VERSAMENTI IN CONTO FUTURO AUMENTO DI CAPITALE: TRA PRINCIPIO DI DETERMINATEZZA E RISCHIO DI BANCAROTTA

La figura giuridica dei versamenti in conto futuro aumento di capitale è stata nuovamente posta sotto la lente di ingrandimento da parte della Corte di Cassazione.

Sulla sua definizione la medesima Corte si era già soffermata nel recente passato nell’ottica di distinguere le diverse tipologie di conferimenti poste a disposizione dei soci, e inquadrando, in particolare, il versamento in conto futuro aumento di capitale come un apporto in denaro a favore della società da parte dei soci che, a differenza di conferimenti di altra natura, è soggetto al rimborso nei confronti degli stessi soci eroganti qualora non venga deliberato l’aumento di capitale entro un prestabilito termine.

Sul tema, come anticipato, si sono nuovamente soffermati da poco i giudici di legittimità, i quali, seppur in due giudizi separati e di diversa natura, civile e penale, hanno fornito ulteriori sfaccettature all’istituto giuridico in questione.

Da un punto di vista prettamente civilistico, l’ordinanza della Corte di Cassazione n. 24093 dell’8 agosto 2023, ha evidenziato l’esigenza che la subordinazione del conferimento ad un aumento di capitale sia indicata nei libri contabili in modo chiaro ed inequivocabile, supportandola con elementi di dettaglio sufficientemente specifici (inclusa, ad esempio, l’opportuna indicazione del termine finale entro cui verrà deliberato l’aumento) e tali da escludere in toto la configurabilità di un tradizionale versamento tout court a favore delle casse sociali, quali ad esempio versamenti a fondo perduto o finanziamento soci.

In virtù del principio di determinatezza o determinabilità ex articolo 1346 c.c., la Corte ha cioè posto l’accento sul fatto che dalle scritture contabili (e dal passivo dello stato patrimoniale) si evinca l’effetto “risolutorio” che si realizzerebbe in assenza di apposita tempestiva delibera di aumento del capitale sociale. In tal caso, infatti, il socio avrà diritto al rimborso del suo versamento, per essere venuta meno la causa giustificativa dell’attribuzione patrimoniale da lui eseguita in favore della società.

A tal proposito e per i motivi appena espressi, giova anche ricordare come in precedenza la stessa Cassazione avesse già tracciato la strada per l’imputazione di tali specifici versamenti in una cosiddetta riserva “personalizzata” o “targata”, in quanto di esclusiva pertinenza dei soci che avessero effettuato tale tipologia di apporto e con l’obiettivo di rendere in questo modo edotti i terzi circa la natura vincolata di questa disponibilità patrimoniale.

Il tema dell’accuratezza descrittiva richiesta a supporto del conferimento in conto futuro aumento di capitale e del suo carattere restitutorio si è intrecciato in un’ulteriore recentissima pronuncia della Corte di Cassazione, la quale, questa volta in ambito penale, ha aggiunto un ulteriore tassello al quadro giuridico dell’istituto in questione.

La Quinta sezione penale della Corte, con sentenza n. 39139/2023 depositata lo scorso 26 settembre, ha sottolineato che, in ipotesi di conferimenti in conto futuro aumento di capitale, l’individuazione di un termine finale a cui è correlata l’insorgenza del diritto del socio alla restituzione del conferimento in caso di mancata deliberazione dell’aumento, si erge principalmente ad elemento di garanzia del ceto creditorio. La rilevanza di tale indicazione, conoscibile anche da parte di soggetti terzi, si giustifica, infatti, nell’affidamento che gli stessi terzi ripongono nel patrimonio dell’impresa per l’adempimento delle obbligazioni sociali e, di conseguenza, quale forma di garanzia nei loro confronti in caso di insolvenza della società.

In questo senso, quindi, l’importo conferito ed anticipato a favore di un effettivo aumento di capitale resterà necessariamente vincolato fin quando non si verifichi la condizione, sospensiva o risolutiva, della mancata delibera. Un’eventuale restituzione anticipata di tale conferimento (rispetto al termine pattuito dalle parti o dal giudice, ove quest’ultimo sollecitato in mancanza di alcuna indicazione temporale) integrerebbe una evidente distrazione da bancarotta societaria, fondata sul presupposto che l’apporto abbia creato un’apparente maggiore consistenza del patrimonio e, pertanto, illusoria delle reali capacità patrimoniali della società di adempiere alle proprie obbligazioni.

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