COMPOSIZIONE NEGOZIATA DELLA CRISI DI IMPRESA: EXCURSUS SULLE PIÙ RECENTI PRONUNCE GIURISPRUDENZIALI.
Nonostante si tratti di un istituto di recentissima introduzione, alcuni Tribunali hanno già avuto modo di esprimersi su aspetti specifici. Un breve excursus dei principali provvedimenti sino ad oggi depositati che, salvo che per quello del Tribunale di Treviso, riferito ai finanziamenti prededucibili, riguardano quasi esclusivamente il tema delle misure protettive e cautelari ex artt. 6 e 7 del D.L. 118/21.
Si ricorda che l’istituto della composizione negoziata della crisi di impresa è stato introdotto dal D.L. 118/2021 “Misure urgenti in materia di crisi d’impresa e di risanamento aziendale, nonché ulteriori misure urgenti in materia di giustizia”, pubblicato in Gazzetta Ufficiale n. 202 del 24 agosto 2021 e convertito in L. 147/2021 quest’ultima pubblicata in Gazzetta Ufficiale n. 254 del 23 ottobre 2021.
La composizione negoziata prevede che l’impresa che si trovi in condizioni di squilibrio patrimoniale o economico-finanziario possa chiedere volontariamente la nomina di un esperto che faciliti le trattative tra l’imprenditore in crisi e i creditori e gli altri possibili soggetti interessati, con la prospettiva di un accordo che ristrutturi l’impresa e ne ripristini l’equilibrio economico.
Tra le caratteristiche dell’istituto vi sono la riservatezza e la natura tendenzialmente privatistica del percorso di risanamento: salvo particolari necessità dell’imprenditore (la sospensione delle norme sulle perdite rilevanti del capitale) o circostanze ed evoluzioni specifiche della procedura (ad esempio il dissenso dell’esperto rispetto ad un atto dell’imprenditore), infatti, non sono previste pubblicazioni in Registro Imprese o coinvolgimenti del Tribunale. Uno dei casi in cui il Tribunale viene però chiamato a pronunciarsi riguarda l’ipotesi in cui l’imprenditore chieda, con l’istanza di nomina dell’esperto o con successiva istanza, l’applicazione di misure protettive del patrimonio ex artt. 6 e 7 del D.L. 118/21.
Dal giorno della pubblicazione dell’istanza nel registro delle imprese, i creditori non possono (i) iniziare o proseguire azioni esecutive e cautelari sul patrimonio o sui beni e sui diritti con i quali viene esercitata l’attività d’impresa, (ii) inibire i pagamenti, (iii) unilateralmente, rifiutare l’adempimento dei contratti pendenti, provocarne la risoluzione, anticiparne la scadenza o modificarli in danno dell’imprenditore. Inoltre, la sentenza dichiarativa di fallimento o di accertamento dello stato di insolvenza non può essere pronunciata fino alla conclusione delle trattative o all’archiviazione dell’istanza di composizione negoziata.
L’art. 7 prevede che l’imprenditore debba presentare presso il Tribunale un ricorso con cui chiede la conferma o la modifica delle misure protettive e, ove occorra, l’adozione dei provvedimenti cautelari necessari per condurre a termine le trattative. Assieme al ricorso, deve depositare: i bilanci, una situazione patrimoniale e finanziaria aggiornata, l’elenco dei creditori, un piano finanziario, una autocertificazione attestante, sulla base di criteri di ragionevolezza e proporzionalità, che l’impresa può essere risanata, il nominativo dell’esperto. Il tribunale, entro 10 giorni dal deposito del ricorso fissa udienza, nella quale procede agli atti di istruzione indispensabili in relazione ai provvedimenti cautelari richiesti e stabilisce la durata, non inferiore a trenta e non superiore a centoventi giorni, delle misure protettive e, se occorre, dei provvedimenti cautelari disposti. Su istanza dell’imprenditore, di uno o più creditori o su segnalazione dell’esperto, il giudice può, in qualunque momento, sentite le parti interessate, revocare le misure protettive e cautelari, o abbreviarne la durata, quando esse non soddisfano l’obiettivo di assicurare il buon esito delle trattative o appaiono sproporzionate rispetto al pregiudizio arrecato ai creditori istanti.
Nelle ultime settimane, sono stati pubblicati alcuni interessanti provvedimenti dei giudici di merito all’esito di ricorsi volti ad ottenere la conferma o la modifica delle misure protettive.
Con pronuncia del 2 dicembre 2021 il Tribunale di Brescia ha precisato che le misure protettive di cui all’art. 6 producono i loro effetti soltanto dal momento della pubblicazione nel Registro delle Imprese dell’istanza di applicazione delle misure e dell’accettazione della nomina dell’esperto. Poiché, nella fattispecie il ricorrente aveva allegato di aver chiesto la nomina dell’esperto ma senza dimostrare che quest’ultima fosse intervenuta, a tanto non poteva che conseguire la dichiarazione di inammissibilità del ricorso ex art. 7 D.L. 118/21. Con la precisazione che gli effetti protettivi non si erano ancora prodotti. Il provvedimento si distingue per il fatto che il Tribunale di Brescia ha stabilito altre due ratio decidendi riguardanti i documenti che l’imprenditore deve depositare nell’atto in cui chiede di confermare l’efficacia delle misure e, rispettivamente, l’ammissibilità del ricorso laddove una domanda di concordato sia stata semplicemente presentata o anche accolta (la logica antiabusiva ha imposto di accedere alla seconda soluzione).
Il provvedimento del Trib. di Roma del 24 dicembre 2021 contiene poi un interessante riferimento ai destinatari della notifica del ricorso per la conferma delle misure in parola e del decreto di fissazione dell’udienza: vanno notificati all’esperto e personalmente a ciascuno dei creditori, diversi dai lavoratori, che abbiano promosso procedure esecutive o cautelari nei confronti del ricorrente o siano intervenuti nei relativi procedimenti nonché agli eventuali destinatari di specifiche misure cautelari.
Sulla stessa linea è anche il Trib. di Firenze che, nel provvedimento del 29 dicembre 2021, precisa che, qualora la richiesta di misure protettive sia rivolta “erga omnes” e non sia riferita a determinati soggetti, la notifica del decreto di fissazione dell’udienza per la conferma va disposta nei confronti dell’esperto e dei creditori che abbiano promosso azioni esecutive o cautelari o depositato ricorso per la dichiarazione di fallimento. Aggiunge, inoltre, che ai fini della conferma delle misure protettive richieste dall’imprenditore, qualora le trattative non siano state ancora compiutamente avviate, ma siano in procinto di esserlo, e/o il piano di risanamento sia in costruzione, ma sia stato già depositato un previsionale/budget per i successivi tre anni, è sufficiente che dal parere reso dall’esperto emergano l’affidabilità e la correttezza della situazione contabile aggiornata allegata all’istanza di nomina, la completezza del quadro fornito dall’imprenditore nonché l’adeguatezza dell’assetto amministrativo della società.
Nel provvedimento del Tribunale di Milano del 28 dicembre 2021, si legge che qualora le allegazioni documentali prodotte dal debitore a corredo della richiesta di conferma delle misure protettive siano carenti, fa capo al Tribunale, nel fissare l’udienza, l’esercizio del potere-dovere di ottenere l’integrazione documentale, assegnando all’uopo all’imprenditore un termine per l’ulteriore deposito. Secondo il Trib. di Milano, ciò sarebbe giustificato, non solo dall’evidente favor legislativo per la composizione, ma dall’applicabilità analogica dei principi di cui all’art. 162, comma 1, L. fall. e all’art. 9, comma 3 ter, L. n. 3/2012.
La più recente pronuncia è poi del Tribunale di Bergamo, che con provvedimento del 19 gennaio 2022, ha specificato che nel procedimento di conferma delle misure protettive ai sensi dell’art. 7 il contraddittorio deve comprendere tutti i soggetti le cui sfere giuridiche patrimoniali e processuali possano essere attinte dal provvedimento che si chiede di adottare.
Si segnala, infine, una pronuncia del 22 dicembre 2021 del Tribunale di Treviso che, anche se non tratta nello specifico di misure protettive, si occupa sempre di composizione negoziata della crisi. Secondo il Trib. di Treviso, la mancata nomina dell’esperto non è condizione ostativa all’autorizzazione ex art. 10 D.L. n. 118/2021 in favore dell’impresa a contrarre finanziamenti prededucibili. Invero, diversamente dall’art. 7 del decreto in parola, che richiede espressamente l’accettazione dell’esperto per la conferma delle misure cautelari e protettive, l’art. 10 si limita a prescrivere una verifica di funzionalità dell’atto rispetto alla continuità aziendale e alla miglior soddisfazione dei creditori.
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ALTRA PRONUNCIA A TUTELA DEL MARCHIO DI FORMA: AVANTI TUTTA BULLI VAN!
La seconda Commissione dei Ricorsi in seno all’EUIPO – Ufficio dell’Unione europea per la proprietà intellettuale ha accolto la domanda di opposizione formulata dalla Volkswagen AG avverso la domanda di registrazione del marchio UE della European Flipper/Pinball Factory GmbH. La domanda di opposizione era fondata su due registrazioni per segni tridimensionali raffiguranti l’iconico van della VW, anche noto come «Bulli», oggetto del desiderio e compagno di avventure per numerosi viaggiatori ed appassionati delle quattro ruote sin dalla sua prima versione “T1” ideata all’inizio degli anni ’50 del secolo scorso.
Con una recente pronuncia resa in data 15 dicembre 2021 all’esito del procedimento R 609/2021-2 (nel seguito, la “Decisione”), la seconda Commissione dei Ricorsi in seno all’EUIPO (la “Commissione”) ha finalmente accolto la domanda di opposizione formulata dalla Volkswagen Aktiengesellschaft (nel seguito, anche come “VW” o l’”Opponente”) avverso la domanda di registrazione per il marchio dell’Unione Europea (MUE) n. 18 129 758 da parte della European Flipper/Pinball Factory GmbH (il “Richiedente”) per beni e servizi di cui alle classi 11, 12, 20, 21, 39 della Classificazione di Nizza (il “Segno Opposto”).
La domanda di opposizione, formulata ai sensi dell’articolo 8, paragrafo 1, lettera b), del Regolamento (UE) 2017/1001 sul marchio dell’Unione europea (RMUE), era basata su due registrazioni per segni tridimensionali raffiguranti l’iconico van della VW, noto anche come «Bulli» (i “Marchi Anteriori”).
In prima battuta, la Divisione di Opposizione aveva respinto integralmente l’opposizione di VW constatando che, sebbene i prodotti e servizi oggetto della domanda di registrazione fossero identici (o simili, a seconda della classe di riferimento) rispetto ai beni e servizi coperti dai Marchi Anteriori, i segni a confronto presentavano un basso livello di somiglianza visiva e un grado medio di somiglianza dal punto di vista concettuale, non potendosi condurre, nel caso di specie, un confronto tra i segni dal punto di vista fonetico, posta l’assenza di elementi denominativi all’interno dei Marchi Anteriori.
Su tali premesse, la Divisione di Opposizione aveva concluso che le somiglianze tra i segni a confronto non erano sufficienti a determinare un rischio di confusione e che tale conclusione fosse anche sorretta dal basso grado di distintività dei Marchi Anteriori in relazione ai “veicoli” di cui alla classe 12, al punto che il pubblico di consumatori fosse perfettamente in grado di percepire i segni a confronto come provenienti da diversi operatori all’interno del mercato di riferimento.
In data 01.04.2021, l’Opponente ha presentato ricorso avverso la decisione del 01 febbraio 2021 (la ”Decisione Impugnata”) sostenendo, inter alia, che (i) i segni a confronto coincidono nella riproduzione della vista frontale di un autobus; (ii) nel Segno Opposto, l’elemento denominativo “Cultcamper” non è da considerarsi come dominante, in quanto non sarebbe solo da considerarsi descrittivo, ma alluderebbe altresì in modo esplicito ai veicoli VW al punto che il pubblico di riferimento, in virtù della forte somiglianza tra i segni a confronto, sarà indotto a riconoscere i Marchi Anteriori nell’elemento visivo – e dominante – del Segno Opposto, riproducente “in modo identico” la prospettiva frontale della forma/modello dei Marchi Anteriori ed assumendo, per l’effetto, una sorta di nesso tra l’Opponente, nota al pubblico come una delle case automobilistiche più grandi d’Europa ed i prodotti contraddistinti con il Segno Opposto (paragrafo 11).
Accogliendo l’impugnazione di VW, la Commissione ha ritenuto che la Decisione Impugnata avesse erratamente valutato il carattere distintivo dei Marchi Anteriori, osservando che le cinque prospettive del camper van di cui si compongono i segni tridimensionali nella titolarità dell’Opponente non siano da considerarsi singolarmente, sottolineando che un marchio di forma dovrebbe essere considerato privo di carattere distintivo solamente “laddove non si discosti significativamente dalle norme e dagli usi del settore interessato” (paragrafo 25).
Sul punto, né la Divisione di Opposizione né tantomeno il Richiedente avevano presentato validi argomenti a sostegno di tale conclusione. Al contrario, la Commissione ha giudicato i Marchi Anteriori come distintivi, in particolare, “perché la parte anteriore del furgone è caratterizzata da un parabrezza diviso e dalla forma a V curva sul cofano con i fari circolari su ogni lato” (paragrafo 26).
In aggiunta, la Commissione ha ritenuto che l’elemento figurativo e l’elemento denominativo “Cultcamper” presenti all’interno del Segno Opposto fossero co-dominanti da un punto vista visivo (paragrafo 28) e che la vista frontale dei Marchi Anteriori fosse “quasi identicamente riprodotta nell’elemento figurativo del segno contestato” fatta eccezione per le sole differenze che risiedono nel “simbolo di pace ridotto, difficilmente percepibile, e nel colore del segno contestato” (paragrafo 29).
Considerato quanto sopra, la Commissione ha concluso per la sussistenza di un rischio di confusione tra i segni a confronto, osservando che “di fronte all’immagine del marchio richiesto, il pubblico di riferimento di lingua inglese nell’UE percepirà tale marchio come un’altra versione dei marchi anteriori, piuttosto che come un marchio separato avente un’altra origine commerciale” (paragrafo 39).
È interessante osservare altresì come, nel caso di specie, la Commissione si sia limitata all’accoglimento della domanda di opposizione basando le proprie valutazioni sul carattere intrinsecamente distintivo dei Marchi Anteriori, dimostrando ancora una volta come il criterio del significativo scostamento rispetto alle norme ed agli usi del settore di riferimento, scriminante fondamentale ai fini del giudizio sulla confondibilità tra i segni ai sensi dell’articolo 8, paragrafo 1, lettera b) RMUE, possa trovare applicazione anche con riferimento alla forma del prodotto registrata.
m.baccarelli@macchi-gangemi.com
m.lonero@macchi-gangemi.com
ASSEMBLEE (E NON SOLO) IN FULL AUDIO-VIDEO CONFERENCE ANCHE DOPO L’EMERGENZA COVID.
Nel contesto della normativa emergenziale emanata per far fronte alla situazione pandemica da COVID-19, il legislatore italiano ha ammesso (ai sensi dell’articolo 106 del D.L. n. 18/2020) la possibilità che le assemblee dei soci di società per azioni e di società a responsabilità limitata, tra le altre, vengano convocate senza indicazione di un luogo fisico di svolgimento e possano quindi tenersi, anche in deroga alle previsioni statutarie, in modalità full audio-video conference, cioè esclusivamente tramite mezzi di telecomunicazione. Secondo il Consiglio Notarile di Milano (Massima n. 200 del 23 novembre 2021), tali modalità sono legittime a prescindere dall’emergenza da Covid-19.
Per giungere a tale affermazione i Notai milanesi, sono partiti dal presupposto che la modalità di tenuta assembleare in full audio-video conference non sia, in generale, contraria al dettato normativo delle applicabili disposizioni del Codice Civile. Le soluzioni tecnologiche ad oggi disponibili al fine di tenere le adunanze anche esclusivamente “da remoto” non comporterebbero, peraltro, alcuna lesione dei principi di collegialità, buona fede e parità di trattamento tra i soci.
In ragione di quanto sopra, anche all’indomani della cessazione dello stato di emergenza, gli amministratori dovranno considerarsi legittimati a convocare l’assemblea anche esclusivamente in modalità audio-video conference ogniqualvolta lo statuto già preveda (ai sensi dell’articolo 2370, 4° comma, c.c.) la generica possibilità per i soci di intervenire in assemblea mediante mezzi di telecomunicazione.
Va da sé che saranno senz’altro legittime quelle clausole statutarie che, oltre a consentire l’intervento dei soci in telecomunicazione, prevedano espressamente per gli amministratori (o comunque per soggetti che provvedano alla convocazione) la facoltà (se non l’obbligo) di convocare l’assemblea in full audio-video conference o con diverse “combinazioni” tra luogo fisico e mezzi di telecomunicazioni.
Il Consiglio Notarile di Milano specifica altresì che i medesimi principi sopra esposti dovranno considerarsi applicabili anche alle adunanze degli altri organi sociali, quali, in primis, riunioni del Consiglio di Amministrazione e del Collegio Sindacale.
La Massima Notarile in oggetto sembra dunque aprire la strada a modalità pratiche di tenuta delle adunanze societarie, ed eventuali corrispondenti previsioni statutarie, più flessibili ed efficienti.
Sarà interessante vedere se, anche in quest’occasione, la visione dei Notai milanesi anticiperà possibili riforme legislative, come già avvenuto nel 2003 con l’introduzione, ad opera della modifica dell’articolo 2370, 4° comma, c.c., della possibilità di intervento in assemblea dei soci mediante mezzi di telecomunicazione, a suo tempo “suggerita” dalla Massima n. I del 16 gennaio 2001 dello stesso Consiglio Notarile di Milano.
Sino ad allora non si potrà tuttavia escludere che le assemblee tenute e convocate esclusivamente in modalità “da remoto”, senza che la stessa sia prevista dallo statuto, possano essere impugnate per annullabilità. Quanto però queste eventuali impugnazioni possano avere successo resta dubbio visto l’utilizzo sempre più massiccio delle tecnologie audio-visive anche all’interno della vita delle società.
p.orzalesi@macchi-gangemi.com
a.frau@macchi-gangemi.com
ENEL SANZIONATA DAL GARANTE PRIVACY PER OLTRE 26 MILIONI DI EURO PER ILLECITO TRATTAMENTO DEI DATI PERSONALI A FINI DI TELEMARKETING.
Il Garante per la protezione dati personali (“Garante” o “Autorità”) ha inflitto nei giorni scorsi alla società Enel Energia una sanzione di oltre 26 milioni e 500 mila euro a causa del trattamento illecito dei dati personali utilizzati dalla società e dai propri call center a fini di telemarketing ed una serie di misure correttive allo scopo di conformarsi alla normativa in materia di protezione dei dati personali.
Il provvedimento sanzionatorio è giunto al termine di una articolata attività avviata dal Garante a seguito di centinaia di segnalazioni e reclami di clienti che lamentavano:
1. la ricezione di telefonate promozionali indesiderate, anche su disco preregistrato;
2. la difficoltà di esercitare i propri diritti in tema di protezioni dati personali, e;
3. problemi derivanti dalla gestione dei dati nell’ambito dei servizi di fornitura energetica, compresi trattamenti svolti nell’area riservata del sito e dell’app della società.
L’ufficio del Garante, tramite i propri nuclei di ispezione, ha verificato come il fenomeno del telemarketing nel settore energetico, con l’approssimarsi della scadenza per il passaggio dal mercato tutelato dell’energia elettrica e del gas al mercato libero, abbia registrato un netto e preoccupante incremento. Durante le analisi svolte prima dell’emissione della sanzione è emerso un allarmante, sistematico, intenso e sempre più aggressivo fenomeno di telefonate promozionali indesiderate, senza un adeguato consenso prestato dall’utente, verso utenze riservate o iscritte al Registro delle opposizioni. A ciò si è aggiunta una gestione lenta (o assente) relativa al riscontro alle istanze di esercizio dei diritti di accesso ai dati personali o di opposizione al trattamento per finalità di marketing.
A conclusione della propria attività, nel confermare la violazione della normativa in materia di protezione dei dati personali, il Garante ha comminato alla società una sanzione di 26.513.977,00 euro.
L’Autorità ha inoltre ingiunto a Enel Energia l’adeguamento dei trattamenti di dati personali svolti dalla propria rete di vendita, utilizzando misure idonee a dimostrare e tenere traccia che l’attivazione di offerte e servizi e l’attivazione di contratti venga effettuata solo a seguito di contatti promozionali su numerazioni telefoniche censite e iscritte al Registro degli operatori della comunicazione.
Enel Energia dovrà anche implementare ulteriori misure tecniche e organizzative per gestire le istanze di esercizio dei diritti degli interessati, in particolare il diritto di opposizione alle finalità promozionali, in modo da dare riscontro agli interessati non oltre 30 giorni dalla richiesta, così come stabilito dal Regolamento 679/2016 meglio conosciuto come GDPR.
La Società dovrà, infine, comunicare al Garante quali iniziative intende intraprendere in futuro per adeguarsi a quanto prescritto dal provvedimento.
La sanzione è solo l’ultima di una lunga serie di provvedimenti adottati nei confronti di società che operano in modo non conforme nel telemarketing ed evidenzia quanto sia importante il rispetto della normativa di settore, sia per evitare danni economici che d’immagine.
r.demarco@macchi-gangemi.com
f.montanari@macchi-gangemi.com
MA L’AVVISO BONARIO SI PUÒ IMPUGNARE?
L’avviso bonario è un atto autonomamente impugnabile dinanzi al giudice tributario anche se non rientra espressamente nell’elenco della norma: si tratta, infatti, di un provvedimento contenente una compiuta pretesa impositiva. A confermare questo principio è la Corte di Cassazione con l’ordinanza n. 3466 del 18 novembre 2020, depositata l’11 febbraio 2021 (in senso conforme, sentenza n. 25297/14, 22536/2020).
Si premette che, ai fini delle imposte sui redditi, ai sensi dell’articolo 36-bis del D.P.R. n. 600/1973, l’Amministrazione finanziaria, avvalendosi di particolari procedure automatizzate, può procedere, entro l’inizio del periodo di presentazione delle dichiarazioni relative all’anno successivo, alla liquidazione delle imposte, dei contributi e dei premi dovuti, nonché dei rimborsi spettanti in base alle dichiarazioni presentate dai contribuenti e dai sostituti d’imposta (ai fini Iva, il controllo automatico delle dichiarazioni trova la sua fonte normativa nell’articolo 54-bis del D.P.R. n. 633/1972).
L’autonoma impugnabilità delle comunicazioni di irregolarità (c.d. avvisi bonari) inviate a seguito dei controllati automatizzati non è stata sempre considerata possibile. Infatti, in base alla interpretazione letterale dell’articolo 19 del D.Lgs. n. 546/1992 che illustra un elenco tassativo degli atti impugnabili in sede giurisdizionale (tra cui non figura l’avviso bonario) l’Agenzia delle Entrate, richiamando talune sentenze della Corte di Cassazione, aveva escluso la impugnabilità delle comunicazioni di irregolarità (Risoluzione n. 110/E/2010).
L’orientamento espresso dall’Agenzia delle Entrate è stato ora sconfessato dalla Corte di Cassazione, da ultimo con la citata ordinanza n. 3466 del 2021. Il caso esaminato dalla Corte di Cassazione riguardava una comunicazione di irregolarità relativa ad una sanzione del 30 per cento per tardivo versamento dell’IRAP, versamento invece eseguito dalla società ricorrente con il “ravvedimento operoso”. I giudizi di merito si concludevano con l’inammissibilità del ricorso non rientrando la comunicazione di irregolarità tra gli atti autonomamente impugnabili indicati nell’art. 19 del d.lgs. 546 del 31 dicembre 1992: ritenevano i giudici romani che la comunicazione di irregolarità rappresenterebbe un invito trasmesso al contribuente per chiarire la sua posizione fiscale, cosicché la comunicazione non comporterebbe una pretesa certa e definitiva e, quindi, non sarebbe impugnabile.
Ebbene, la Corte di Cassazione ritiene invece che l’elencazione degli atti impugnabili contenuta nell’articolo 19 del D.Lgs. n. 546 del 1992, pur dovendosi considerare tassativa, va interpretata in senso estensivo, con facoltà per il contribuente di ricorrere al giudice tributario avverso tutti gli atti adottati dall’ente impositore, atti che portino a conoscenza del contribuente una ben individuata pretesa tributaria con l’esplicitazione delle concrete ragioni che la sorreggono. Ciò in ossequio alle norme costituzionali di tutela del contribuente e di buon andamento della pubblica amministrazione.
Da qui la facoltà di ricorrere al giudice tributario contro le comunicazioni di irregolarità inviate a seguito di un controllo automatizzato ai sensi dell’articolo 36-bis del D.P.R. n. 600 del 1973.
DISCLAIMER: Questa newsletter fornisce solo informazioni generali e non costituisce una consulenza legale da parte di Macchi di Cellere Gangemi. L’autore dell’articolo o il vostro contatto in studio sono a Vostra disposizione per qualsiasi ulteriore chiarimento.
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