DECRIPTANDO IL MERGE ETH: APPROFONDIMENTI PRATICI ED IMPLICAZIONI GIURIDICHE.
Il 15 settembre 2022 si è finalmente compiuto il tanto atteso ETH Merge, proclamato come “l’aggiornamento più significativo nella storia di Ethereum”, che ha determinato il passaggio della blockchain Ethereum da un meccanismo di consenso proof-of-work (PoW) a uno proof-of-stake (PoS).
PoW, il meccanismo di consenso originale della blockchain reso popolare dall’avvento dei Bitcoin, è noto per l’impiego di grandi quantitativi di energia in quanto i miners virtuali di tutto il mondo gareggiano per risolvere un complesso problema crittografico al fine di proteggere la rete e aggiudicarsi il diritto ad aggiornare la blockchain. Al contrario, il meccanismo di consenso PoS non richiede alti livelli di potenza computazionale e si ritiene impieghi il 99,9% di energia in meno rispetto al PoW. Inoltre, PoS è più veloce, scalabile e può elaborare più transazioni al secondo rispetto a PoW. I “validators” PoS, come i miners PoW, sono chiamati a proteggere la rete “depositando” temporaneamente una certa quantità di criptovaluta (32 ETH) in cambio di una ricompensa. Posto che per proteggere la rete è necessaria meno energia, i validators non richiedono un compenso altrettanto elevato, il che si traduce in tariffe ed emissioni più basse.
Lo scorso 15 settembre, alle 6:42:42 UTC, è stata innescata una “difficulty bomb” all’interno del sistema ETH, un aggiornamento inerente il protocollo che rende i calcoli PoW esponenzialmente più complessi ed il mining meno redditizio, nel tentativo di migrare i nodi verso l’algoritmo di consenso PoS. Tuttavia, si ritiene che se un numero significativo di utenti dovesse continuare ad utilizzare il meccanismo PoW, ETH potrebbe dividersi in due blockchain separate – ETHPOS e ETHPOW (la fusione di Ethereum non avrà ripercussioni sulla blockchain esistente di Ethereum Classic, basata su PoW).
Considerando che ETH non è solo una moneta virtuale, ma soprattutto un ecosistema creato per le applicazioni decentralizzate (Dapp) e per tutti i protocolli di finanza decentralizzata (DeFi), ove permanessero i due meccanismi, generando la cosiddetta “hard fork”, i tokenID NFT (o Non-Fungible-Token) di una skin, opera d’arte, ETH Name Service – ENS (un protocollo dedicato per indirizzi crypto di facile lettura e nomi di dominio decentralizzati), o i token di governance all’interno di una Decentralized Autonomous Organization (DAO) convalidati prima della fusione, saranno indebitamente duplicati, mentre i nuovi NFT saranno coniati sulla blockchain ETHPOW o ETHPOS. Questo effetto potenziale che, all’apparenza, può sembrare innocuo, di certo solleva una serie di nuovi ed inaspettati interrogativi sia per gli utenti finali che per gli stakeholder, soprattutto dal punto di vista giuridico.
Molti progetti potrebbero provare a riconoscere diritti solo ai titolari di token presenti sulla versione più diffusa della catena in uno scenario post-fork, poiché concedere diritti a tutte le versioni dei token presenti sulle blockchain biforcate potrebbe essere visto come un decremento dell’unicità e, dunque, del corrispondente valore di tali diritti. In alternativa, i progetti ETH potrebbero riconoscere diritti solamente su token presenti sulla blockchain meno popolare, o semplicemente affidarsi al DAO per la determinazione, ovvero ad un indicatore di adozione esterno. Infine, i progetti con particolari obiettivi commerciali potrebbero essere riluttanti alle soluzioni di cui sopra e, in ultima analisi, concedere diritti ai titolari di NFT orizzontalmente, sia sull’ETHPOS post-Merge che sull’ETHPOW.
Indipendentemente dall’approccio seguito, è della massima importanza prevedere Termini & Condizioni ad hoc per il caso di biforcazione, in tal modo (i) chiarendo nel rapporto contrattuale aspetti quali, ad esempio, la memorizzazione di una licenza NFT su ciascuna delle blockchain, e (ii) consentendo meccanismi semplici per determinare in anticipo la titolarità della licenza rispetto all’acquisto e alla vendita di NFT. Questi chiarimenti giocherebbero certamente a vantaggio di tutte le parti coinvolte nel mondo NFT, garantendo maggiore certezza del diritto.
Il Merge ETH è solo una tappa di un progetto pieno di entusiasmanti opportunità ed innovazioni per la blockchain ETH. Il prossimo aggiornamento previsto è quello denominato “Shanghai”, che potrebbe condurre a sensibili riduzioni sulle tariffe relative al gas impiegato nelle transazioni, oltre che consentire il prelievo dei token ETH depositati sulla blockchain. Dopo Shanghai, Ethereum prevede di passare al “surge”, implementando una tecnologia nota come “sharding”, che dovrebbe aumentare la velocità massima di elaborazione di ETH, che oggi si attesta a 30 transazioni al secondo (TPS), fino a circa 100.000 TPS. A seguire, il “verge”, prevedendo l’implementazione di una prova matematica nota come “Verkle trees”, che consentirà ai nodi della blockchain di operare senza scaricare l’intera cronologia delle transazioni. Infine, il “purge” che comporterà la cancellazione dei dati pregressi on chain. Questi aggiornamenti porteranno ad una blockchain più piccola, più facile da usare e sostanzialmente più veloce.
m.baccarelli@macchi-gangemi.com
m.lonero@macchi-gangemi.com
INAPPLICABILITÀ DEL PRINCIPIO DI ROTAZIONE IN ASSENZA DI CONTINUITÀ TRA LE PRESTAZIONI CONTRATTUALI: IL CONSIGLIO DI STATO CHIARISCE I PRESUPPOSTI.
Di recente il Consiglio di Stato è tornato sul tema del principio di rotazione con una interessante pronunzia del 7 settembre 2022, n. 7794 in cui ha nuovamente indicato i presupposti per ritenere tale principio non applicabile alle singole fattispecie di gara.
Come noto, l’art. 36, comma 2, lett. a), d. lgs. 18 aprile 2016, n. 50, riconosce alle Amministrazioni un’ampia discrezionalità nell’affidamento dei contratti, purché bilanciata dall’applicazione puntuale dei principi indicati al comma 1 della stessa norma. Il principio di rotazione, in particolare, costituisce il necessario contrappeso alla notevole discrezionalità riconosciuta all’amministrazione nel decidere gli operatori economici da invitare in caso di procedura negoziata; esso ha infatti l’obiettivo di evitare la formazione di rendite di posizione e persegue l’effettiva concorrenza, poiché consente la turnazione tra i diversi operatori nella realizzazione del servizio, consentendo all’amministrazione di cambiare per ottenere un miglior servizio (cfr. Cons. Stato, VI, 4 giugno 2019, n. 3755). Lo scopo, infatti, è quello di evitare che il gestore uscente, forte della conoscenza già acquisita nella strutturazione del servizio, possa agevolmente prevalere sugli altri operatori economici pur se anch’essi chiamati dalla stazione appaltante a presentare offerta e, così, posti in competizione tra loro (cfr. Cons. Stato, V, 12 giugno 2019, n. 3943; 5 marzo 2019, n. 1524; 13 dicembre 2017, n. 5854). Indefettibile presupposto logico del principio di rotazione è dunque l’omogeneità del servizio posto a gara rispetto a quello svolto dal soggetto nei cui confronti opera l’inibizione. Tale principio, inoltre, si applica già nella fase dell’invito degli operatori alla procedura di gara ed invero, il citato art. 36, comma 1, impone espressamente alle stazioni appaltanti nell’affidamento dei contratti d’appalto sottosoglia il rispetto del principio di rotazione degli inviti e degli affidamenti.
Ebbene, il Consiglio di Stato, con la decisione del 7 settembre 2022, n. 7794, ha chiarito che laddove il servizio e comunque l’oggetto dell’appalto presenti una serie di articolate, più complesse e del tutto nuove attività rispetto a quello precedente, esso debba essere considerato non omogeno rispetto al primo e quindi tra le due prestazioni oggetto delle commesse sussiste “sostanziale alterità qualitativa” tale da consentire alla stazione appaltante di non applicare il principio di rotazione nei confronti del vecchio appaltatore. Del resto, la rotazione deve, essere intesa “non già come obbligo di escludere il gestore uscente dalla selezione” del nuovo affidamento, ma solo nel senso “di non favorirlo, risolvendosi altrimenti tale principio in una causa di esclusione dalle gare non solo non codificata, ma in totale contrasto col principio di tutela della concorrenza”.
Tale decisione si pone in linea con la precedente giurisprudenza che ha evidenziato che “l’art. 36 cit. contiene una norma pro-competitiva che favorisce l’ingresso delle piccole e medie imprese nei mercati ristretti, e che comprime, entro i limiti della proporzionalità, la parità di trattamento che va garantita anche al gestore uscente, al quale – salvo motivate eccezioni – si impone soltanto di “saltare” il primo affidamento, di modo che alla successiva gara esso si ritrovi in posizione paritaria con le altre concorrenti”, così garantendo principi di cui all’art. 97 Cost., poiché “l’aumento delle chances di partecipazione dei competitors esterni (assicurata dal principio di rotazione) favorisce l’efficienza e l’economicità dell’approvvigionamento dei servizi” (così, Cons. Stato, Sez. VI, 31 agosto2017, n. 4125).
In quest’ottica non è causale la scelta del legislatore di imporre il rispetto del principio della rotazione già nella fase dell’invito degli operatori alla procedura di gara; lo scopo, lo si ripete, è quello di evitare che il gestore uscente, forte della conoscenza delle strutturazione del servizio da espletare acquisita nella precedente gestione, possa agevolmente prevalere sugli altri operatori economici pur se anch’essi chiamati dalla stazione appaltante a presentare l’offerta e, così, posti in competizione tra loro.
Tale principio comporta perciò, di norma, il divieto di invito a procedure dirette all’assegnazione di un appalto, nei confronti del contraente uscente, salvo che la stazione appaltante fornisca adeguata, puntuale rigorosa motivazione delle ragioni che hanno indotto a derogarvi.
n.digiandomenico@macchi-gangemi.com
IL RECESSO DEL FIDEIUSSORE ESTINGUE LA GARANZIA? UNA RECENTE DECISIONE DELL’ABF.
La recente decisione dell’Arbitro Bancario e Finanziario (“ABF”) n. 9238 del 14 giugno 2022 affronta la questione concernente la possibilità per il fideiussore di recedere dalla garanzia di tipo omnibus prestata in favore di una banca. La fideiussione omnibus è un contratto di garanzia diffuso nella prassi bancaria e che trova origine dal dettato normativo dell’art. 1938 c.c., mediante il quale il fideiussore si impegna a garantire l’adempimento di tutte le obbligazioni, presenti e future, che il debitore principale ha assunto o assumerà nei confronti della banca.
Nel caso di specie, i ricorrenti chiedevano che venisse accertata la non debenza dell’importo richiesto loro dalla banca resistente in virtù di una garanzia fideiussoria di tipo omnibus prestata dagli stessi per un debito di una S.r.l. di cui era socio il padre.
L’intermediario eccepiva che l’importo richiesto ai ricorrenti fosse esatto, poiché calcolato (nonostante il soddisfacimento in linea capitale) sugli interessi, spese e commissioni rimasti insoluti alla data di efficacia del recesso.
La garanzia fideiussoria di tipo omnibus sottoscritta dai ricorrenti nell’interesse della S.r.l. prevedeva una loro responsabilità solidale per l’adempimento delle obbligazioni della società nei confronti della banca dipendenti da operazioni bancarie di qualunque natura fino al raggiungimento dell’importo massimo garantito. L’oggetto della fideiussione comprendeva quanto dovuto dal debitore principale in linea capitale e ogni altra obbligazione dovuta a titolo di interessi, anche moratori, ed ogni altro accessorio e/o spesa.
Successivamente, i fideiussori avevano comunicato il recesso dalla garanzia fideiussoria dal momento che la società era stata ceduta a terzi estranei alla loro famiglia. La banca comunicava che al momento di efficacia del recesso, vale a dire 10 giorni dopo la ricezione della comunicazione dei ricorrenti, l’importo in linea capitale dovuto dalla società all’istituto era pari a zero.
L’oggetto della controversia si concretizza nella successiva richiesta avanzata dalla banca ai ricorrenti di pagare gli interessi maturati dopo la revoca della garanzia presentando degli estratti conto da cui non era possibile evincere quale fosse il debito in relazione al quale erano maturati gli interessi al momento del recesso.
I ricorrenti lamentavano l’illegittimità di tale richiesta in quanto successiva al loro recesso dalla fideiussione prestata e risultato di una sostanziale concessione abusiva del credito nei confronti della S.r.l., dal momento che il debito in linea capitale era stato interamente soddisfatto al momento del loro recesso.
L’intermediario eccepiva che, ai sensi della fideiussione prestata, i ricorrenti fossero comunque obbligati oltre che per le obbligazioni del debitore in essere al momento dell’efficacia del recesso, anche per ogni altra obbligazione che dovesse sorgere o maturare successivamente in relazione o connessione ai rapporti esistenti al momento del recesso.
L’ABF, seguendo i suoi recenti orientamenti, ha ritenuto che il recesso dalla garanzia fideiussoria non abbia l’effetto di estinguere la garanzia, ma solo di circoscriverne l’importo al debito esistente alla data di efficacia del recesso (cfr. Collegio di Roma, decisione n. 428 del 10.01.2019; Collegio di Milano, decisione n. 2773 del 29.01.2019; Collegio di Roma, decisione n. 7290 del 05.04.2018).
Pertanto, la garanzia deve ritenersi circoscritta all’importo del debito esistente alla data di recesso, tanto a titolo di capitale che di interessi e altri oneri accessori. Nel caso di specie, essendo stato interamente soddisfatto il debito in linea capitale, la Banca avrebbe dovuto provare l’ammontare degli interessi dovuti e come fossero stati computati.
L’intermediario, però, non ha fornito prova sufficiente della consistenza del debito ulteriore rispetto all’esposizione capitale, e l’ABF ha ritenuto che, non avendo la banca assolto l’onere probatorio a suo carico, nulla fosse dovuto da parte ricorrente.
m.patrignani@macchi-gangemi.com
m.dragone@macchi-gangemi.com
LA RIFORMA DEL PROCESSO TRIBUTARIO INTRODUCE LA PROVA TESTIMONIALE.
Una delle novità più rilevanti apportate dalla legge di riforma del processo tributario approvata con legge 31 agosto 2022, n. 130 è stata l’introduzione della possibilità per le parti di chiedere, al ricorrere di determinate condizioni, la prova testimoniale.
Si tratta di una novità assoluta dal momento che in passato il comma 4 dell’art. 7 del D.lgs. 546/1992 (e prima ancora il D.P.R. 636/1972, come modificato nel 1981) prevedeva che “Non sono ammessi il giuramento e la prova testimoniale”.
La giurisprudenza aveva ridotto la portata di tale divieto consentendo al contribuente di introdurre nel processo dichiarazioni scritte di terzi. Tale riconoscimento era volto a garantire un maggior equilibrio tra le parti (come ritenuto essenziale anche dalla giurisprudenza della CEDU) dal momento che l’amministrazione finanziaria ha il potere di utilizzare dichiarazioni di terzi raccolte durante la fase amministrativa per poi travasarle nel processo mediante l’avviso di accertamento.
Tuttavia, il valore di tali dichiarazioni è sempre stato quello di meri indizi, inidonei da soli a formare il convincimento del giudice.
La riforma appena introdotta, invece, pur con tutta una serie di requisiti di natura processuale e sostanziale, introduce ora la testimonianza assunta in forma scritta come mezzo di prova vero e proprio.
La prova testimoniale può essere assunta dalla corte di giustizia tributaria (la nuova denominazione delle commissioni tributarie), in entrambi i gradi di giudizio, “ove lo ritenga necessario ai fini della decisione e anche senza l’accordo delle parti”.
Il requisito della necessità della prova – che ricalca la disposizione dell’art. 58 del D.Lgs. 546/1992 che fissa i limiti per l’ammissibilità di nuove prove in appello – fa sì che la testimonianza rappresenti comunque un mezzo di prova eccezionale nell’ambito del processo tributario, da utilizzare soltanto nell’ipotesi in cui una determinata circostanza non possa essere altrimenti dimostrata.
La norma prevede che la prova debba essere assunta con le forme previste dall’art. 257-bis del codice di procedura civile, ossia in forma di testimonianza scritta.
La prova può essere richiesta da entrambe le parti. Tuttavia, la richiesta da parte dell’amministrazione finanziaria sarà in concreto un fenomeno molto raro dal momento che la parte pubblica deve provare adeguatamente la propria pretesa tributaria già nell’atto impositivo.
La prova testimoniale non può essere richiesta per superare l’efficacia probatoria di fatti attestati da un pubblico ufficiale le cui dichiarazioni fanno prova fino a querela di falso.
La novella si applica ai ricorsi notificati a decorrere dal 16 settembre 2022. La norma non è chiara nello specificare se per ricorsi si intenda soltanto quelli introduttivi, ovvero anche i ricorsi in appello.
PRIME CONSIDERAZIONI SULL’EFFICACIA DEL REGISTRO DELLE OPPOSIZIONI COSI’ COME MODIFICATO DAL DPR N. 26/2022.
Contro il cd “telemarketing aggressivo”, dal 27 luglio 2022 i cittadini possono iscrivere anche il proprio numero di cellulare nel Registro delle opposizioni (RPO). Dunque, sarà sempre onere dell’operatore economico verificare se tra i contatti a sua disposizione ci siano degli utenti iscritti al Registro. Questi ultimi, avendo revocato il consenso, non dovranno ricevere comunicazioni promozionali o commerciali, né dall’operatore direttamente né da terzi delegati.
Il Registro delle opposizioni (RPO) è uno strumento attraverso il quale, già in passato, si è cercato di porre un argine al cd “telemarketing aggressivo”.
Dal 27 luglio, i cittadini possono iscrivere nel Registro anche il proprio numero di cellulare. L’iscrizione ha l’effetto di:
– revocare gli eventuali consensi precedentemente prestati per la ricezione di chiamate o di materiale cartaceo a scopo promozionale e commerciale, rispettivamente, sulla numerazione o all’indirizzo oggetto di registrazione (limitatamente agli indirizzi postali presenti negli elenchi telefonici pubblici);
– revocare anche i consensi eventualmente prestati per la cessione a terzi dei propri dati.
L’utente può limitare la revoca solo ad alcuni soggetti. Dopo l’iscrizione si potranno ricevere chiamate solo dai soggetti con i quali si ha un contratto attivo o cessato da non più di 30 giorni.
Le richieste di iscrizione diventano efficaci in 15 giorni per il marketing telefonico e 30 giorni per quello postale.
L’iscrizione è a tempo indeterminato e può essere rinnovata in qualunque momento. Dunque, con l’istituzione del Registro diventa onere del Titolare consultare mensilmente, o comunque precedentemente all’inizio di ogni campagna promozionale, il RPO.
La verifica va effettuata anche nelle diverse ipotesi in cui l’operatore economico dia mandato a un terzo oppure nel caso in cui il terzo effettua il telemarketing per conto dell’operatore, il quale, successivamente, per ogni contratto concluso riconoscerà una provvigione. In tal caso, sarà sempre l’operatore ad essere responsabile dell’eventuale violazione, in quanto ricade su quest’ultimo il dovere di verificare che tutti gli utenti contattati abbiano prestato validamente il consenso.
Nel caso in cui, nonostante la registrazione, l’utente riceva ugualmente comunicazioni, questi può:
– esercitare i diritti previsti dal GDPR, relativamente ai trattamenti connessi con l’attività di marketing e, nell’eventualità in cui l’esercizio dei diritti di cui sopra non sortisca effetti positivi, può
– presentare una segnalazione o un reclamo direttamente al Garante, allegando la prova dell’avvenuto esercizio dei diritti previsti dal regolamento e ogni ulteriore elemento che possa rivelarsi utile ai fini dell’avvio dell’istruttoria.
Malgrado le numerose e rilevanti sanzioni già inflitte da luglio scorso si sono contate circa 1.700 segnalazioni- circa il triplo rispetto a quelle che si contavano nello stesso periodo lo scorso anno.
Si spera in una rapida adozione del Codice di condotta per gli operatori economici, che allo stato attuale è allo stadio di mera proposta – avanzata da Assocontact (Associazione Nazionale dei Business Process Outsourcer) e OIC (Osservatorio Imprese e Consumatori).
Il Codice, se implementato, rafforzerà il principio di accountability, in quanto permetterà agli operatori di avere un novero di principi, norme e divieti a cui conformarsi e a cui rifarsi e tramite il quale proteggere realmente i dati personali degli utenti coinvolti.
In conclusione, per quanto si debba riconoscere l’impatto positivo che può avere uno strumento come il Registro delle opposizioni nel nostro ordinamento, al contempo si deve ammettere il parziale raggiungimento dei propositi iniziali.
f.montanari@macchi-gangemi.com
l.laterza@macchi-gangemi.com
DISCLAIMER: Questa newsletter fornisce solo informazioni generali e non costituisce una consulenza legale da parte di Macchi di Cellere Gangemi. L’autore dell’articolo o il vostro contatto in studio sono a Vostra disposizione per qualsiasi ulteriore chiarimento.
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