L’INDIVIDUAZIONE DELLE AREE IDONEE PER L’INSTALLAZIONE IMPIANTI FER ON-SHORE E OFF-SHORE: QUALI SFIDE CI ATTENDERANNO?
Con l’obiettivo di facilitare l’integrazione e la diffusione degli impianti a fonti rinnovabili, il Dlgs 199/2021 ha capovolto la prospettiva di pianificazione territoriale per ospitare impianti FER.
In opposta tendenza alle Linee Guida adottate con il DM 10.09.2010, il Dlgs 199/2021 (articoli 20 e seguenti) prevede l’individuazione di aree idonee per lo sviluppo di impianti FER on – shore e off – shore.
Allo stato attuale si possono, quindi, considerare tre distinte categorie di pianificazione territoriale: 1) le aree idonee, dove l’installazione di impianti FER è agevolata 2) le aree non incluse nelle aree idonee (con le ordinarie procedure di permitting) 3) aree non idonee ai sensi del DM 10.09.2010.
Ma quali sono le aree idonee previste dalla normativa attuale? Come verranno in concreto individuate? E, soprattutto, quanto ancora si dovrà attendere per avere una pianificazione territoriale pienamente efficace?
Il Dlgs 199/2021 prevede una diversa disciplina a seconda che l’impianto a fonte rinnovabile sia installato “on – shore” (art. 20) ovvero “off – shore” (art. 23).
Per gli impianti FER on – shore, l’art. 20 Dlgs 199/2021 prevede che le aree idonee vengano individuate come segue.
1) Mediante decreti attuativi del Ministero della transizione ecologica (MITE) di concerto con il Ministero della Cultura e il Ministero delle Politiche agricole, alimentari e forestali (art. 20 commi da 1 a 7).
Tali Decreti Ministeriali dovranno prioritariamente stabilire i criteri per l’individuazione delle aree idonee ad ospitare gli impianti eolici e fotovoltaici e di superfici, aree industriali dismesse, aree compromesse, abbondante e marginali idonee all’installazione di impianti a fonti rinnovabili, demandandone la concreta individuazione alle Regioni sulla base dei principi e criteri ivi stabiliti.
Per le norme d’attuazione c’è ancora da attendere: nei prossimi giorni è previsto che il MITE invii al Ministero della Cultura e al Ministero delle Politiche agricole la bozza di decreto che stabilirà i criteri per l’individuazione delle aree idonee, come previsto dall’art. 20 Dlgs 199/2021. Successivamente, le Regioni dovranno tenere in considerazione, in linea con i principi e criteri nazionali:
– la perdurante necessità di conciliare la tutela del patrimonio paesaggistico, culturale, agricolo, forestale e ambientale, con l’esigenza di raggiungere gli obiettivi di potenza installata complessiva almeno pari a quella individuata dal Piano Nazionale Integrato Energia e Clima, al fine di perseguire i target di decarbonizzazione;
– le caratteristiche e la disponibilità delle risorse rinnovabili, delle infrastrutture di rete e il potenziale sviluppo della stessa, nonché della domanda elettrica e della sua dislocazione.
2) Aree idonee “ope legis”, indentificate come tali dal legislatore (art. 20 comma 8).
A seguito delle recenti modifiche introdotte dai D.L. 17/2022 (cd. “Decreto Energia”) e 50/2022 (cd. “Decreto Aiuti”) all’art. 20 comma 8 del Dlgs 199/2021, il legislatore ha previsto che, le aree idonee ope legis sono le seguenti:
– siti ove sono già installati impianti della stessa fonte e in cui vengono realizzati interventi di modifica non sostanziale;
– siti oggetto di bonifica cave e miniere cessate, non recuperate o abbandonate o in condizioni di degrado ambientale;
– le aree nella disponibilità del Gruppo Ferrovie dello Stato Italiane e dei gestori di infrastrutture ferroviarie nonché delle società concessionarie;
– per gli impianti fotovoltaici, anche con moduli a terra, in assenza i vincoli paesaggistici: le aree agricole entro 300 metri da zone industriali, artigianali, commerciali, Siti di Interesse Nazionale, cave e miniere, o da stabilimenti industriali, in assenza di beni culturali; aree interne agli impianti industriali e agli stabilimenti e le aree classificate come agricole racchiude in un perimetro entro 300 metri dal medesimo impianto o stabilimento; aree entro 150 metri da autostrade; aree su cui non insistono beni culturali e paesaggistici e che non ricadono entro una fascia di 7 km da beni culturali; immobili e aree di notevole interesse pubblico.
Negli impianti FER off – shore, l’art. 23 del Dlgs 199/2021 prevede l’individuazione delle aree idonee mediante la predisposizione di un Piano di gestione dello Spazio marittimo per la produzione di energia (il cui termine di adozione era previsto a giugno 2022).
Nelle more dell’adozione del Piano di cui sopra, l’art. 13 comma 2 del D.L. 17/2022 ha stabilito che sono considerate idonee:
– le piattaforme petrolifere in disuso e l’area distante due miglia nautiche da ciascuna piattaforma;
– i porti, per impianti eolici fino a 100 MW di potenza istallata, previa eventuale variante del Piano regolatore portuale, ove necessario, da adottarsi entro 6 mesi dalla presentazione della richiesta.
Di recente l’Unione Europea ha avviato una procedura di infrazione nei confronti dell’Italia per il ritardo nell’invio del proprio Piano per lo spazio marittimo relativo agli impianti eolici off-shore.
Lo scorso 2 febbraio 2022, pertanto, il Ministero delle Infrastrutture e Mobilità Sostenibili (MIMS) ha presentato al MITE i rapporti preliminari di piano per il Mar Tirreno, Adriatico e Ionio.
A metà giugno, il MITE ha emesso i pareri di scoping sottolineando come le aree dedicate agli usi energetici, in particolare all’eolico off-shore, risultassero ancora molto limitate e, di conseguenza, ha auspicato un maggiore incremento della produzione di tale risorsa anche in ragione del fatto che essa, differentemente da altre fonti rinnovabili, non comporta impatti significativi sul paesaggio percepito dalla costa.
In attesa che i suddetti piani vengano dapprima recepiti dal MIMS e successivamente presentati nuovamente al MITE per l’ottenimento della VAS, anche per gli impianti FER off-shore, i prossimi mesi saranno decisivi per avere un quadro più delineato di programmazione delle aree idonee.
Certo è che lo strumento di pianificazione territoriale previsto dal Dlgs 199/2021, sia per gli impianti on-shore che off – shore, potrà essere realmente efficace solo se tempestivamente implementato. Un eccessivo ritardo nell’emanazione delle norme di attuazione rischierebbe di vanificare la transizione energetica, di incrementare incertezza normativa e di disincentivare gli investimenti necessari al perseguimento degli obiettivi di decarbonizzazione prefissati.
FATTURA ELETTRONICA E OPERAZIONI TRANSNAZIONALI: NOVITÀ DAL 1 LUGLIO 2022.
Dal 1° luglio 2022 la comunicazione delle operazioni transfrontaliere in formato elettronico: i dati relativi alle operazioni, svolte nei confronti di soggetti passivi non stabiliti nel territorio dello Stato o da essi ricevute, dovranno essere trasmessi telematicamente attraverso il Sistema di Interscambio. Sono escluse dal nuovo adempimento le operazioni per le quali è stata emessa una bolletta doganale e quelle per le quali siano state emesse o ricevute fatture elettroniche.
L’articolo 1, comma 3-bis del D.Lgs. n. 127/2015, come modificato dal D.L. n. 146/2021, dispone che, a partire dalle operazioni effettuate dal 1 luglio 2022, i soggetti passivi IVA residenti o stabiliti nel territorio dello Stato sono tenuti a trasmettere telematicamente i dati relativi alle operazioni di cessioni di beni e di prestazioni di servizi effettuate o ricevute da soggetti non residenti utilizzando il Sistema di Interscambio (“SdI”), adottando le stesse modalità tecniche attualmente previste per la fatturazione elettronica.
Sono esclusi da tale obbligo comunicativo gli acquisti di beni e servizi non rilevanti territorialmente ai fini IVA in Italia ai sensi degli articoli da 7 a 7-octies del D.P.R. n. 633/1972, qualora siano di importo unitario non superiore a Euro 5.000 (come recentemente stabilito dall’articolo 12 del D.L. n. 73/2022, c.d. “Decreto semplificazioni fiscali”).
Come stabilito dal provvedimento dell’Agenzia delle Entrate n. 293384/2021, l’obbligo comunicativo resterà facoltativo per tutte le operazioni per le quali sia stata emessa una bolletta doganale (importazioni/esportazioni), oppure emessa o ricevuta una fattura elettronica mediante il SdI.
Ciò detto, poiché a decorrere dal 1 gennaio 2022, sono previsti termini differenziati di trasmissione dei dati delle operazioni attive e passive, ne risulta che:
– la trasmissione dei dati relativi alle operazioni poste in essere nei confronti di soggetti non stabiliti nel territorio dello Stato sarà effettuata entro i termini di emissione delle fatture o dei documenti che ne certificano i corrispettivi (ovvero, entro 12 giorni dal momento di effettuazione della cessione o prestazione o entro il diverso termine stabilito da specifiche disposizioni);
– la trasmissione telematica dei dati relativi alle operazioni ricevute da soggetti non stabiliti nel territorio dello Stato sarà effettuato entro il 15° giorno del mese successivo a quello di ricevimento del documento comprovante l’operazione o di effettuazione della stessa.
a.salvatore@macchi-gangemi.com
f.dicesare@macchi-gangemi.com
RECESSO DEL SOCIO DI S.P.A.: LA MODIFICA STATUTARIA DEV’ESSERE “SOSTANZIALE”?
Le controversie aventi ad oggetto il recesso di un socio richiedono spesso un difficile bilanciamento: tra l’interesse del socio di minoranza di liberarsi di una partecipazione divenuta sgradita – da un lato – e l’interesse del socio di maggioranza di evitare il pagamento (che può essere anche molto oneroso) per la liquidazione delle azioni – dall’altro.
In tale scenario, è il legislatore che ha previsto espressamente i casi in cui un socio può recedere, alcuni tassativi (art. 2437, comma 1 c.c.), altri derogabili dallo statuto (art. 2437, comma 2 c.c.), ai quali si aggiungono le ipotesi di cui all’art. 2497-quater c.c. in tema di direzione e coordinamento.
Naturalmente, la previsione per legge delle fattispecie che fondano il diritto di recesso non è sufficiente, di per sé, ad evitare contrasti sulla legittimità del suo esercizio e sulla, conseguente, pretesa alla liquidazione della partecipazione azionaria. È il caso, in particolare, sottoposto all’esame della Suprema Corte e deciso in una recentissima sentenza (Cass. 27.06.2022 n. 20546).
La società Alfa s.p.a. era partecipata dalla Beta, con il 52,13% del capitale sociale, e dalla Gamma con il 47,87%. Lo statuto sociale conteneva una clausola di prelazione, che è stata poi modificata escludendo tale vincolo in caso di cessione ad un’altra società dello stesso gruppo. Sulla base di tale modifica statutaria, la Beta ha appunto ceduto la propria partecipazione di controllo ad un’altra società dello stesso gruppo.
Successivamente, la Gamma – socio di minoranza – ha esercitato il proprio recesso invocando:
– l’art. 2437, comma 2, lett. b) c.c. che prevede il recesso in caso di introduzione o rimozione di vincoli alla circolazione dei titoli azionari; eù
– l’art. 2497-quater, comma 1, lett. c) c.c. che prevede il recesso in caso di inizio e cessazione dell’attività di direzione e coordinamento, se da ciò deriva un’alterazione delle condizioni di rischio dell’investimento (e non viene promossa un’offerta pubblica di acquisto).
Ne è sorta una controversia sia in merito alla legittimità del recesso sia in merito alla determinazione dell’importo da liquidare. Il Tribunale di Firenze prima e la Corte di Appello di Firenze poi hanno escluso la sussistenza del presupposto di cui all’art. 2347, comma 2, lett. b) c.c. affermando che la modifica statutaria non avrebbe determinato una modifica sostanziale della clausola di prelazione: una cessione a un’altra società del gruppo, infatti, non avrebbe comportato un cambiamento del centro di controllo della società e, pertanto, non si sarebbe legittimato l’esercizio del recesso.
Il Tribunale aveva invece riconosciuto la legittimità del recesso sulla base dell’art. 2497-quater, comma 1, lett. c) c.c. e stabilito l’entità della liquidazione, mentre la Corte di Appello ha riformato la sentenza, escludendo completamente il diritto di recesso.
La Suprema Corte ha però cassato tale decisione sulla base di tre considerazioni, di carattere testuale e sistematico:
1. l’art. 2347, comma 2 lett. b) c.c., laddove ammette il recesso in caso di introduzione o rimozione di vincoli alla circolazione dei titoli azionari, non prevede alcun ulteriore requisito e, in particolare, non richiede che la modifica del vincolo abbia una rilevanza sostanziale;
2. al contrario, in un’altra ipotesi prevista dallo stesso articolo (art. 2347, comma 1, lett. a) c.c.), si ammette il recesso in caso di modifica dell’oggetto sociale, ma solo quando questa consenta un cambiamento significativo dell’attività della società: ciò chiarisce che quando il legislatore ha ritenuto necessario che una modifica sia sostanziale lo ha disposto espressamente. In senso opposto, se nulla ha previsto in tal senso, non può il giudice entrare in una valutazione di merito della modifica;
3. infine, l’art. 2355-bis, comma 4 c.c. stabilisce che le limitazioni al trasferimento delle azioni devono risultare dal titolo azionario: anche in questo caso la norma si riferisce a qualsiasi tipo di limitazione, senza alcuno specifico requisito di rilevanza. Se ciò vale per le annotazioni deve valere, a maggior ragione, per l’esercizio del recesso.
Le conclusioni della Suprema Corte appaiono logiche e condivisibili. Resta tuttavia una considerazione: la delibera che ha modificato la clausola di prelazione era di dicembre 2012; il recesso è stato esercitato all’inizio di febbraio 2013; a distanza di quasi dieci anni la Corte di Cassazione ha fatto chiarezza definitivamente sulla legittimità del recesso (ribaltando per la seconda volta l’esito del giudizio). Ma ha rinviato alla Corte di Appello di Firenze per la determinazione dell’importo da liquidare con conseguente – ulteriore – protrarsi della controversia.
DISTRIBUTED LEDGER TECHNOLOGY: IL NUOVO REGOLAMENTO (UE) 2022/858.
Da alcuni giorni è entrato in vigore il Regolamento (UE) 2022/858 che disciplina un regime pilota per le infrastrutture di mercato basate sulla tecnologia a registro distribuito (Distributed Ledger Technology –DLT). Il Regolamento istituisce e regola un regime pilota di sperimentazione temporanea per consentire alle infrastrutture di mercato che operano con tecnologie DLT la negoziazione e il regolamento delle operazioni in cripto-attività che rientrano nella legislazione sui servizi finanziari.
Le DLT sono una tecnologia informatica che consente il funzionamento e l’uso dei “registri distribuiti”, ossia database di operazioni (ma potrebbe trattarsi di qualsiasi informazione) che, invece di essere custodito presso un nodo centrale, è distribuito su una rete di computer che consentono di memorizzare informazioni accessibili, gestibili e verificabili, in modalità condivisa da soggetti che operano tramite internet. La tipologia più conosciuta di DLT è la “blockchain“, così denominata in quanto le operazioni sono raggruppate in blocchi collegati fra loro in ordine cronologico che formano una catena. Questa catena forma il registro completo di tutte le transazioni incluse nel database ed è protetta da algoritmi matematici che hanno lo scopo di garantire l’integrità dell’informazione e la sicurezza dei dati. Tale tecnologia è suscettibile di modalità ed applicazioni pressoché infinite in ogni ambito della vita umana in cui è necessario garantire l’immodificabilità è l’attendibilità di dati o informazioni, non solo nel settore finanziario, senza il tradizionale intervento di un’istituzione centrale detentrice e custode delle informazioni.
Il Regolamento DLT fa parte del più ampio disegno dell’UE, il cd. “pacchetto sulla finanza digitale” della Commissione UE che include, fra l’altro, due ulteriori atti legislativi (la proposta di regolamento MiCA relativa al mercato delle cripto-attività e la proposta di regolamento DORA sulla resilienza operativa digitale), nonché la necessaria modifica delle direttive esistenti.
Il Regolamento in parola istituisce un regime temporaneo per le infrastrutture di mercato che operano attraverso DLT al fine di testare tali tecnologie e consentire lo sviluppo delle cripto-attività che rientrano nella definizione di strumenti finanziari, garantendo al contempo un livello elevato di tutela degli investitori, l’integrità del mercato, la stabilità finanziaria e la trasparenza. Tale regime sarà soggetto ad un “riesame” nell’anno 2026, a seguito di una relazione sul funzionamento e sui rischi del sistema pilota ad opera della Commissione, la quale, sulla base di un’analisi costi/benefici, stabilirà se il regime pilota potrà essere prorogato (per un periodo massimo di tre anni), e/o esteso ad altre tipologie di strumenti finanziari, modificato, reso permanente o soppresso.
Fra le novità di maggior rilievo, il Regolamento introduce la nozione di “strumento finanziario DLT” inteso quale strumento finanziario emesso, registrato, trasferito e stoccato mediante DLT e nuove ed apposite infrastrutture di mercato nelle quali tali strumenti vengono negoziati. Peraltro, solo azioni, obbligazioni e quote di fondi sono ammesse alla negoziazione o possono essere registrati in un’infrastruttura di mercato DLT nei limiti delle soglie individuate sia in relazione all’emittente dei titoli sia ai limiti di valore di mercato aggregato, per evitare rischi di stabilità finanziaria.
Dal momento che le nuove tecnologie consentono la negoziazione e il regolamento delle operazioni in tempo reale, il Regolamento prevede accanto alle strutture tradizionali anche un’infrastruttura che combina le due attività. L’“infrastruttura di mercato DLT” comprende, difatti, i sistemi multilaterali di negoziazione DLT (MTF DLT), i sistemi di regolamento titoli DLT (SS DLT) ed anche i sistemi di negoziazione e regolamento DLT (TSS DLT) che combinano le attività tradizionalmente separate della negoziazione e post-negoziazione, in un’unica entità.
L’accesso al regime pilota non è limitato solo agli operatori esistenti, ma è aperto a nuovi operatori in base al regime autorizzatorio previsto dal Regolamento. Per evitare e gestire possibili rischi legati all’utilizzo delle nuove tecnologie, i gestori saranno sottoposti a requisiti aggiuntivi rispetto ai soggetti tradizionali.
Fra le novità di maggior rilievo v’è anche la possibilità, su richiesta di un gestore di un MTF DLT, di ottenere un’esenzione dall’obbligo di intermediazione previsto dalla MiFID II. Gli attuali sistemi multilaterali di negoziazione sono autorizzati ad ammettere tra i membri o i partecipanti solo imprese di investimento, enti creditizi e altri soggetti che abbiano un livello sufficiente di capacità di negoziazione e competenza e mantengano modalità e risorse organizzative adeguate, per cui gli investitori non professionali non hanno accesso diretto ai mercati. Le piattaforme di negoziazione in cripto-attività offrono invece un accesso disintermediato e diretto agli investitori non professionali. Di conseguenza, è stata introdotta un’esenzione temporanea dall’obbligo di intermediazione per i gestori di un MTF DLT, a condizione che siano predisposte garanzie adeguate in materia di protezione degli investitori, che tali investitori non professionali soddisfino determinate condizioni e che il gestore sia conforme a eventuali misure supplementari di protezione degli investitori richieste dall’autorità competente. Un’esenzione simile è prevista anche ai depositari centrali di titoli (CSD) che gestiscono un sistema di regolamento titoli (SS DLT).
Il Regolamento si applica a partire dal 23 marzo 2023.
m.divincenzo@macchi-gangemi.com
IL DANNO DA PRODOTTO DIFETTOSO: ALCUNI ERRORI DEL DANNEGGIATO IN TEMA DI ONERE DELLA PROVA.
Le regole che governano l’onere della prova nelle azioni per chiedere il risarcimento da prodotto difettoso vengono spesso disattese dal danneggiato. Ecco gli errori più comuni.
Se un veicolo prende fuoco, sia esso in marcia che in sosta, viene spesso chiamato in giudizio il produttore del bene affinché ne risponda secondo legge: se il danneggiato è un consumatore, si applicheranno le norme del Codice del Consumo, se chi subisce il danno è un Professionista, e quindi soggetto che si pone al di fuori della tutela consumeristica del D.lgs 06.09.2005, n. 206, dovranno applicarsi le regole del Codice Civile sulla responsabilità extracontrattuale da fatto illecito (art. 2043).
Nell’uno e nell’altro caso il principio dell’onere della prova è il medesimo: chi agisce in giudizio deve provare il difetto, il danno subito e la connessione causale tra difetto e danno (cfr. art. 120 C.d.C.); va comunque ricordato che la responsabilità da prodotto difettoso ha natura presunta, e non oggettiva, poiché prescinde dall’accertamento della colpevolezza del produttore, ma non anche dalla dimostrazione dell’esistenza di un difetto del prodotto; incombe, pertanto, sul danneggiato la prova del collegamento causale non già tra prodotto e danno, bensì tra difetto e danno e, una volta fornita tale prova, incombe sul produttore la corrispondente prova liberatoria consistente nella dimostrazione che il difetto non esisteva nel momento in cui il prodotto veniva posto in circolazione (v. Cassazione civile, sez. III, 07/04/2022, n. 11317 in Giustizia Civile Massimario 2022).
Il danneggiato, per assolvere all’onere di dimostrare il difetto, produce solitamente la copia del verbale dei vigili del fuoco per provare il difetto: talvolta gli operatori intervenuti si spingono anche in valutazioni tecniche sulle cause del sinistro fornendo ipotesi (a volte bizzarre) sull’origine dell’incendio: la relazione dei vigili viene quindi prodotta quale prova principe delle responsabilità del produttore.
Sennonché, la Corte di Cassazione è intervenuta sul punto precisando che “… il verbale redatto dai vigili del fuoco è dotato di fede privilegiata solo riguardo ai fatti caduti sotto l’immediata osservazione degli operatori e delle attività da questi compiute mentre non assume tale valore in merito alla scaturigine dell’incendio …” (Cassazione civile, sez. II, 17/11/2017, n. 27314 in Diritto & Giustizia 2017, 20 novembre – conforme Tribunale, Nola, sez. I, 20/01/2021, n. 125; conforme Cassazione civile , sez. III , 10/05/2021 , n. 12225 in Responsabilità Civile e Previdenza, 2021, 6, 1905).
In punto di danno, capita non di rado che a causa del sinistro il mezzo divenga irrecuperabile e debba essere rottamato: in tale contesto, chi agisce in giudizio immancabilmente chiede il rimborso del valore del veicolo al tempo dell’evento. Se il danneggiato è un consumatore e si limita ad invocare le norme del Codice del Consumo, il Produttore avrà modo di opporsi efficacemente alla domanda richiamando l’applicazione dell’art. 123 C.d.C. che, come noto, circoscrive il risarcimento al “…. il danno cagionato dalla morte o da lesioni personali …” e alla “… distruzione o il deterioramento di una cosa diversa dal prodotto difettoso …”.
Quando invece il veicolo non viene completamente distrutto e può essere riparato, il danneggiato chiede anche il ristoro del fermo tecnico, ovvero del danno patito a seguito dell’inutilizzo temporaneo del mezzo: vengono così lamentate perdite di chances (se il bene viene utilizzato per ragioni di lavoro) o chiesti in rimborso gli eventuali oneri di noleggio di un veicolo sostitutivo.
Anche su tale fronte la Corte di Cassazione ha avuto modo di chiarire che il danno da fermo tecnico non è in re ipsa ma deve essere puntualmente dimostrato di volta in volta da chi lo invoca: così “… Il danno da fermo tecnico di veicolo incidentato deve essere allegato e dimostrato e la relativa prova non può avere ad oggetto la mera indisponibilità del veicolo, ma deve sostanziarsi nella dimostrazione o della spesa sostenuta per procacciarsi un mezzo sostitutivo, ovvero della perdita subita per la rinuncia forzata ai proventi ricavabili dall’uso del mezzo …” (v. Cassazione civile, sez. VI, 28/02/2020, n. 5447 in Giustizia Civile Massimario 2020 – conforme Cassazione civile, sez. III, 04/04/2019, n. 9348 in Diritto & Giustizia 2019, 5 aprile).
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