L’AI (ARTIFICIAL INTELLIGENCE) POTRÀ PORTARE ALL’ESTINZIONE UMANA: AD AFFERMARLO I SUOI STESSI CREATORI.
“Mitigare il rischio di estinzione dell’Intelligenza Artificiale dovrebbe essere una priorità globale insieme ad altri rischi su scala sociale come le pandemie e la guerra nucleare“.
Questa la dichiarazione con la quale si apre la lettera pubblicata sul Center for AI Safety e firmata da più di 350 figure di spicco, tra le quali risultano: Sam Altman (amministratore delegato di OpenAI); Demis Hassabis (capo di Google DeepMind, il dipartimento per lo sviluppo dell’intelligenza artificiale di Alphabet); Audrey Tang (ministra per gli Affari digitali di Taiwan); Angela Kane (ex alto rappresentante della Nazioni Unite per il disarmo); Geoffrey Hinton e Yoshua Bengio (due dei tre ricercatori che hanno vinto un Turing Award per il loro lavoro pionieristico sulle reti neurali, considerati i “padrini” della moderna intelligenza artificiale); gli italiani Roberto Battiston (fisico dell’Università di Trento) e Luca Simoncini (ex docente di Ingegneria dell’informazione all’Università di Pisa ed ex direttore dell’Istituto di tecnologie dell’informazione del Consiglio Nazionale delle Ricerche), Dario Amodei (amministratore delegato di Anthropic), nonché esperti informatici, filosofi, giuristi, biologi provenienti dalle maggiori università al mondo.
L’obiettivo di tale dichiarazione non è solo quello di mettere in guardia le istituzioni rispetto ai rischi più gravi collegati all’AI. I firmatari hanno, altresì, proposto alcune soluzioni concrete attraverso le quali garantire che sistemi avanzati di AI vengano gestiti in modo responsabile. A titolo esemplificativo, è stata richiesta una maggiore cooperazione tra i principali esponenti del settore e la formazione di un’organizzazione per la sicurezza, simile all’Agenzia internazionale per l’energia atomica.
Già in passato erano state adottate ulteriori iniziative sul punto.
Basti ricordare: (i) la lettera aperta dello scorso marzo – firmata da più di mille esperti e ricercatori – tra i quali Elon Musk- con la quale veniva chiesto uno stop di sei mesi sullo sviluppo del più grande programma di intelligenza artificiale, lettera questa rimasta inascoltata; (ii) il finanziamento di 100 mila dollari da parte di OpenAI per la creazione di una tavola rotonda in cui far discutere gli esperti delle possibili misure da mettere in campo per evitare che l’AI possa provocare pericoli esistenziali per l’umanità; (iii) ancora il recente incontro tra Altman, Hassabis e Amodei con il presidente degli Stati Uniti Joe Biden e la vicepresidente Kamala Harris, durante il quale Altman aveva avvertito che i rischi dell’AI avanzata erano abbastanza seri da giustificare l’intervento del Governo e richiedevano una puntuale regolamentazione per prevenire potenziali danni.
Sull’argomento si sono creati, però, due opposti schieramenti. Se da una parte vi è chi avalla le preoccupazioni evidenziate nella lettera sopracitata (tra i quali i c.d. “doomer” – ovvero coloro che prevedono un futuro infausto per la razza umana), dall’altra c’è chi sostiene che i timori che l’AI spazzi via l’umanità non siano realistici (tra questi troviamo Arvind Narayanan, un informatico della Princeton University, che ha dichiarato alla BBC che: “L’attuale intelligenza artificiale non è nemmeno lontanamente capace di far materializzare questi rischi. Di conseguenza, ha distolto l’attenzione dai danni a breve termine dell’AI”).
Nonostante i suddetti diversi orientamenti, non può negarsi che siano già evidenti taluni effetti negativi prodotti da un uso improprio dell’AI.
Basti pensare ai rischi di una sorveglianza di massa, alle interferenze sui processi elettorali, alla diffusione di notizie false, alla creazione di canali di notizie che rispondono a precisi interessi di disinformazione.
Alla luce di ciò, diventa fondamentale sensibilizzare le persone comuni e non sui rischi impliciti nell’AI, formarli e informarli sul come dovranno utilizzare tali sistemi nella vita quotidiana e nel lavoro, nonché
sugli usi distorti che altri potrebbero farne a nostro scapito.
f.montanari@macchi-gangemi.com
l.laterza@macchi-gangemi.com
L’AGENZIA DELLE ENTRATE RIVEDE LA QUALIFICAZIONE DEI COMPENSI REVERSIBILI DEGLI AMMINISTRATORI AI FINI DELLE CONVENZIONI PER EVITARE LE DOPPIE IMPOSIZIONI.
Con la risposta a istanza di interpello 330 del 22 maggio scorso l’Agenzia delle Entrate ha affermato che i compensi reversibili pagati da una società italiana al suo amministratore con obbligo di riversamento a favore di altra società del gruppo non residente in Italia ricadono nell’ambito di applicazione dell’art. 7 del Modello OCSE, con la conseguenza che in assenza di stabile organizzazione in Italia della società beneficiaria, tali compensi non sono imponibili in Italia.
Si tratta di una presa di posizione importante in quanto nell’ultimo precedente pubblicato (risposta 167 del 28 maggio 2019), l’Agenzia delle Entrate – pur avendo escluso l’imponibilità dei compensi reversibili in capo alla persona fisica (per mancanza del presupposto del possesso del reddito) – aveva tuttavia ritenuto legittimo l’assoggettamento ad imposta da parte dello stato della fonte (Spagna) in forza dell’art. 16 del Modello OCSE dedicato ai compensi degli amministratori.
Nel caso oggetto della risposta 330, invece, lo stato della fonte è l’Italia. Una società italiana ha un amministratore che è un dipendente di una società consociata residente nella UE e il compenso per l’incarico di amministratore viene pagato direttamente alla società UE.
L’Agenzia delle Entrate conclude nel senso che (i) il compenso è deducibile per competenza (e non per cassa come previsto per i normali compensi amministratori), essendo considerato di fatto una spesa per prestazione di servizi e (ii) dal punto di vista delle convenzioni per evitare le doppie imposizioni, nell’interpretazione italiana, non deve essere sussunto sotto l’art. 16 del Modello OCSE, bensì sotto l’art. 7. Con la conseguenza che in assenza di stabile organizzazione in Italia della società non residente beneficiaria del pagamento il compenso non risulta imponibile in Italia.
Si fa presente che questa soluzione è soltanto apparentemente contradditoria rispetto a quella adottata nella risposta 167 del 2019. In quel caso, infatti, l’Italia si è limitata a riconoscere che l’assoggettamento a ritenuta in Spagna, ai sensi dell’art. 16, non poteva essere considerato in violazione della convenzione stessa, con conseguente obbligo dell’Italia di concedere il credito di imposta. Tale soluzione risulta anche in linea con il paragrafo 32.3 del Commentario all’art. 23 del Modello OCSE.
PROPOSTA DI CONCORDATO LIQUIDATORIO SEMPLIFICATO: LA VALUTAZIONE SULLA “RITUALITÀ” DELLA DOMANDA.
Il Tribunale di Monza, ritenuto che non vi fossero i requisiti per il superamento del vaglio di ritualità della proposta di concordato semplificato, ha recentemente respinto una domanda presentata da un’impresa a seguito dell’esito negativo delle trattative nell’ambito della composizione negoziata della crisi.
Con decreto del 17 aprile 2023, il Tribunale di Monza si è pronunciato su una domanda di concordato liquidatorio semplificato presentata da un debitore all’esito di una procedura di composizione negoziata della crisi ai sensi dell’art. 12 e ss. del Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza (“CCII”) conclusasi negativamente a causa dell’impraticabilità delle soluzioni indicate all’art. 23 commi 1 e 2 lett. b) del CCII.
Il provvedimento è molto interessante perché contiene alcuni utili chiarimenti sull’istituto del concordato semplificato e, in particolare, sull’ampiezza della valutazione di “ritualità” della domanda che il Tribunale è chiamato a svolgere, ai sensi dell’art. 25-sexies comma 3 del CCII, all’inizio del procedimento di (eventuale) omologazione della proposta di concordato. Come noto, infatti, solo all’esito di questo vaglio di ritualità, il Tribunale potrà nominare l’ausiliario ed eventualmente omologare la proposta, allorché – verificata la regolarità del contraddittorio e del procedimento, nonché il rispetto dell’ordine delle cause di prelazione e la fattibilità del piano di liquidazione – risulterà che la proposta non arreca pregiudizio ai creditori rispetto all’alternativa della liquidazione giudiziale e che, comunque, assicura un’utilità a ciascun creditore.
Nel caso sottoposto al Tribunale di Monza, il vaglio del Collegio ha avuto un esito negativo e la proposta di concordato semplificato presentata dal debitore è stata giudicata “irrituale”, per cui non si è nemmeno aperta la fase di omologazione vera e propria della domanda.
Nel corso del tentativo di composizione, l’Esperto aveva coordinato le trattative che erano consistite in una serie di incontri telematici con le varie classi di creditori, alle quali era stata presentata dal debitore una proposta che prevedeva, inter alia, il pagamento integrale di alcuni debiti (tra cui quelli maturati nei confronti degli istituti di previdenza) e la ‘falcidia’, cioè lo stralcio, di altri debiti (tra cui quelli tributari).
Nel corso delle trattative, solo pochi creditori avevano espresso la propria posizione sulla proposta, cosicché l’Esperto nominato aveva concluso dando atto dell’esito negativo delle trattative.
Nella relazione finale di cui all’art. 18, comma 8 del CCII, l’Esperto aveva quindi precisato che era risultata infruttuosa ogni attività volta ad agevolare le trattative tra l’imprenditore e i creditori e concluso affermando che non erano praticabili le ulteriori soluzioni previste dal CCII, ovvero contratti, accordi, convenzioni di moratoria ai sensi dell’art. 62 CCII, accordi di ristrutturazione dei debiti ai sensi degli artt. 57, 60, 61 CCII (ovvero le soluzioni individuate dall’art. 23, commi 1 e 2 lett. b, CCII).
Il debitore, dunque, stante l’esito negativo delle trattative, aveva deciso di depositare una proposta di concordato liquidatorio semplificato ai sensi dell’art. 25 sexies CCII.
Su tale proposta è stato chiamato a pronunciarsi il Tribunale di Monza, il quale ha svolto la valutazione di ritualità della domanda, verificando il rispetto del termine di presentazione della proposta e la competenza a pronunciarsi e poi accertando se l’Esperto, nella relazione finale, avesse effettivamente attestato (e in quali termini) le seguenti circostanze: (i) che le trattative con i creditori si erano concretamente svolte secondo correttezza e buona fede, (ii) che le trattative non avevano avuto esito positivo e (iii) che le soluzioni individuate ai sensi dell’articolo 23, commi 1 e 2 lett. b) non erano risultate effettivamente praticabili.
Per quanto riguarda l’ampiezza di tali valutazioni di ritualità, il Tribunale di Monza, pur non considerandolo un vaglio di vera e propria ammissibilità della domanda, ha affermato di non ritenere puramente formale questo primo giudizio. Secondo il Tribunale di Monza, il vaglio non deve limitarsi a verificare che l’Esperto “abbia formalmente attestato la sussistenza dei presupposti richiesti dal primo comma dell’art. 25-sexies” ma deve essere volto a verificare l’attendibilità e la ragionevolezza delle attestazioni dell’Esperto, con la conseguenza che nel caso in cui queste ultime risultino del tutto prive di motivazione, ovvero siano corredate da motivazioni che non trovino riscontro nella documentazione agli atti, la proposta deve considerarsi “irrituale”.
Una prima attestazione dell’Esperto da analizzare atteneva al fatto che lo svolgimento delle trattative fosse effettivamente avvenuto secondo buona fede e correttezza. Nel caso di specie, la relazione finale dell’Esperto valorizzava unicamente la correttezza tenuta dai creditori, non soffermandosi, al contrario, in alcun modo sulla buona fede e correttezza del debitore nel corso delle trattative all’interno della composizione negoziata. Il Tribunale in ciò ha ravvisato un contrasto con la ratio di cui all’art. 25 sexies CCII, che deve essere interpretato nel senso che l’attestazione dell’Esperto debba concentrarsi prioritariamente sul comportamento tenuto dal debitore più che su quello dei creditori, posto che “l’accesso al concordato semplificato deve essere consentito all’imprenditore proprio nelle ipotesi in cui l’esito negativo della composizione negoziata della crisi sia imputabile ad un comportamento irragionevolmente ostruzionistico dei creditori”. La relazione dell’Esperto è stata giudicata quindi carente sotto questo primo profilo.
L’altro aspetto su cui l’attestazione finale dell’Esperto avrebbe dovuto concentrarsi riguarda la non praticabilità delle soluzioni individuate dall’art. 23, commi 1 e 2, lett. b) CCII.
Sotto questo secondo profilo, per poter considerare idonea l’attestazione finale (negativa) dell’Esperto e quindi giudicare la domanda di concordato semplificato ‘rituale’, il Tribunale di Monza ha precisato di ritenere necessario che (i) l’imprenditore si sia effettivamente attivato per il perseguimento di tali strumenti e obiettivi, ravvisando nel concordato semplificato l’extrema ratio alla quale ricorrere solo laddove non sia stato possibile accedere agli altri strumenti di regolazione della crisi per ragioni imputabili solo all’imprenditore e che (ii) l’imprenditore abbia presentato una proposta che non risultasse già impraticabile al momento in cui era stata avviata la composizione negoziata e che successivamente, per cause non imputabili al debitore, tra cui in primis l’atteggiamento ostruzionistico dei creditori, non sia risultata più percorribile nonostante l’imprenditore si sia attivato in tal senso.
Ebbene, nella fattispecie, il Tribunale ha giudicato non sussistenti le condizioni sopra indicate. L’Esperto si era limitato a dare atto, in modo apodittico, dell’impraticabilità delle soluzioni alternative senza precisare le effettive ragioni della impraticabilità. Secondo il Tribunale, inoltre, si sarebbe dovuto rilevare come sin dall’inizio della procedura di composizione negoziata non fossero percorribili le altre soluzioni dell’art. 23 del CCII. Quanto a quest’ultimo aspetto, particolare importanza è stata attribuita al trattamento dei debiti tributari: la società ricorrente, pur avendo proposto una falcidia delle obbligazioni tributarie, non aveva fatto ricorso allo strumento dell’accordo di ristrutturazione dei debiti (strumento che avrebbe effettivamente consentito lo stralcio nell’ambito della composizione negoziata) nonostante la stessa Agenzia delle Entrate avesse sollecitato di percorrere tale strada (strada che peraltro avrebbe portato ad un sacrificio, per il creditore, inferiore rispetto a quello previsto nella proposta presentata dal ricorrente).
Il Tribunale ha, in conclusione, giudicato “non compiuta” l’attestazione dell’Esperto in ordine all’effettivo svolgimento delle trattative secondo correttezza e buona fede, ha ritenuto non dimostrata l’impraticabilità delle soluzioni di cui all’art. 23 commi 1 e 2 lett. b) CCII e ha considerato lacunosa la proposta di omologazione, quanto ai presupposti di accesso alla procedura: ciò lo ha portato a concludere per la dichiarazione di irritualità della proposta di concordato liquidatorio semplificato.
OMNIA TEMPUS HABENT. LARGO AI NOTAI!
Cosa è cambiato dal 28 febbraio 2023 in materia di volontaria giurisdizione e autorizzazioni a tutela dei soggetti più fragili.
Come forse già noto, dal 28 febbraio 2023, i notai sono diventati un’alternativa al giudice tutelare in materia di autorizzazioni per la stipula degli atti pubblici e delle scritture private autenticate nei quali interviene un minore, un interdetto, un inabilitato o un soggetto beneficiario dell’amministrazione di sostegno, e per quelle relative ad atti che hanno ad oggetto beni ereditari.
In caso di beni ereditari (e salvo rinvio alla normativa applicabile caso per caso) i soggetti che astrattamente potrebbero fare ricorso al rilascio di autorizzazione “notarile” sono i chiamati all’eredità o gli eredi, il curatore dell’eredità giacente e l’esecutore testamentario.
L’art. 21 del D. Lgs. 10 ottobre 2022, n. 149 ha previsto, infatti, che il notaio rogante l’atto pubblico o la scrittura privata autenticata ai quali intervenga uno dei soggetti di cui sopra, possa rilasciare l’autorizzazione al compimento dell’atto; sino al 28 febbraio 2023, invece, l’autorizzazione veniva rilasciata solo dal giudice tutelare in seguito a un procedimento di volontaria giurisdizione.
Queste le novità:
– il notaio abilitato al rilascio dell’autorizzazione è il esclusivamente il notaio rogante (ossia, un notaio non potrà stipulare l’atto in base all’autorizzazione rilasciata da un altro notaio);
– il notaio de quo potrà essere scelto liberamente dalle parti su tutto il territorio nazionale (cfr. Circolare Ministero della Giustizia 02/05/2023);
– ai fini del rilascio dell’autorizzazione, il notaio potrà farsi assistere da consulenti, ed assumere informazioni, senza formalità, presso il coniuge, i parenti entro il terzo grado e agli affini entro il secondo del minore o del soggetto sottoposto a misura di protezione, o nel caso di beni ereditari, presso gli altri chiamati e i creditori risultanti dall’inventario, se redatto, e – in caso di legato – presso il legatario;
– ove per effetto della stipula dell’atto notarile debba essere riscosso un corrispettivo nell’interesse del minore o del soggetto sottoposto a misura di protezione, il notaio dovrà determinare nell’atto di autorizzazione le cautele necessarie per il reimpiego del denaro.
Per quanto concerne l’iter procedimentale:
– per ottenere l’autorizzazione è necessaria la previa richiesta scritta delle parti, personalmente o per il tramite di procuratore legale (ma, come chiarito con la Circolare del Ministero di Giustizia 02/05/2023, non è dovuto il versamento del contributo unificato che è invece necessario laddove la parte si rivolga al giudice tutelare);
– l’autorizzazione del notaio è comunicata, a cura del medesimo notaio, alla cancelleria del Tribunale che sarebbe stato competente al rilascio della corrispondente autorizzazione giudiziale e al pubblico ministero presso il medesimo Tribunale;
– l’autorizzazione potrà essere impugnata dagli aventi diritto, tramite reclamo, innanzi all’autorità giudiziaria secondo le stesse regole applicabili in caso di autorizzazione rilasciata dal giudice tutelare;
– le autorizzazioni notarili acquistano efficacia decorsi venti giorni dalle comunicazioni di cui sopra, senza che sia stato proposto reclamo. Le autorizzazioni rilasciate dal notaio possono essere in ogni tempo modificate o revocate dal giudice tutelare, ma restano salvi i diritti acquistati in buona fede dai terzi in forza di convenzioni anteriori alla modificazione o alla revoca.
I notai potranno concorrere con il giudice tutelare nel rilascio delle autorizzazioni relative ad atti notarili volti a:
– accettare in donazione, vendere/acquistare, permutare o dividere un immobile;
– accettare l’eredità o legati;
– cancellare ipoteche o intervenire in un atto di mutuo come datore di ipoteca.
In questi casi, il notaio rogante dovrà verificare la necessità o l’utilità evidente dell’atto di straordinaria amministrazione nell’interesse del soggetto tutelato.
I notai, invece, non potranno rilasciare le autorizzazioni per promuovere, rinunciare, transigere o compromettere in arbitri i giudizi oltre che le autorizzazioni per la continuazione dell’impresa commerciale, che restano di competenza esclusiva del giudice tutelare.
BENI CULTURALI CON VINCOLO DI DESTINAZIONE D’USO: IL CONSIGLIO DI STATO RICONOSCE TALE POTERE IN CAPO AL MINISTERO DELLA CULTURA.
Con una importante decisione, l’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, n. 5 del 13 febbraio 2023 ha ammesso la possibilità per l’amministrazione di imprimere, sulla scorta di adeguata motivazione, un “vincolo di destinazione d’uso del bene culturale” volto a prevenire situazioni di rischio per la conservazione dell’integrità materiale del bene culturale medesimo o del valore immateriale in esso incorporato anche quando la res sia espressione di identità culturale collettiva. E ciò al fine, in questa ipotesi, non solo di assicurane la conservazione sotto il profilo materiale, ma di consentire che perduri nel tempo: “la condivisione e la trasmissione della manifestazione culturale immateriale, di cui la cosa contribuisce a costituirne la testimonianza”.
In altri termini, alla luce della decisione di cui sopra è stato finalmente chiarito che le norme previste dal D.lgs. n. 42/2004 in materia di vincolo di destinazione d’uso di un bene culturale (articoli 7-bis, 10, comma 3, lettera d), 18, comma 1, 20, comma 1, 21, comma 4, e 29, comma 2, del d.lgs. n. 42 del 2004) riguardano non solo la sua conservazione materiale, ma anche la trasmissione dei valori in esso incorporati, che lo rendono una “testimonianza vivente” di tali valori e delle correlate manifestazioni culturali immateriali.
È opportuno ricordare che sino ad ora la giurisprudenza amministrativa non aveva risolto in maniera univoca la questione di diritto relativa all’ammissibilità dell’istituto del “vincolo culturale di destinazione d’uso”; di modo che, a fronte di pronunce contrarie, sono state rese decisioni favorevoli, che, tuttavia, pur ammettendo l’imposizione di un vincolo di destinazione ai fini della conservazione del bene culturale, hanno diversamente individuato i presupposti in base ai quali l’amministrazione statale poteva emanare il provvedimento di vincolo.
In via di estrema sintesi i diversi orientamenti sul tema da parte della giurisprudenza erano ben tre:
(i) un primo che negava ab origine l’ammissibilità del vincolo di destinazione d’uso perché incompatibile e lesiva del diritto di proprietà;
(ii) un secondo che lo ammetteva in circostanze eccezionali e circoscritte, correlate alla particolare trasformazione del bene con una sua specifica destinazione ed al suo stretto collegamento per un’iniziativa storico-culturale di rilevante importanza;
(iii) ed, infine, un terzo orientamento che consentiva l’imposizione di un vincolo culturale di destinazione d’uso, previa adeguata esposizione delle ragioni che ne sono alla base.
A ben vedere l’Adunanza Plenaria ritiene di aderire al terzo orientamento sopra sintetizzato, perché è basato sulla legislazione vigente ed è anche maggiormente conforme agli obiettivi di interesse generale sottesi alla tutela dei beni culturali, oltre che coerente con il quadro costituzionale di riferimento, in particolare con l’art. 9 della Costituzione Italiana secondo cui l’interesse culturale prevale su qualsiasi altro interesse, ivi compresi quelli economici, nelle valutazioni concernenti i reciproci rapporti (ex multis: Corte Cost. 27 giugno 1986, n., 151).
Come si è correttamente osservato, tale decisione è importante poiché il bene culturale potrà essere protetto non solo nella sua dimensione “fisica”, ma anche nella destinazione d’uso che a esso viene impressa e che in esso può esercitarsi.
Il Ministero della Cultura è titolare di un potere molto incisivo derivante dall’apposizione del vincolo culturale che impedirà usi diversi da quello condotto storicamente nell’immobile. In questi casi, quindi, l’interesse culturale emerge dalla relazione che sussiste tra il bene e l’attività che in esso è presente da tempo. Si tratta di una commistione tra un bene materiale (l’immobile) e uno immateriale (l’uso) che, come rilevato dal Consiglio di Stato, costituisce un tutt’uno inscindibile che dà forma a: “quella peculiare espressione artistica e storica riconosciuta di particolare interesse culturale”.
Per tali ragioni, sulla scorta di quanto fino ad ora illustrato, l’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato ha enunciato i seguenti principi di diritto:
“– ai sensi degli articoli 7 bis, 10, comma 3, lettera d), 18, comma 1, 20, comma 1, 21, comma 4, e 29, comma 2, del Dlgs n. 42 del 2004 (n.d.a. codice dei beni culturali), il vincolo di destinazione d’uso del bene culturale può essere imposto quando il provvedimento risulti funzionale alla conservazione della integrità materiale della cosa o dei suoi caratteri storici o artistici, sulla base di una adeguata motivazione, da cui risulti l’esigenza di prevenire situazioni di rischio per la conservazione dell’integrità materiale del bene culturale o del valore immateriale nello stesso incorporato”;
“– ai sensi degli articoli 7 bis, 10, comma 3, lettera d), 18, comma 1, 20, comma 1, 21, comma 4, e 29, comma 2, del codice n. 42 del 2004, il vincolo di destinazione d’uso del bene culturale può essere imposto a tutela di beni che sono espressione di identità culturale collettiva, non solo per disporne la conservazione sotto il profilo materiale, ma anche per consentire che perduri nel tempo la condivisione e la trasmissione della manifestazione culturale immateriale, di cui la cosa contribuisce a costituirne la testimonianza”.
La decisione concerne, in particolare, la destinazione di un bene immobile e i vincoli ai suoi futuri e possibili usi. Ciò non di meno, il principio espresso potrebbe in ipotesi essere applicato anche a tutela di beni mobili, le cui destinazioni sono fortemente impresse nei beni stessi.
n.digiandomenico @macchi-gangemi.com
DISCLAIMER: Questa newsletter fornisce solo informazioni generali e non costituisce una consulenza legale da parte di Macchi di Cellere Gangemi. L’autore dell’articolo o il vostro contatto in studio sono a Vostra disposizione per qualsiasi ulteriore chiarimento.
PER VISUALIZZARE LA NEWSLETTER PRECEDENTE DEL 26 MAGGIO 2023: