“NESSUNA SANZIONE AL CONTRIBUENTE CHE SI CONFORMI A DOCUMENTI DELL’AMMINISTRAZIONE FINANZIARIA”.

Ricorre il legittimo affidamento del contribuente ex articolo 10, commi 1 e 2 della L. 212 del 2000 ove l’Amministrazione finanziaria, per un tempo apprezzabilmente lungo, abbia posto in essere comportamenti attivi che hanno ingenerato il dubbio circa la legittimità del comportamento del contribuente: il contribuente che si affida all’interpretazione erronea dell’amministrazione finanziaria, pur dovendo comunque versare l’imposta, non è tenuto al pagamento di sanzioni ed interessi. Lo chiarisce la Corte di Cassazione (ancora una volta) con l’ordinanza n. 13237 del 2024).

I rapporti tra contribuente e amministrazione finanziaria sono improntati (o meglio: dovrebbero essere improntati) al principio della collaborazione e della buona fede. Lo prevede l’articolo 10 della Legge n. 212 del 2000 – Statuto dei Contribuenti) il quale al primo comma stabilisce che “I rapporti tra contribuente e amministrazione finanziaria sono improntati al principio della collaborazione e della buona fede”. 

Ma cosa significa? Potremmo dire che trattasi di un principio che valorizza uno status soggettivo ossia la fiducia che il contribuente (e più in generale l’amministrato) ripone nel comportamento dell’ente impositore, chiamato a non contraddirsi, a non venire contra factum proprium. Lato Amministrazione finanziaria il principio le impone un obbligo di collaborazione e di buona fede che trova fondamento in valori fondamentali della Costituzione, quali il buon andamento e l’imparzialità della Pubblica Amministrazione (articolo 97 Cost.), il principio di capacità contributiva (articolo 53 Cost.), il principio di legalità (articolo 23 Cost.), nonché il principio di uguaglianza, sotto il profilo della parità di trattamento fiscale e della ragionevolezza (articolo 3 Cost.).

Orbene, la modalità della tutela di tale principio spazia dalla non applicazione delle sanzioni alla non recuperabilità degli interessi e finanche del tributo che non sia stato corrisposto, confidando, appunto, nella condotta dell’ente impositore. A delimitare tale spazio di intervento soccorre il secondo comma dell’articolo 10 in commento, ai sensi del quale “Non sono irrogate sanzioni né richiesti interessi moratori al contribuente, qualora egli si sia conformato a indicazioni contenute in atti dell’amministrazione finanziaria, ancorché successivamente modificate dall’amministrazione medesima, o qualora il suo comportamento risulti posto in essere a seguito di fatti direttamente conseguenti a ritardi, omissioni od errori dell’amministrazione stessa. Limitatamente ai tributi unionali, non sono altresì dovuti i tributi nel caso in cui gli orientamenti interpretativi dell’amministrazione finanziaria, conformi alla giurisprudenza unionale ovvero ad atti delle istituzioni unionali e che hanno indotto un legittimo affidamento nel contribuente, vengono successivamente modificati per effetto di un mutamento della predetta giurisprudenza o dei predetti atti”.

Tutto sembra apparentemente semplice. Purtroppo, come spesso accade, così non è.

Ove, infatti, un qualunque comportamento dell’Amministrazione finanziaria generasse un affidamento tutelabile, il comportamento medesimo rischierebbe di innovare l’ordinamento giuridico e divenire fonte del diritto, ciò che nel nostro sistema deve escludersi.  È proprio per tale motivo che i “litigi” tra contribuente ed Amministrazione si risolvono (spesso) nelle aule della Corte di Cassazione, la quale è chiamata a chiarire cosa debba intendersi per tutela del legittimo affidamento.

Ebbene, nella recente ordinanza n. 13237 gli Ermellini, da un lato ricordano che “vero è che il solo decorso del tempo e il comportamento meramente passivo dell’amministrazione finanziaria non sono idonei ad integrare l’esimente di cui all’ art. 10, comma 2, della l. n. 212 del 2000 con riguardo alla debenza degli interessi (Cass., Sez. V, 19 dicembre 2019, n. 34067)” ma, dall’altro, chiariscono che “la situazione di incertezza interpretativa, ingenerata da risoluzioni dell’Amministrazione finanziaria, anche se non influisce sulla debenza dell’imposta, deve essere valutata ai fini dell’esclusione dell’applicazione delle sanzioni” ed accolgono la tesi del contribuente affermando che il comunicato stampa dell’ente impositore (nel caso in esame l’Ufficio Dogane di Civitavecchia) che in autotutela aveva annullato provvedimenti di contestazioni sanzioni, non si qualifica come comportamento meramente passivo bensì come “comportamento attivo, che ha ingenerato il ragionevole dubbio nel contribuente che, conformandosi a un’interpretazione erronea fornita dall’Amministrazione finanziaria, non è tenuto non solo al pagamento delle sanzioni, ma anche degli interessi in base al principio di tutela dell’affidamento(Cass., Sez. V, 11 luglio 2019, n.  18618”.

In sintesi: il contribuente che si affida all’interpretazione erronea dell’amministrazione finanziaria, pur dovendo comunque versare l’imposta, non è tenuto al pagamento di sanzioni ed interessi. in altre parole, la situazione di incertezza interpretativa, ingenerata da risoluzioni dell’Amministrazione finanziaria, anche se non influisce sulla debenza dell’imposta, deve essere valutata positivamente ai fini dell’esclusione dell’applicazione delle sanzioni.

Chissà se la riforma sulle sanzioni tributarie, di prossima applicazione, porterà più certezza nei rapporti tra Fisco e contribuente. Vedremo e commenteremo.

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