Con sentenza n. 4210/2024 del 31 gennaio 2024 la Corte di cassazione, pronunciandosi in un procedimento ex d.lgs. 231/2001 relativo ad un incidente sul lavoro, pur dichiarando inammissibile il ricorso presentato dall’Ente, ha ribadito nuovamente che l’accertamento della responsabilità dell’Ente non può prescindere dal provare l’esistenza degli elementi di fatto e di diritto costitutivi dell’illecito, anche laddove l’Ente non abbia adottato concretamente un Modello di Organizzazione, Gestione e Controllo (“MOG”).
Nel caso in questione, la Corte di Appello di Bologna, alla cui decisione la causa era stata nuovamente rimessa dalla Corte di cassazione, aveva dichiarato la responsabilità per l’illecito di cui all’art. 25 septies, co. 2, d.lgs. 231/2001 e condannato l’Ente al pagamento della sanzione di 200 quote per un importo complessivo di € 100.000,00.
In seguito a tale pronuncia, l’Ente aveva presentato un nuovo ricorso in Cassazione deducendo, inter alia, una censura per violazione di legge e vizio di motivazione in relazione alla sussistenza di un difetto di organizzazione.
In particolare, nel ricorso l’Ente lamentava che i Giudici di Appello, nell’affermare la sussistenza della “colpa di organizzazione“, avevano fondato il loro convincimento sui concetti di colpa delle persone fisiche e di omissione dei modelli di organizzazione e gestione, sovrapponendo il piano della sussistenza del reato presupposto con quello della responsabilità dell’ente, con ciò confondendo la colpa delle persone fisiche con la colpevolezza di organizzazione dell’ente.
A seguito di tale secondo ricorso in cassazione, la Corte, rimarcando la differenza tra la responsabilità dell’Ente derivante da reato e l’accertamento della responsabilità penale in capo al soggetto committente il reato presupposto, ribadiva il principio già consolidato secondo cui “ ai fini della configurabilità della responsabilità da reato degli enti, la struttura dell’illecito addebitato all’ente risulta incentrata sul reato presupposto, rispetto al quale la relazione funzionale corrente tra reo ed ente e quella teleologica tra reato ed ente hanno unicamente la funzione di irrobustire il rapporto di immedesimazione organica, escludendo che possa essere attribuito alla persona morale un reato commesso da un soggetto incardinato nell’organizzazione ma per finiestranei agli scopi di questo (Sez. 4, n. 32899 del 08/01/2021, Castaldo).
Tale principio, a parere della Corte di cassazione, consente di affermare che l’Ente risponde per un fatto proprio e non per un fatto altrui senza escludere possibili profili di responsabilità meramente oggettiva; al riguardo la sentenza, ribadisce “la necessità che sussista la c.d. colpa di organizzazione dell’ente, il non avere cioè predisposto un insieme di accorgimenti preventivi idonei ad evitare la commissione di reati del tipo di quello realizzato” ed inoltre, in relazione alla “colpa di organizzazione”, che la mancata adozione o l’inefficace attuazione dei MOG prefigurati dalla normativa “non può assurgere ad elemento costitutivo della tipicità dell’illecito dell’ente, ma integra una circostanza atta ex se a dimostrare che sussiste la colpa di organizzazione, la quale va però specificamente provata dall’accusa”.
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