideterminazione del valore delle partecipazioni non quotate e dei terreni, l’imposta sostitutiva dovrà essere calcolata sull’intero valore della perizia (anche questa, da redigere ed asseverare entro il 15 novembre 2023).

 

Invece, per la rideterminazione del costo dei titoli, delle quote o dei diritti negoziati nei mercati regolamentati o nei sistemi multilaterali di negoziazione, la norma prevede la possibilità di assumere, in luogo del costo o del valore di acquisto, il valore normale con riferimento al mese di dicembre 2022 determinato ai sensi dell’art. 9, comma 4, lett. a) TUIR.

 

In tal senso, nel caso in cui i contribuenti abbiano già effettuato una precedente rivalutazione del valore dei medesimi beni, è ammessa la detrazione dell’imposta sostitutiva dovuta per la nuova rivalutazione dell’importo relativo all’imposta sostitutiva già versata oppure la richiesta di rimborso dell’imposta sostitutiva pagata in passato.

 

 

a.salvatore@macchi-gangemi.com
f.dicesare@macchi-gangemi.com

 

 

DISCLAIMER: Questa newsletter fornisce solo informazioni generali e non costituisce una consulenza legale da parte di Macchi di Cellere Gangemi. L’autore dell’articolo o il vostro contatto in studio sono a Vostra disposizione per qualsiasi ulteriore chiarimento.

 

 

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